Sono poche le parti del corpo umano più insignificanti delle unghie. I lobi delle orecchie, forse, ma almeno quelli reggono gli orecchini. Le unghie non hanno alcuna funzione pratica nella vita quotidiana, almeno da quando abbiamo smesso di andare a caccia o di scavare buche con le mani, sicuramente da molto prima che mettessero le linguette per togliere il cappuccio ai tappi dello spumante.

Nell’èra delle piattaforme di streaming non hanno mantenuto neanche quell’ultima parvenza di utilità rappresentata dalla rimozione dell’inespugnabile involucro di plastica dei cd.

A parte a ritrovare il segno del nastro adesivo e a scollare il primo lembo di ceretta rappresa, non servono a niente, ho pochi dubbi a riguardo. E allora com’è che mi sono ritrovata a spendere 40 euro al mese per prendermene cura?

Mani da pianista

Faccio un passo indietro, nel tempo e anche nel senso del pudore, e dichiaro senza falsa modestia che ho delle bellissime mani. Le ho sempre avute. Fin da bambina mi sono sentita ripetere che erano mani da pianista, e infatti stanno molto bene in foto, abbandonate con grazia sui tasti di un pianoforte.

Tuttavia i cinque anni di lezioni in cui imparai a suonare solo l’Inno alla gioia sono indicativi di una qualità puramente estetica e non altrettanto sostanziale.

Anche le mie unghie sono piuttosto attraenti. «È il marchio Pilotti»,  ripete sempre mio nonno con immotivato orgoglio paragonando le mie unghie alle sue e a quelle di mio padre. Sono in effetti tutte uguali, indizio inequivocabile della condivisione del patrimonio genetico, casomai ci fossero dei dubbi sulla linea di discendenza.

Un dono del tutto superfluo, a cui tuttavia ho sempre portato rispetto: pur essendo una persona piuttosto ansiosa, le unghie non me le sono mai mangiate. Non solo non me le sono mai mangiate, ma mi sono sempre chiesta quale fosse la meccanica dietro a quelle unghiette scarnificate che disapprovavo nelle mie amiche, che le divoravano fino a farle sparire.

A oggi non capisco come sia fisicamente possibile mangiarsi le unghie. Bisogna avere dei denti molto forti? O delle unghie molto deboli? Cosa ci fai con la lunetta di unghia staccata? E se si ingoiano, fanno ingrassare?

Al contrario, le ho sempre valorizzate: darmi lo smalto negli anni è diventata una specie di pratica zen a cui dedicarmi con moderata frequenza. Mi piace la compostezza del rituale, il precario equilibrio tra pace dei sensi ed esaurimento nervoso che mi trasmette fare la stessa cosa con la mano destra e poi con la sinistra, che non so usare neanche per lavarmi i denti, ma a cui ho insegnato a stendere lo smalto come una professionista.

Per anni ho giudicato con un malcelato senso di superiorità chi si faceva fare la manicure a pagamento: non sapevano cosa si stavano perdendo queste donne, quante cose su di sé e sul mondo si possono imparare con un pennello così piccolo in mano.

La dipendenza

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Poi un giorno qualsiasi di qualche mese fa un pensiero intrusivo ha attraversato la mia mente e prima che riuscissi a spiegarmene il motivo mi sono ritrovata in un salone di bellezza cinese a chiedere una manicure con smalto semipermanente, una decisione che – avrei scoperto presto – non andava presa con tanta leggerezza.

In quel momento, con poche semplici parole e una decina di ruote di unghie finte tra le mani, cambiavo il corso del mio destino. Quello che non sapevo, mentre facevo scorrere le mie dita vergini tra i mille colori Shellac, è che di lì a pochi minuti mi sarei trovata in un tunnel di dipendenza da cui è impossibile uscire. Io l’eroina non l’ho mai provata, ma non me la immagino molto diversa dallo smalto semipermanente.

«Tonde o quadrate?», mi chiede la ragazza asiatica che mi sta iniziando a questa droga, e io le rispondo “tonde”, ma la sua domanda ha un peso specifico che lì per lì non colgo. Quello che in realtà mi sta chiedendo, il sottotesto che mi sfugge, è: sei pronta a darmi tutti i tuoi soldi per il resto dei tuoi giorni e contestualmente a cambiare personalità?

Un’ora dopo esco da lì con le unghie lunghe da stronza, impeccabilmente smaltate e luccicanti. Scopro immediatamente che le unghie che ritenevo inutili possono essere oltretutto dannose nella vita di tutti i giorni. Ora non riesco a scrivere messaggi con le dita e mando una sfilza di vocali per informare tutti i miei conoscenti che da adesso in poi comunicherò solo in questa modalità.

«Scusa, non riesco a fare altro con queste unghie» mi lamento al telefono con una punta di compiacimento. Passo lunghi minuti a raspare i banchi dei negozi con le mani frenetiche cercando di raccogliere il resto in moneta, e se mi cade una carta di credito in terra la do per spacciata: tanto vale chiamare la banca e bloccarla, non riuscirò mai più a raccoglierla con queste unghie.

Ogni tanto mi cade l’occhio sul sotto dell’unghia e mi rendo conto che è pieno di briciole di quello che ho mangiato a pranzo e allora mi viene voglia di tagliarmele, ma poi le guardo da davanti e cambio idea. Sono così belle, così inscalfibili.

La cosa che più mi dispiace è che ora che ho delle unghie resistenti a tutto potrei finalmente lavare i piatti senza rovinarle, e invece con le unghie lunghe faccio fatica a fare anche gesti semplici tipo tenere un bicchiere con una mano e la spugna con l’altra.

Da ricca

E allora capisco che il semipermanente è una menzogna, che quelle non sono solo unghie da stronza, ma sono unghie da ricca. Sono le unghie di una persona che non maneggia monetine e piatti unti, che non mangia carboidrati che le si sbriciolano tra le mani, che ha la lavastoviglie in cucina e comunque non la carica lei.

Sono le unghie di una persona che a quei 40 euro mensili non dedica chissà quale pensiero, di sicuro non gli dedica 6mila battute sul giornale.

Non sono le mie unghie queste, sono poco pratiche e stridono con i capelli crespi di una che non può permettersi la cheratina dal parrucchiere. E poi mi manca il mio rituale zen.

Ma ormai è troppo tardi, ci sono dentro fino al collo: solo una professionista dotata di strumenti adeguati può rimuovere il semipermanente e quando me la ritrovo davanti il mese successivo e mi chiede «tonde o quadrate», ma anche «normale o semi», io vorrei essere forte e tornare alle mie unghie da persona normale, sottrarmi alla lima con cui lei sta raschiando via i residui della mia forza di volontà, ma le ruote di Shellac mi confondono e capisco di non avere scelta. “Semi”, le dico, giurando a me stessa che è l’ultima volta.

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