Nell’ottobre scorso i dipartimenti di studi classici di tutto il mondo furono scossi da una notizia clamorosa: grazie a un fantascientifico mix di scansioni effettuate tramite i raggi X di un sincrotrone e software di intelligenza artificiale era stato possibile leggere per la prima volta la parte interna di uno dei rotoli carbonizzati trovati ad Ercolano, una delle città distrutte dal Vesuvio nel 79 d.C., dove già nel 1752 era stata portata alla luce parte della biblioteca di una ricca villa patrizia.

A riuscire nell’impresa era stato uno studente d’informatica dell’Università del Nebraska, Luke Farritor, che era partito dai dati messi a disposizione di ricercatori e curiosi di tutto il mondo da Brent Seals, professore dell’Università del Kentucky, sponsorizzato da due magnati della Silicon Valley, Nat Friedman e Daniel Gross, che avevano ideato, per invogliare la comunità scientifica internazionale, un vero e proprio concorso a premi, con un sostanzioso montepremi: il Vesuvius Challenge.

Pochi mesi dopo, l’annuncio ancora più clamoroso: lo stesso Farritor, assieme a Youssef Nader, dottorando della Freie Universität di Berlino, e Julian Schilliger, studente dello Swiss Federal Institute of Technology di Zurigo, sono riusciti ad affinare gli algoritmi di elaborazione dei dati fino a fornire immagini distinguibili di 15 colonne di scrittura continua, e assicurarsi così il premio finale del Challenge: 700.000 dollari, che saranno loro ufficialmente consegnati in una cerimonia il prossimo 16 marzo, alla Getty Villa di Malibu. La scelta della location è fortemente simbolica, se si pensa che Paul Getty volle dare alla sua lussuosissima villa-museo un aspetto molto simile a quello della Villa di Ercolano da cui provenivano i papiri: un edificio sfavillante di marmi e adornato da preziose sculture, con portici colonnati che costeggiano una lunga fontana.

Ma al di là dell’incredibile sforzo tecnologico impiegato, cosa contiene il rotolo? Un tesoro inestimabile di conoscenza, tutto ancora da interpretare. Le immagini restituite dall’abilità di Farritor, Friedman e Gross sono state sottoposte a un team di papirologi, composto da studiosi di ogni parte del mondo: Daniel Delattre, Robert L. Fowler, Tobias Reinhardt e, per l’Italia, Federica Nicolardi e Gianluca Del Mastro. Ai loro sforzi si deve la prima trascrizione interpretata delle immagini, di cui è possibile vedere alcuni estratti sul sito internet del Challenge, e i primi tentativi di identificazione dell’autore.

“L’assaggio” del rotolo che abbiamo visto a ottobre conteneva un riferimento alla porpora. Le colonne restituite consentono di chiarire, almeno in parte, il contesto in cui la sostanza era menzionata. Siamo alla fine di un discorso filosofico articolato, oscillante tra l’etica e la gnoseologia: «Si parla dell’udito, del gusto, delle diverse sensazioni», come dice Del Mastro. Da alcune frasi emerge la preoccupazione di chiarire fino a che punto l’abbondanza o la scarsità di una cosa possa influire sulle sensazioni che essa genera, come avviene per il cibo, e si intravedono, più in generale, riflessioni sul problema del piacere (edone), prima dell’immancabile chiusa polemica contro non meglio identificati “altri” filosofi: gli intellettuali antichi erano persino più rissosi di quelli di oggi. Sullo sfondo, si avverte uno dei problemi essenziali delle filosofie ellenistiche: l’identificazione dei kriteria, ossia, delle basi che consentono di formulare un giudizio e garantire così le fondamenta di verità di una proposizione.

Le coordinate concettuali del trattato, come era lecito aspettarsi, si lasciano facilmente inquadrare all’interno dell’epicureismo: una filosofia nata con le riflessioni di Epicuro, vissuto tra IV e III secolo a.C., che aveva ripreso ed elaborato concetti rivoluzionari, come l’idea che ogni cosa è fatta di atomi e che il principio di verità risiede, in ultima analisi, nelle percezioni sensoriali. I rotoli ercolanesi, del resto, costituiscono in buona parte una vera e propria “biblioteca epicurea”, che comprendeva non solo l’opera più importante del fondatore – il monumentale trattato Sulla natura, di cui altrimenti leggeremmo molto meno – ma molti trattati di filosofi del tutto dimenticati, tra cui spicca Filodemo di Gadara, che giunse in Italia poco prima del 70 a.C. e che, forse nella parte finale della sua vita, soggiornò proprio nella Villa, dove lasciò almeno parte dei suoi libri e dei materiali su cui aveva lavorato.

Il rotolo “riletto” grazie alle scansioni di Seals, e agli algoritmi di Farritor, Nader e Schillinger, conteneva forse un’altra opera di Filodemo, che di gnoseologia si era sicuramente occupato, ma la fraseologia concettosa e intricata potrebbe essere dovuta forse anche ad altri autori (Metrodoro di Scepsi? Demetrio Lacone?).

La pubblicazione integrale delle trascrizioni, che il team di papirologi sta continuando ad aggiornare di minuto in minuto, rappresenterà la base per chiarire anche questo problema. Ma il lavoro è appena all’inizio. Le colonne lette fino ad adesso corrispondono a circa un metro di lunghezza, ma il rotolo originario ne comprendeva più di dieci. Solo il 5% del testo del trattato è stato letto, secondo le stime degli specialisti: una situazione tristemente normale per chi si occupa di testi antichi, ma che in questo caso è probabilmente destinata ad essere ribaltata, se si considerano i progressi fatti in pochi mesi. E non è escluso che a breve si possa giungere a visualizzare il titolo dell’opera. Nei libri in forma di rotolo il titolo, con il nome dell’autore (e talvolta indicazioni sulla lunghezza complessiva) era inserito proprio alla fine, in caratteri più grandi, così da risaltare, dopo uno spazio bianco al di sotto dell’ultima colonna di scrittura. Le immagini apparse finora mostrano che il testo letto è subito prima di questo “colophon" finale.

Non solo. Nella Biblioteca nazionale di Napoli sono conservati almeno altri 600 rotoli non svolti. Alcuni di essi sono stati già sottoposti a scansione, nei mesi precedenti, presso il Diamond Light, il sincrotrone di Oxford impiegato da Seals, altri potrebbero esserlo in un prossimo futuro. La velocità con cui sono state migliorate le tecniche di individuazione degli inchiostri lascia sperare che anche questi libri, sigillati da duemila anni, potranno essere dischiusi virtualmente, e studiati fino in fondo. Non possiamo escludere che, accanto a trattati filosofici, contengano anche testi di tipo completamente diverso, e magari in latino: dalla Villa di Ercolano, del resto, provengono anche frammenti di libri latini, in cattive condizioni ma di enorme interesse. E possiamo sperare concretamente che le nuove tecniche, come già avvenuto in passato, possano essere riadattate per contribuire alla decifrazione di altre tipologie di reperti scritti, come i frammenti di papiro e pergamena trovati, in enormi quantità, in Egitto.

Certo, i tempi di comprensione di un documento o di un’opera letteraria antica, non sono immediati, anche quando se ne riesce a disporre di una buona immagine. Comprendere i ragionamenti di Epicuro, Filodemo o Metrodoro, ricostruire le acrobazie linguistiche di un poeta o di un retore greco o latino, identificare personaggi, ricostruire storie e fatti sono imprese lunghe, che richiedono sforzi esegetici lunghi e costanti, facilmente frustrati dalla disarmante precarietà dei contratti pensati per chi vorrebbe fare il suo ingresso nel mondo della ricerca (specialmente umanistica) e da una burocrazia troppo spesso incomprensibilmente soffocante.

Il Vesuvius Challenge ha mostrato tutte le potenzialità delle nuove tecnologie, e di una sinergia tra matematici, fisici, informatici e antichisti. Speriamo che le istituzioni pubbliche sappiano dare il loro contributo.

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