Si racconta che l’ex presidente degli Usa, l’indimenticato George W. Bush, per dare l’idea dell’inferiorità economica della Francia non trovasse formula migliore di questa: «Basti dire che in francese non c’è neanche una parola per entrepreneur!». 

Può darsi che questa sia solo una delle tante battute sul poco cervello di Bush junior. Ma è comunque istruttiva, perché mostra come un americano istruito possa non rendersi conto che entrepreneur “imprenditore”, parola centrale nel lessico inglese moderno, è puro francese. E non è il solo caso.

Di parole francesi il lessico inglese infatti pullula, al punto che un libro che sta facendo parecchio chiasso in Francia (uscito da Gallimard, il più importante editore del paese) per mano di uno specialista di alto livello come Bernard Cerquiglini, lo dichiara già dal titolo: La langue anglaise n’existe pas. Il sottotitolo è ancora più forte: «È solo francese mal pronunciato».

Anche le due tesi sintetizzate nel titolo e sottotitolo sembrano battute. E lo sono davvero: sono di Georges Clemenceau, presidente della Repubblica all’epoca della Grande Guerra e uno dei protagonisti del Trattato di Versailles. Clemenceau (soprannome popolare “Tigre”) aveva fama di battutista micidiale e, siccome parlava inglese, poteva permettersi qualche opinione al proposito. Ma, da uomo di potere qual era, si concedeva anche taglienti giudizi geopolitici come questo: «L’Inghilterra non è che una colonia francese finita male».

Quasi un dialetto

Sotto le battute, però, si celano indiscutibili fatti storici, che Cerquiglini documenta ampiamente per mostrare, in tono serio e colto, ma con felici venature di humour e qualche perfidia, che in fondo l’inglese è davvero una sorta di dialetto del francese. Riassumo rapidamente. Verso la fine del secolo XI, il principe normanno Guglielmo, rivendicando la corona d’Inghilterra, sbarca sull’isola e nel 1066 si scontra a Hastings col sovrano in carica Aroldo II e lo sconfigge.

Così si aggiunge l’appellativo “il Conquistatore” e dà inizio alla colonizzazione dell’isola, anche dal punto di vista linguistico. L’aristocrazia normanna che si sostituisce a quella locale usa come lingua madre il francese (propriamente, il dialetto normanno) per più di un secolo, imponendolo anche alla nobiltà locale.

Quando nel 1204 i normanni perdono la corona, il francese come lingua madre comincia a declinare, ma conserva uno status di prestigio, perché viene imparato ad hoc da quanti operano nella sfera della cultura, del commercio, del governo e dell’amministrazione.

Sebbene alla fine del XVI secolo l’inglese si imponga a tutti i livelli, nei quattro secoli trascorsi nel frattempo il francese gli ha impresso un’impronta profonda, ribadita nel Settecento da una lunga fase di “gallomania” (la moda di parlar francese per fare fino, che si diffuse anche in Italia). Gli émigrés, cioè gli aristocratici passati in massa in Inghilterra per sfuggire alla Rivoluzione francese, completarono l’opera.

Un dizionario

Qual è il risultato di questo lungo processo? Prima scacciato dal francese normanno, poi gradualmente tornato in auge ma sempre sotto l’influsso culturale e politico della Francia, l’inglese moderno ha passato quasi tutta la sua storia intrecciato inestricabilmente al francese. Nell’inglese attuale le voci di origine francese sono più di 80mila, l’equivalente di un dizionario di medie dimensioni.

Persino l’inglesissimo Shakespeare non sfugge a questo lascito: il quaranta per cento delle parole usate nelle sue opere è di origine francese. In totale, nel vocabolario inglese quale si è accumulato dal 1066 (data della conquista normanna) al 1945, le parole francesi sono il ventinove per cento, la stessa percentuale di quelle latine. Le voci propriamente germaniche (la famiglia linguistica a cui l’inglese appartiene) sono appena il 26 per cento; il restante ha origini varie.

Sommate tra loro, la quota latina e quella francese danno quindi quasi il 60 per cento del totale: non è difficile concludere che, almeno dal punto di vista lessicale, l’inglese è sostanzialmente … una lingua neolatina, più o meno come lo spagnolo o l’italiano. «Senza i normanni» osserva Cerquiglini con una punta di perfidia, «oggi l’inglese sarebbe un secondo olandese», cioè una lingua germanica pura, con poco o nessun legame con le lingue derivate dal latino.

Il lessico

L’effetto complessivo è forse unico al mondo. Una gran massa di parole, che tutti consideriamo inglesi, sono pienamente francesi, anche se alterate nella grafia e, ovviamente, nella pronuncia. Foreign “straniero” è il francese antico forain, grief “dispiacere” è il francese grief “pena”, noise “rumore” è il francese noise “rumore, subbuglio” (dal latino nausea), proud “fiero” non è che il francese antico prod “prode, valoroso” e così via.

In altri casi, la traccia è meno visibile: pochi riconoscerebbero il francese mousseron sotto mushroom “fungo”, potage sotto porridge o bouteiller “coppiere” sotto butler “maggiordomo”. In molti casi l’inglese ha conservato parole francesi che il francese ha perduto o che mantiene con altro significato.

Challenge “sfida”, per esempio, proviene sì dal francese antico chalenge “attacco, sfida” (a sua volta dal latino calumnia), ma per quel significato il francese moderno ha preferito défi. I casi di questo tipo sono tanto numerosi che, secondo Cerquiglini, «l’inglese è un museo nazionale della lingua francese».

Un altro tratto peculiare consiste nel fatto che l’inglese ha una lunga lista di doppioni: da una parte le parole propriamente inglesi, dall’altra quelle latine quasi sinonime: deep e profound “profondo”, wild e savage “selvaggio”, fiend e enemy “nemico”, grave e tomb “tomba” ecc.

In certi casi, a queste due colonne se ne aggiunge una di parole di origine latina, entrate in inglese col monachesimo medievale: boldness, courage e fortitude significano tutte “coraggio, ardimento”, anche se con un crescendo di tono.

Lingua imperiale

Se è forse un po’ esagerato, come fa Cerquiglini, sostenere che «la lingua inglese è un francese regionale», non c’è dubbio che l’impronta francese nella lingua più parlata nel mondo sia fortissima.

Tutta questa storia mostra che le lingue viaggiano non solo con gli intellettuali e gli artisti, ma anche con gli imperi e gli eserciti, e che una lingua imperiale come l’inglese può incorporare come suo ingrediente primario un’altra lingua imperiale.

A questo tema Cerquiglini è particolarmente sensibile: Come idioma internazionale» conclude infatti «l’inglese è per l’essenziale francese: la fortuna della lingua inglese è uno dei suoi (del francese) più bei trionfi».

Non è un caso che il successo del suo libro risponda oggettivamente alla chiamata patriottica che Emmanuel Macron lancia da mesi al paese, annunciando il «ritorno dell’autorità nella scuola», inaugurando nel castello di Francesco I a Villers-Cotterêts una fastosa Cité internationale de la langue française ed evocando un «riarmo demografico».

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