«Che cos’è la traduzione? Su un vassoio / di un poeta il capo pallido e infuocato, / il garrito di un pappagallo, il farfugliare di una scimmia, / e profanazione del morto». Questi versi di Vladimir Nabokov riassumono la natura fisica della traduzione, il delicato corpo a corpo tra una lingua e l’altra, il tentativo di entrare in un alfabeto sconosciuto, di dare nuova forma a un libro.

Marco Rossari, scrittore e traduttore, con L’ombra del vulcano (Einaudi) allestisce una raffinata indagine sui significati della traduzione e rende bene la misura di come il lavoro sulla lingua possa assumere un valore totalizzante sul corpo del traduttore: le parole diventano spiriti che guidano una riflessione sul «rapporto con il mondo e la collocazione all’interno del tempo» perché tradurre non è solo tecnica, ma è «prima di tutto una scelta intima, un continuo dialogo interiore con la vita».

Il gioco letterario 

Questo orizzonte già di per sé colmo di significati assume un valore ancora più grande nel momento sentimentalmente difficile che Rossari racconta nel libro e per via del faticoso lavoro su «un capolavoro che funziona come un prisma e riflette ogni vicenda»: in L’ombra del vulcano l’io narrante infatti ripercorre, durante un’estate caldissima a Milano, la fine dolorosa di una lunga storia d’amore e il lavoro di traduzione sul mitico romanzo di Malcolm Lowry Sotto il vulcano (le ultime ore di vita in Messico di Geoffrey Firmin in compagnia di Yvonne, ex-moglie infedele e innamorata, ma soprattutto racconto di «una vita in compagnia dei demoni dell’alcol e dei fantasmi dell’amore», traduzione poi pubblicata da Feltrinelli nel 2018).

«Lupo di mare, eppure fragilissimo. Arrogante, eppure umile fino alla prostrazione. Aveva creduto in un’Unica Opera Definitiva, nel Grande Romanzo Totale, e aveva rischiato di lasciarci le penne», scrive Rossari dello scrittore britannico e nella sovrapposizione tra opera e traduttore (e non, si badi bene, tra Lowry e il suo traduttore, Rossari mitizza forse il suo autore, ma intelligentemente mai sé stesso) che nutre il riuscito gioco letterario, il pericolo di «lasciarci le penne» assume una sfumatura più tenue ma non meno persistente, che rimanda al dolore per l’amore finito e alla crescente consapevolezza di non essere più in due.

Al Baracchino, decadente bar sotto la tangenziale dove si esorcizza l’afa con «orrendi Martini all’anguria», per riassumere il romanzo che sta traducendo a un amico, soprannominato Piccolo Console come il protagonista di Sotto il vulcano, Rossari mette emblematicamente in mostra la condizione comune tra lui e il protagonista di Lowry («non mi era mai successo di affrontare un testo così difficile e così aderente alla situazione in cui mi trovavo») che «s’è lasciato con la moglie. Beve troppo. Invece della felicità, sceglie la dannazione».

Tanti amori

L’ombra del vulcano è forse più di ogni altra cosa un libro capace di dare una forma alle varie declinazioni del sentimento amoroso: Rossari infatti descrive le fasi che sanciscono l’innamoramento e quelle che segnano la separazione, ritorna con la mente a viaggi lontanissimi e alle banalità del quotidiano, non si rifugia mai nel patetico (anzi si prende gioco di immagini e similitudini stereotipate) e spinge invece su filtri differenti, soprattutto una pungente ironia, per parlare di cosa significhi amare.

Così, come suggerisce l’anaforico «il cuore è un mistero» della prima manciata di pagine e la folgorazione per la letteratura a seguito della scoperta a scuola di Il cuore rivelatore di Poe, più di Lowry, più di Sotto il vulcano, più di ogni altro straordinario e necessario particolare che compone All’ombra del vulcano, il protagonista assoluto di questo libro è proprio il cuore, l’organo che Rossari ha imparato a sentire a vent’anni dopo una pericardite che gliene ha fatto approfondire il ritmo e il suono, come se, come accade per le avvisaglie non auscultate della fine dell’amore, ogni cosa si conosce veramente quando è in bilico.

Traduzione erotica

«E allora forse tradurre voleva dire non stare mai soli» scrive a un certo punto Rossari, che si pone in maniera perfettamente armonica tra l’opera di Lowry e la fine del suo amore, tra la solitudine e l’alcolismo dello scrittore inglese e la necessità di ricostruire la sua esistenza, riflettendo in maniera mai cervellotica, ma anzi sempre sincera, su una fedeltà complessa verso la letteratura.

Si tratta certamente di un amore diverso, ma che aderisce alla perfezione all’amore verso gli altri e forse, ancor di più, verso la conoscenza di sé stesso: «Stare a mollo nelle lettere e nella sintassi, adeguarsi agli abiti altrui, abitare una casa sconosciuta, perdersi nell’identità di un estraneo per poi lentamente riemergere, ritrovarsi. Era come innamorarsi. Non era solo capire l’altro, era anche capire sé stessi, le proprie potenzialità, i propri limiti. Mutare. E non in modo retorico, ma erotico: grazie al contatto, allo sfregamento con qualcun altro. La lingua sulla lingua. Il corpo del testo sul corpo del testo».

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