Peter Burke, uno dei massimi storici della cultura viventi, pubblica un libro dal titolo Ignoranza. Una storia globale (Raffaello Cortina, 2023). Vasto programma, viene da chiosare con De Gaulle, e forse il rinvio non è peregrino. Lo statista francese, si dice, rispose così a un tale che lo esortava a liberare il mondo dagli stupidi.

E ignoranza e stupidità hanno qualcosa in comune. Certo, non tutti gli ignoranti sono stupidi e non tutti gli stupidi sono ignoranti, ma ignoranza e stupidità condividono un tratto non secondario, quello di avere spesso conseguenze deleterie sulla società. E naturalmente condividono soprattutto la grande diffusione. Tanto che il progetto di Burke si dilata in tutte le direzioni, lasciandoci stupiti e anche un po’ frastornati dalla marea di riferimenti, dati, storie.

È una vera enciclopedia dell’ignoranza, e questo non è strano, perché l’ignoranza non può che essere l’ombra del sapere, il suo riverbero, che preferiremmo evitare ma dal quale non riusciremo mai a staccarla.

È fatale, per le società e per il singolo: più sappiamo e più ci rendiamo conto di quello che non sappiamo, più si allarga il cerchio delle conoscenze e più ci accorgiamo che non riusciremo a padroneggiarne che un minimo frammento. Chi aumenta la conoscenza non aumenta solo il dolore, come dice la Bibbia, ma anche l’ignoranza.

L’altra caratteristica dell’ignoranza è che definirla è maledettamente difficile. Appena ci si addentra nel libro di Burke si scopre che ce ne sono moltissimi tipi, e quando si arriva in fondo ce li riepiloga (quasi) tutti un glossario di oltre 50 specie di ignoranza. Eravamo ignorantissimi sull’ignoranza.

Un’enciclopedia

In effetti le cose si complicano maledettamente, non appena si abbandona il terreno dell’istruzione pubblica, nel quale la percentuale di analfabeti ci dà, almeno per il passato, un indicatore grossolano, ma preciso, della diffusione dell’ignoranza di base. Se giustamente non ci accontentiamo di questa riduzione dell’ignoranza all’analfabetismo, che certo non ha senso nelle società avanzate, possiamo analizzarla suddividendola nei vari campi del sapere, come fa Burke nella prima parte del libro, indagando le forme che prende l’ignoranza in ambito religioso, scientifico, filosofico, geografico, e possiamo studiare le conseguenze che l’ignoranza produce nei vari campi della vita: in affari, in politica, in guerra.

Ma prima ancora di addentrarci in queste suddivisioni forse è necessario riflettere su alcune differenze fondamentali. Per esempio, tra quello che si sa di non sapere, e quello che non si sa di non sapere.

Sembra complicato e non lo è. Ci sono molte cose che non sappiamo, ma ne siamo consapevoli, e questa ignoranza non solo non è difficile da spiegare, ma è anche un’ignoranza facilmente eliminabile.

Per esempio, non so quale sia la capitale del Burkina Faso, ma so che il Burkina Faso è uno stato africano, e so che ha una capitale. Mi basta cercare in rete che si chiama Ouagadougou.

Ma che accade quando non ho cognizione di non sapere qualcosa? Come avanza la conoscenza quando non ho la minima idea della direzione in cui indagare?

Ecco una questione sottile, che coinvolge la scienza e la filosofia, e alla quale infatti un nostro filosofo, Stefano Velotti, aveva dedicato anni fa un libro che si intitola Storia filosofica dell’ignoranza, che andava molto al di là dei soliti rinvii a Socrate che sa di non sapere, allo Scetticismo (che rischia, ci dice Antonio Sgobba in un libro appena pubblicato da Einaudi sull’argomento, Sei scettico?, di perdere la sua nobile tradizione e di diventare la divisa di mattocchi che non la bevono, e pensano che lo sbarco sulla luna sia un complotto), alla dotta ignoranza di Cusano.

Un’altra differenza fondamentale è quella che intercorre tra quello che in inglese è knowing that, sapere che, e knowing how, sapere come. In moltissimi casi constatiamo di sapere qualcosa, ma di non sapere assolutamente come farla. Un vecchio saggio di un critico dell’Ottocento, William Hazlitt, si intitola Sull’ignoranza delle persone colte, e sottolinea il fatto che moltissime persone istruite mancano del tutto di saperi pratici.

Allora accusava l’impostazione letteraria e classica dell’istruzione, ma oggi la quantità di dispositivi che usiamo senza avere la minima idea di come funzionino è aumentata esponenzialmente, e anche l’istruzione scientifica ci può consentire di capirne forse qualcuno, non certo tutti.

Storia sociale

Burke non ignora questi problemi, ma come storico quello che gli interessa è, da un lato, il ruolo che l’ignoranza ha avuto nella storia, dall’altro le conseguenze dell’ignoranza nella vita sociale di oggi. Il primo aspetto apre di nuovo uno scenario di cui non si intravedono i confini. Non per nulla, è proprio pensando alla storia passata che capiamo quanto può essere esteso il campo delle cose che non sappiamo di non sapere. Il Rinascimento pensava di essersi elevato sopra l’ignoranza del Medioevo, e l’Illuminismo si proclamava l’età del sapere e della ragione.

Ma se guardiamo all’organizzazione degli stati si spalancano abissi di ignoranza, nei quali i governanti avevano mezzi scarsissimi per conoscere la situazione dei popoli loro sottoposti, in mancanza di censimenti, catasti, statistiche, burocrazie efficienti, o anche della semplice informazione sulla geografia delle regioni governate.

Altrettanto disarmate quelle epoche si rivelano nei confronti delle epidemie, di cui si ignorano le cause e si stenta a trovare i rimedi. La guerra, poi, è il teatro dell’ignoranza, e questo purtroppo vale per le guerre del passato e per quelle di oggi. Si prendono decisioni senza sapere la situazione reale delle forze nemiche, le quali ovviamente fanno di tutto per tenere l’avversario all’oscuro; ma in moltissimi casi si ignorano in primo luogo le reali capacità dei propri eserciti. La guerra è spesso il campo di quella speciale ignoranza che si riscontra anche in importanti organizzazioni sociali e nelle imprese di grandi dimensioni, là dove i vertici non hanno spesso il polso delle condizioni in cui si opera ai livelli più bassi dell’azienda o dell’istituzione: è quella che Burke chiama ignoranza organizzativa.

Strategia

Qui tocchiamo l’aspetto più attuale del libro di Burke, quello che spiega la voga di quella che potremmo definire una sociologia dell’ignoranza, così come esiste una sociologia della cultura: il fatto che nelle società avanzate la pianificazione strategica dell’ignoranza è diventata tanto più rilevante quanto più riteniamo di vivere in società trasparenti e in cui l’informazione è accessibile.

Appunto perciò si sono sviluppati negli ultimi anni i cosiddetti ignorance studies, che hanno ormai all’estero i loro handbooks, i loro manuali e le loro enciclopedie. L’età dei segreti di stato non è mai finita, e anzi le storie recenti di Snowden e di Assange bastano a dimostrarlo.
Ma sono ovviamente soprattutto gli stati autoritari a ricorrere in maniera sistematica all’insabbiamento, alla disinformazione e allo stravolgimento linguistico per coprire la realtà, a cominciare dal chiamare “operazione speciale” la guerra e a vietare che la si definisca tale, lasciando i sudditi in un’ignoranza tutt’altro che beata.

Metafisica

Ignoranza deliberata e ignoranza incolpevole; ignoranza selettiva e ignoranza utile; ignoranza asimmetrica e ignoranza attribuita: non c’è aspetto, varietà o sottospecie di ignoranza che non trovi nel libro di Burke la sua brava spiegazione ed esemplificazione. Anzi no: Burke un tipo speciale di ignoranza sceglie di ignorarla. È quella che potremmo chiamare la nostra ignoranza metafisica, l’ignoranza in cui ci troviamo tutti di fronte ai massimi problemi: perché sono qui ora? Che cosa mi spetta dopo la morte? Perché esiste l’universo? Perché esiste il male?

Insomma, quelle domande delle quali Wittgenstein diceva «noi sentiamo che, anche se si dà risposta a tutte le domande scientifiche possibili, i problemi della nostra vita non risultano ancora neanche toccati». Il fatto è che di fronte a queste domande Burke non potrebbe immaginare risposte, e sarebbe costretto, come quel positivista dell’Ottocento, ad ammettere: Ignoramus, et ignorabimus. Questa volta non potrebbe che arrendersi all’ignoranza: non sappiamo, e non sapremo.


Ignoranza. Una storia  globale (Raffaello Cortina Editore 2023, pp. 384, euro 25)  è un saggio  di Peter Burke

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