La valutazione in campo educativo è un argomento in grado di suscitare un acceso dibattito pubblico e nette prese di posizione. Tuttavia, spesso tali prese di posizione non sono sostenute dalle competenze che in altri ambiti – come la salute, l’economia o il calcio – vengono generalmente richieste per intervenire. L’attuale ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, sembra ritenere di non doversi sottrarre a questa regola.

Le valutazioni descrittive

In primo luogo, per Valditara le schede di valutazione nella scuola primaria «non sono chiare» e i livelli descrittivi vanno sostituiti dai vecchi voti come “Ottimo” o “Sufficiente”.

Come funzionano attualmente le schede alla primaria? Dal 2021 la valutazione sulla scheda è di tipo descrittivo. Infatti, “il voto” (espresso da quattro livelli) viene ancorato a una descrizione dei progressi mostrati nello svolgimento di concrete attività collegate a specifici obiettivi di apprendimento per ciascuna disciplina.

Questa scelta è in linea con le evidenze empiriche emerse dalle ricerche docimologiche (la docimologia è la branca della pedagogia che si occupa di valutazione) svolte sulle scelte valutative più efficaci. Abbiamo infatti appreso, nel corso degli ultimi decenni, che una valutazione migliora l’apprendimento se descrive le attività svolte.

Per questo motivo, sulla scheda di un alunno è possibile leggere “Avanzato” in relazione a un obiettivo legato alla comprensione del testo e “Base” in relazione all’obiettivo relativo alla produzione scritta. Al contrario, la scelta di conferire nuovamente centralità a voti come “Insufficiente”, “Buono” e “Ottimo” riassuntivi di ogni disciplina sgancia la valutazione dai processi di apprendimento e finisce per identificare gli individui coi loro voti. Va inoltre evidenziato come Valditara non abbia portato alcuna evidenza a sostegno della decisione presa. La decisione di tornare al passato è stata assunta senza aver compiuto alcuna indagine sistematica presso le comunità scolastiche per verificare se e quanto le famiglie fossero disorientate. Le ricerche docimologiche condotte dalle università sul campo sono state del tutto ignorate.

Giudizi e voti

Una delle pagelle esposte nella mostra "Le pagelle nei 150 anni della scuola elementare italiana", allestita a Firenze nel 2011 (foto Ansa)

Da parte ministeriale si è inoltre giunti a sostenere che “Sufficiente” fosse un giudizio e non un voto, dimenticando che non è l’espressione numerica a rendere un voto tale, ma il fatto di rappresentare la sintesi ordinale di un giudizio valutativo.

Tra “6” e “Sufficiente” non v’è alcuna differenza: si tratta comunque di voti, ovvero di espressioni sintetiche utili per rendicontare l’avvenuto apprendimento e non certo per migliorarlo.

Se vogliamo usare la valutazione per migliorare l’apprendimento non è affatto necessario assegnare voti, ma formulare descrizioni analitiche delle attività concretamente svolte rispetto a obiettivi specifici. Come noto a chiunque abbia un minimo di competenze docimologiche, conferire centralità a un voto – sia esso “positivo” (“Ottimo”, “10”) o negativo (“Insufficiente”, “5”) – compromette la portata educativa della valutazione e ne rafforza la funzione sanzionatoria e selettiva.

Il problema delle Invalsi

Un’altra scelta inadeguata dal punto di vista docimologico è quella di inserire gli esiti delle prove Invalsi nel curriculum dello studente. Anche questa decisione è tipica di chi, di fronte a problemi complessi, predilige la prima soluzione a portata di mano senza prendersi la briga di verificare se tale soluzione oltre ad apparire semplice e plausibile non sia del tutto sbagliata.

Questa scelta è stata difesa perché garantirebbe una valutazione valida e oggettiva, ma si tratta di una svista grossolana. In primo luogo, va considerato che le prove Invalsi non forniscono misure adeguate delle competenze sviluppate da un singolo studente.

Parliamo infatti di prove utili per misurare entro un margine d’errore accettabile il livello di conoscenze e di abilità di fasce più o meno ampie di popolazione, ma che, se usate su un singolo individuo, offrono un’indicazione del tutto inadeguata.

Va anche considerato che la scuola italiana si prefigge di sviluppare competenze, ovvero la capacità di usare le conoscenze disciplinari per affrontare situazioni che siano insieme aperte, complesse, situate e dinamiche. Si tratta di elementi al di fuori della portata delle prove Invalsi.

Effetti negativi

In secondo luogo, come noto da anni, la scelta di considerare l’esito di tali prove un obiettivo da raggiungere comporta conseguenze piuttosto negative sulla qualità dei processi di insegnamento e apprendimento.

Infatti, in base a quel documentato fenomeno che in ambito docimologico viene definito “effetto contraccolpo”, gli esami finali tendono a dare forma alle attività didattiche.

Questo significa che l’impoverimento delle competenze nelle prove nazionali si trasforma in un impoverimento della qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Nei contesti in cui è stata incautamente fatta una scelta simile questo impoverimento ha preso la forma del “teaching to the test”, un addestramento meccanico alle prove che curva l’insegnamento sull’abilità di riconoscere risposte esatte piuttosto che di produrne personalmente, con pessime conseguenze sia sulla qualità dell’apprendimento sia sulla motivazione ad apprendere.

Un’altra conseguenza dell’effetto contraccolpo è rappresentata dalla scelta, operata da scuole e docenti, di escludere i soggetti che non sono ritenuti in grado di affrontare in maniera accettabile le prove. Questa feroce esclusione, che può prodursi in ingresso o in itinere, opera soprattutto a svantaggio di individui con un retroterra sociale, economico e culturale fragile. Va segnalato che il nostro sistema scolastico non è affatto esente da certi meccanismi. Infatti, la scelta di estendere le prove standardizzate all’intera popolazione scolastica per misurare l’efficacia dei singoli istituti rappresenta già una spinta a sacrificare l’insegnamento all’addestramento al test.

Inoltre, l’assurda decisione di misurare la qualità degli istituti pubblicando classifiche basate sul successivo percorso universitario dei diplomati porta in alcuni casi scuole e docenti a selezionare la popolazione studentesca in modo da non sfigurare in graduatoria. L’introduzione delle prove Invalsi nel curriculum aggraverebbe una situazione già critica di suo.

Senza dimenticare che in assenza di adeguati interventi strutturali di natura economica, sociale e educativa una simile scelta addosserebbe a istituti, insegnanti e studenti dei contesti più fragili tutto il peso delle disuguaglianze di opportunità che attraversano il paese.

Errori fondamentali

Le scelte ministeriali in ambito valutativo mostrano alcuni errori tipici di chi si occupa di valutazione senza avere alcuna cognizione della complessità della tematica.

Il primo errore consiste nel confondere la valutazione col voto e di attribuire a questo la funzione di stimolo all’apprendimento.

In realtà il voto, come visto, è solo una delle possibili scelte comunicative della valutazione, e non è la scelta efficace se la finalità è quella di migliorare l’apprendimento. Attribuire al voto la funzione di stimolo o fine dell’apprendimento è uno dei più gravi errori che si possano commettere, dato che spesso porta a sviluppare atteggiamenti negativi verso la scuola e lo studio.

Un secondo errore consiste nella tendenza ad assumere decisioni in ambito valutativo senza prendersi la briga di fare i conti con la realtà. Le decisioni sulla scuola primaria e sul curriculum sono state assunte senza aver ascoltato il mondo della scuola e della ricerca docimologica, senza aver condotto i necessari approfondimenti per verificare se esse potessero rappresentare soluzioni possibili a problemi reali.

Questa mancanza di atteggiamento scientifico sembra suggerire che il rigore tanto invocato da viale Trastevere debba riguardare esclusivamente scuole e studenti e non le scelte di un ministro che – come mostra in maniera imbarazzante il caso di Pioltello – sembra muoversi nella convinzione che la situazione debba permanere grave ma non seria.

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