C’è una fotografia scattata a New York nel 1947 e diventata iconica: ritrae la segretaria ventitreenne Evelyn McHale, precipitata per sua volontà dalla terrazza all’ottantaseiesimo piano dell’Empire State Building e atterrata di schiena su un’auto parcheggiata, morendo all’istante. Evelyn è composta e truccata, quasi a suo agio; un braccio appena piegato e la mano guantata appoggiata sul petto; l’altro braccio disteso lungo un fianco, le gambe incrociate. Se non fosse per le calze strappate e il tettuccio della macchina sfondato, si direbbe che stesse riposando.

Erano passati appena quattro minuti dallo schianto quando lo studente di fotografia Robert Wiles la immortalò e, benché lei lasciò scritto che non voleva che nessuno vedesse il suo corpo, fu proprio attraverso quell’ultima, terribile e terribilmente bella fotografia, che Evelyn passò alla storia come “la suicida più bella di sempre”. Andy Warhol la rese un’icona, anche se di lei non rimane nient’altro.

La bellezza inattesa, calata in un contesto così lontano dalla bellezza che se ci si ferma un’istante a pensare a cosa si stia in effetti osservando fa correre lungo la schiena un brivido di raccapriccio, è qualcosa in grado di ossessionare. E in letteratura una buona ossessione è più importante di qualsiasi ispirazione estemporanea. Le ossessioni muovono gli scrittori e scuotono i lettori. Dietro ogni esordio folgorante c’è un’ossessione ben radicata, uno sfondo ben definito e straniante, un carattere ben conosciuto. Quando nelle scuole di scrittura creativa si ripete il vecchio mantra «scrivi di ciò che conosci», si tralascia un particolare: «Scrivi di ciò che conosci e non ti fa dormire la notte».

La violenza che tiene svegli

Quando nel 1981 il romanziere texano Joe R. Lansdale ha pubblicato il suo primo romanzo – comparso in Italia nel 2003 con il titolo Atto d’amore e di recente riproposto da Einaudi che sta curando la ripubblicazione di tutti i suoi titoli – aveva la mente strabordante di ispirazione proveniente dagli ambiti più disparati. Ma più di tutto lo ossessionava la violenza distruttiva. Col tempo e la consuetudine avrebbe imparato a modularla, ad ammansirla e a trasformarla in equilibrato materiale da romanzo con il controllo di chi pratica assiduamente le arti marziali; ma in quei primi anni di scrittura frenetica voleva semplicemente esplorarla. Non ci dormiva la notte, perciò decise di scriverne.

A trent’anni non ancora compiuti si era imbattuto in Anatomia della distruttività umana di Erich Fromm e aveva deciso di calarsi gambe avanti, trattenendo il fiato ma tenendo gli occhi bene aperti, nel marasma della follia omicida e autolesionista. Complici gli studi di criminologia di sua moglie, lesse tutto ciò che gli capitava a tiro riguardo le devianze violente e ne fece tesoro. Compose il quadro con precisione assoluta, posizionando in perfetto equilibrio le figure di un diorama di terribile crudeltà che, preso nel suo insieme, ha raggiunto la stessa attraente perfezione compositiva della foto di Evelyn McHale.

Atto d’amore ne è risultato come un canto sguaiato, al contempo visionario, stralunato e dolce. Come accade per Dalia Nera di James Ellroy, dal ritrovamento del primo cadavere, straordinariamente bello e martoriato, per il lettore diventa impossibile distogliere lo sguardo anche quando l’argomento si fa per stomaci forti.

«Ogni morte è una sinfonia di meraviglia assoluta, sappiamo che stiamo assistendo a un gesto tremendo, ma non possiamo che dirci compiaciuti», per prendere in prestito le parole che un critico per niente di bocca buona e stomaco pronto come John Updike riservò alla prima trasposizione cinematografica del capolavoro di Ellroy.

Da quel primo romanzo in avanti, l’universo di Lansdale si è fatto sempre più particolareggiato, rimanendo qualcosa di selvaggio – come la “stagione” che da’ il titolo al primo capitolo della fortunata saga di Hap e Leonard, inaugurata nel 1990 e divenuta l’ammiraglia della sua produzione: inesauribile fonte di scazzottate e sparatorie, qualche coma, qualche bacio appassionato, un continuo ruminare biscotti alla vaniglia.

Plasmare realtà

In più di quarant’anni di attività, oltre cinquanta romanzi, duecento racconti, qualche film, graphic novel e rari saggi, Lansdale ha sviscerato diversi generi: dal poliziesco al noir, passando per l’horror e tenendo sempre ben alta la bandiera del thriller letterario. Tanto con la Trilogia del Drive In (scritta tra il 1988 e il 2005), magnifico esempio di come i dogmi del cinema splatter, weird e body horror possano essere trasposti in letteratura senza perdere efficacia, quanto con il resto della sua vasta bibliografia, ha ridato lustro e presenza alla serialità, forgiando una lingua e un’abitudine riconoscibile e costruendosi un’intorno di lettori affezionati e accaniti.

Se di Stephen King si può dire che ha trasceso il genere per battezzare un nuovo corso modellando attorno ai suoi romanzi e racconti un universo vitale, per Lansdale bisognerebbe andare un passo oltre: ha plasmato realtà complete, parallele e intrecciate tra loro a un livello di citazionismo, fervore e strizzatine d’occhio degno del miglior Quentin Tarantino.

Fuori dal tempo

«Il mio primo pensiero», dice oggi, «È quello di far bene il mio lavoro. Di scrivere al meglio delle mie capacità. Poi l’idea mi porta dove vuole, mi guida attraverso i generi senza che io coscientemente scelga mai di darle un particolare risvolto».

I suoi libri, insomma, decidono da soli in quale ambito ricadere muovendosi all’inseguimento della scrittura in un ambiente ormai così ricco di spunti da non incappare mai nel rischio di un vuoto di ispirazione. Un Texas orientale onnipresente e florido ne quale una schiera di personaggi tratteggiati al punto da vivere vite indipendenti si muove e prospera sullo sfondo di una costante lotta tra male, assoluto, e bene, quasi sempre relativo. «Il girone infernale della moderata perversione», per dirla con Dean Koontz.

Ed è un panorama che non cambia col tempo, rimane uguale a sé e fuori dalla contemporaneità, pur aggiornandosi: «Seguo le epoche, ma non mi faccio influenzare da esse», continua Lansdale. «Penso che la mia scrittura viva al di fuori dal tempo presente, indipendentemente dal “quando” dei miei romanzi e dei miei racconti».  

L’ordigno innescato

Dalla prima comparsa di Atto d’amore, che a rivederlo oggi ricorda la calma inquietante sul viale d’ingresso della Casa d’inferno di Richard Matheson – altro inscalfibile riferimento lansdaliano –, ciò che sicuramente non è mai tramontato è l’inclinazione all’ossessione. «I miei interessi sono cambiati nel tempo, mi sono fatto intrappolare in nuove attività, in nuove fissazioni, ma il modo in cui le porto sulla pagina, quello non è mai cambiato», commenta.

Ed è la linfa vitale di ogni suo nuovo romanzo, il cui scorrere era già perfettamente intuibile in quel primo tassello del grande mosaico a venire nel lontano 1981. Era il ticchettio di un ordigno appena innescato, la cui esplosione imprevedibile avrebbe generato un universo di complessità. Il big bang della letteratura d’azione, indotto da un unico atto di volontà: quello di Joe R. Lansdale.


Atto d’amore è il primo romando di Joe R. Lansdale, di recente ripubblicato da Einaudi

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