Quanto della conflittualità tra Roma e la Germania, ricorrente nei secoli passati, grava sui difficili rapporti attuali? «Gli stereotipi nazionali in cui ci si imbatte su entrambi i versanti delle Alpi – ha scritto lo storico Volker Reinhardt – sono ancora in gran parte figli del repertorio degli umanisti e della Riforma». L’affermazione è senz’altro fondata, anche se il rapporto è in realtà molto più complesso e risale addirittura al medioevo. Anche in ambito religioso, dove le diversità e le contrapposizioni sono da sempre forti.

Un focoso risentimento emerge da quanto Lutero scriveva «alla nobiltà cristiana di nazione tedesca» scagliandosi contro l’uso dell’olio d’oliva al posto dello strutto durante la quaresima: «A Roma non rispettano il digiuno, mentre noi siamo costretti a mangiare un olio che non useremmo neppure per ingrassare le scarpe. Poi ci vendono il diritto di mangiare grasso e di nutrirci con ogni tipo di alimenti, anche se il santo apostolo ci disse che il vangelo dona a tutti la libertà».

Il teologo Hans Urs von Balthasar, che ha studiato con finezza in un libro memorabile «il complesso antiromano» (antirömische Affekt), pur non considerandolo esclusivo della Germania ha affermato che all’origine dell’impero tedesco vi è «il radicale “sentimento antiromano” di Agostino». Eppure, in gran parte proprio all’impero il papato deve il movimento riformatore, poi detto gregoriano, che nell’XI secolo risolleva la sede romana dalla «pornocrazia» a cui i pontefici l’avevano ridotta.

Verranno poi i papi che affrontano duramente l’impero, interlocutore temibile che tuttavia resta «sacro» fino alla soppressione napoleonica. Emblematica in questo contesto è la scarsità nel medioevo dei cardinali tedeschi, che vengono definiti più rari di un corvo bianco. Il motivo è la spartizione dei poteri: va infatti assicurato – scrivono i teologi romani – l’equilibrio tra l’imperium, proprio della nazione germanica, e il sacerdotium, di cui va assicurata l’indipendenza.

Limitare l’infallibilità

Ma nel 1875 sarà proprio una dichiarazione collettiva dei vescovi tedeschi a restringere opportunamente la portata del nuovo dogma dell’infallibilità papale, interpretazione subito confermata dallo stesso Pio IX. Un servizio in questo caso reso dalla Germania a Roma, secondo un’armonia più generale con l’Italia sognata mezzo secolo prima in un suggestivo dipinto allegorico di Friedrich Overbeck.

Anche oggi il difficile rapporto tra Roma e il cattolicesimo tedesco continua a fare notizia. Mentre papa Francesco ultimava alcuni ritocchi alla composizione delle prossime assemblee sinodali per aprirle a una presenza controllata dei laici, da Colonia arrivava infatti l’ennesimo intervento sul sistema di finanziamento della chiesa cattolica, da anni al centro di dibattiti e polemiche.

In ballo è la celebre Kirchensteuer («tassa per la chiesa»), basata sull’antichissima usanza delle decime – con radici addirittura nella Bibbia ebraica – e che in Germania è obbligatoria per gli appartenenti alle confessioni riconosciute dallo stato. Alle imposte da pagare bisogna infatti aggiungere l’otto o il nove per cento destinato alle chiese.

Un meccanismo dunque ben più serio e impegnativo per i fedeli tedeschi di quelli escogitati in paesi come l’Italia e la Spagna. Vi è certo la possibilità di non versare la tassa, ma questa decisione – che fa risparmiare sulle imposte – va formalizzata, e comporta l’abbandono della confessione di appartenenza. Come si capisce, è un problema non da poco, dati i numeri dell’emorragia di fedeli. Luke Coppen ha ricordato, sul sito The Pillar, che in Germania sono stati quasi 360mila i cattolici ad aver abbandonato la chiesa nel 2021, ultimo dato disponibile. Un numero molto più alto dei protestanti, che nello stesso periodo si sono cancellati dalla ventina di denominazioni federate nella Evangelische Kirche in Deutschland: 280mila, anche se l’anno scorso gli abbandoni sono balzati a ben 380mila.

Su questo Benedetto XVI era intervenuto all’inizio del pontificato con una notificazione del Consiglio per i testi legislativi. Il testo infatti sottolineava che «l’atto giuridico-amministrativo» di abbandono della chiesa «di per sé non può costituire un atto formale di defezione» dato che «potrebbe rimanere la volontà di perseverare nella comunione della fede», sottintendendo che l’abbandono è spesso finalizzato a un risparmio sulle tasse.

Per frenare il fenomeno vi sono stati successivi aggiustamenti, ma la conferenza episcopale tedesca ha sostanzialmente confermato la prassi vigente, fondamentale per le strutture ecclesiastiche che stipendiano circa 800mila persone in tutto il paese. Nel 2011 a Friburgo – non solo per questo, e rivolto non solo ai cattolici tedeschi – Benedetto XVI aveva ribadito la sua critica di quell’atteggiamento della chiesa che spesso dà «all’organizzazione e all’istituzionalizzazione un’importanza maggiore che non alla sua chiamata all’essere aperta verso Dio e a un aprire il mondo verso il prossimo».

Cammino

Domenica scorsa Ansgar Puff, vescovo ausiliare di Colonia appartenente alla minoranza conservatrice dell’episcopato, ha di fatto rilanciato la preoccupazione di Ratzinger perché sull’emorragia di fedeli si è chiesto se davvero abbiano perso la fede quei cattolici che per sottrarsi alla tassa ecclesiastica hanno dichiarato la loro uscita dalla chiesa. La maggior parte no, ha risposto il prelato, ponendo così di nuovo il problema.

Il tema non è stato affrontato dal sinodo tedesco – più propriamente «cammino sinodale» (synodaler Weg) – che dopo quasi quattro anni ha da poco concluso i suoi lavori. Alcune richieste del sinodo hanno fatto molto scalpore, da un maggior ruolo istituzionale delle donne nella chiesa alla benedizione delle coppie omosessuali, fino al nodo del celibato dei preti. Richieste che preoccupano Roma e hanno fatto parlare, nel quadro del positivo processo sinodale mondiale, ma in senso critico, di un «cammino speciale» (Sonderweg): certo non il più importante, ha appena osservato in un’intervista sulla Tagespost il cardinale Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma.

Non bisogna però dimenticare da dove ha avuto origine il sinodo tedesco, e cioè dallo scandalo degli abusi, come ha ricordato Paola Colombo su Il Regno, testata che ha seguito il «cammino» dei cattolici tedeschi sin dall’inizio nel 2019. Un fatto purtroppo innegabile e drammaticamente dimostrato nelle ultime settimane da notizie che hanno coinvolto diocesi importanti e figure di primo piano. A conferma del carattere «sistemico» di questo scandalo, denunciato senza mezzi termini nel 2021 dall’arcivescovo di Monaco e Frisinga, il cardinale Reinhard Marx.

Proprio a Friburgo, dove papa Ratzinger aveva pronunciato il suo discorso ai cattolici impegnati nella chiesa e nella società, un’indagine indipendente ha rivelato nell’ultimo ventennio abusi e coperture, anche da parte dell’arcivescovo emerito Robert Zollitsch. L’ottantaquattrenne prelato, esponente dell’ala progressista che dal 2008 al 2014 ha presieduto con efficacia la conferenza episcopale, ha riconosciuto i propri errori nella gestione degli abusi e, con due gesti clamorosi, ha restituito al presidente federale la Gran croce dell’Ordine al merito e comunicato al suo successore di rinunciare al privilegio di essere sepolto nella cripta della cattedrale.

Presenza femminile

Per gli stessi motivi un mese fa ha rassegnato le dimissioni dalla guida della diocesi settentrionale di Osnabrück un altro vescovo della stessa linea, Franz-Josef Bode. Molto attivo a favore soprattutto della presenza femminile nella chiesa durante i lavori del sinodo tedesco, Bode aveva sottolineato in proposito l’impossibilità di ignorarlo con un’immagine plastica, perché «non si può far rientrare il dentifricio nel tubo da cui è uscito».

Roma ha più volte reagito agli aspetti più dirompenti emersi dal dibattito sinodale tedesco, e lo stesso papa Francesco è intervenuto: nel 2019 con una lunga lettera personale, pur senza evocare punti precisi, e alcune settimane fa, nell’intervista con l’Associated Press, con frasi taglienti, a cui alcuni esponenti laici tedeschi hanno subito replicato. Concluso il sinodo, dovrà ora essere costituito un nuovo consiglio sinodale, ma l’idea è stata bocciata da Roma. E in questo quadro assume un inequivocabile significato la clamorosa mancata riconferma di Marx nel consiglio dei cardinali consiglieri del papa.

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