Pablo Picasso diceva che non esiste tema più bello della crocifissione, che è stato rappresentato milioni di volte e continua a esserlo. Intendeva dire che, venuta meno la committenza della Chiesa, gli artisti hanno continuato a confrontarsi con questo tema non solo per motivi religiosi, ma per motivi artistici: la crocifissione oltre a essere il segno della croce è anche il segno dell’arte. Molti di loro, Picasso in primis, non sono credenti, ma parafrasando il motto “In hoc signo vinces” (“In questo segno vincerai”) che apparve in sogno all’imperatore Costantino alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio, nel 312, si potrebbe dire che gli artisti continuano a cimentarsi con questo tema e segno con cui vincere la battaglia dell’arte.

Milioni di crocifissioni

La croce, oltre che un soggetto sacro è un segno artistico, tant’è che su di essa, o meglio ancora su come rappresentare la crocifissione, si è discusso fin dall’antichità. Gli ortodossi hanno visto nelle immagini sacre delle vere icone realizzate dai pittori per mano di Dio o dei santi padri della Chiesa, di cui loro sono solo il tramite. Infatti spesso questi pittori sono dei religiosi prima che degli artisti. I cattolici invece pensano che le immagini sacre siano un prodotto degli artisti ed è per questo che, come dice Picasso, sono state realizzate milioni di crocifissioni, che a partire da Cimabue, Giotto e Masaccio hanno lasciato la loro impronta nella storia dell’arte. Qui sta il senso del rapporto tra religione cristiana e arte moderna e contemporanea che continua ad avere una sua attualità, come abbiamo potuto leggere recentemente su queste stesse pagine negli articoli di Giuseppe Frangi e Demetrio Paparoni. Se da un lato Frangi ha affrontato il tema prendendo a testimone l’opera Tre studi per figure ai piedi di una crocifissione (1944) di Francis Bacon, dall’altro Paparoni si è soffermato su Piss Christ di Andres Serrano (1987). In questi articoli si discute la liceità dell’autocommissione da parte dell’artista di un soggetto ritenuto appannaggio della religione che, come detto, la Chiesa non commissiona più da tempo. Queste opere hanno alimentato il dibattito dentro e fuori la Chiesa. Basta ricordare il pronunciamento con cui l’arcivescovo di Melbourne chiese la rimozione dell’opera di Serrano dalla National gallery of Victoria, in Australia, ottenendo la chiusura della mostra, e la contrapposta dichiarazione della suora e critica d’arte inglese Wendy Beckett. In un’intervista la suora affermò che l’opera di Serrano non era affatto da ritenere blasfema e che andava considerata una dichiarazione di ciò che la società contemporanea sta facendo a Cristo. Andando indietro negli anni va ricordata la polemica che si scatenò attorno a Crocifissione (1941) di Renato Guttuso, che, esposta al premio Bergamo nel 1942, venne contestata dalla Chiesa locale soprattutto per la presenza di diverse figure nude, tra cui quella della Maddalena. Non avendo ottenuto la rimozione del dipinto dalla rassegna, la Chiesa interdisse la visita alla rassegna dando avviso «a tutto il clero della Diocesi e a quello che fosse di passaggio per la nostra città, che è a esso proibito l’accesso alla mostra del Premio Bergano, pena la sospensione a divinis ipso facto intercurrenda». Da allora, quest’opera, oggi conservata alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, assunse il nome di Crocifissione di Bergamo a testimonianza che la censura non solo non è mai produttiva, ma contribuisce ad aumentare la fama di opere che si vorrebbe far sparire.

Crocifisso a un aereo

In tempi recenti la crocifissione dell’artista argentino Léon Ferrari (1920-2013), intitolata La civilizzazione occidentale e cristiana (1965), è tornata alla ribalta suscitando polemiche per essere stata presentata nella retrospettiva dell’artista, leone d’oro alla biennale di arti visive di Venezia nel 2007, al Museo nacional de arte reina Sofía di Madrid, prima tappa di un’ampia raccolta di opere che toccherà i musei di Eindhoven in Olanda e il Centre Pompidou di Parigi. Contro di essa si è attivata l’associazione degli avvocati cristiani spagnoli, che ha addirittura chiesto le dimissioni del direttore Manuel Borja-Villel e la chiusura della mostra.

La scultura raffigura Cristo crocifisso su un aereo bombardiere americano impiegato in azioni di guerra, al momento della realizzazione dell’opera soprattutto in Vietnam. Tuttavia, come lascia intendere il titolo, l’opera si propone anche come una critica più ampia al colonialismo, tema oggi di grande attualità.

Facendo un bel salto temporale ci è utile sottolineare che quest’opera era già stata oggetto di polemiche nel 2004 allorché, esposta in una mostra personale dell’artista a Buenos Aires, scatenò forti proteste da parte delle associazioni cattoliche locali che chiesero l’intervento dell’allora vescovo e cardinale Jorge Bergoglio che, come ricordava l’artista, «scrisse una lettera contro la mostra, che fu letta in tutte le chiese, accusandomi di blasfemia».

Fu poi un giudice a censurare la mostra, sostenendo che offendeva il sentimento religioso dei cittadini. Oggi quel cardinale è diventato papa Francesco, ritenuto uno dei papi più progressisti della storia della Chiesa. In una conferenza stampa tenuta durante il volo di ritorno dal viaggio pastorale del 2015 in America Latina, gli fu chiesto dai giornalisti un parere su quell’opera.

Il Papa aveva cambiato opinione, infatti rispose che Leon Ferrari era «uno scultore bravo e creativo» e che quell’opera «era una critica al cristianesimo alleato con l’imperialismo che era il bombardiere».

Qualche giorno prima il papa aveva ricevuto in dono dal presidente boliviano Evo Morales una crocifissione, opera d’arte di protesta dell’artista e sacerdote gesuita Luis Espinal. L’opera, che a giudicare dalle foto della cerimonia papa Francesco sembra aver accettato di buon grado, consiste in una falce e martello su cui è crocifisso Cristo.

 

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