Nel gennaio del 2019 Louis C.K. entrò al Comedy Cellar, un posto che per lui era stato più di una seconda casa, e si diresse in fondo alla sala, al grande tavolo d’angolo dove i comici stanno appollaiati in attesa del loro turno sul piccolo palco. I

l Cellar fece la fortuna di Louis quando, giovane e spiantato, cominciò la sua carriera da stand-up comedian e dieci minuti di monologo significavano un assegno a fine serata e una cena garantita; lui aveva restituito il favore contribuendo ad accrescere la fama leggendaria del locale, trasformandolo nel set della serie televisiva che lo ha – tardivamente – incoronato a monumento vivente del genere palco-e-microfono, Louie.

Al tavolo lo aspettava Estee Adoram: booker imperscrutabile che ogni sera determina chi si esibirà e di chi farà anticamera. Estee lo accolse con uno sguardo incerto.

Louis si era trasformato in una macchia sul potenziale candore di una serata ben riuscita; un parìa per i proprietari dei locali e per i produttori; uno da non avere intorno alle feste e col quale una donna non avrebbe mai voluto trovarsi da sola in ascensore. Ma la diffidenza nei suoi confronti non era del tutto infondata.

Louis aveva ammesso di aver molestato colleghe, amiche e persone a lui estranee, che avevano poi confermato la sua versione dei fatti. Era pentito, diceva, ma questo non cambiava le cose.

La questione C.K. aveva subito sollevato un dubbio abusato: bisogna condannare il lascito artistico di una persona perché si è comportata in maniera umanamente indecente?

Gli stand-up comedian hanno via via trasformato il palco nel loro confessionale e fatto della trasparenza la loro bandiera. Non è facile avere nel cassetto qualcosa di indicibile quando si è i paladini della spontaneità.

Ne sanno qualcosa Woody Allen e Bill Cosby. Cancellare la creatività passata non è risolutivo, ma interrogarsi su quanto ci si possa aspettare dall’evoluzione di queste carriere è doveroso. Quando si recita senza quarta parete occorre stare attenti a non auto-assolversi con una risata.

Nessuno pensa alla sincerità

Louis aveva sempre parlato delle sue perversioni; le aveva raccontate in tutti i suoi spettacoli. Eppure, nessuno aveva mai pensato che potesse aver compiuto un errore elementare come quello di essere visceralmente sincero. Lo era stato, perché pensava che così non ci fosse più niente da nascondere.

Il suo pubblico appassionato ha sollevato il velo, e adesso quello che vede non gli piace più. Non è strano, non è inaspettato e, soprattutto, non è censura immotivata.

Quando Louis si trovò a scontrarsi con lo sguardo perplesso di Estee non era più il comico senza filtri che si era fatto le ossa sotto i suoi occhi e che con un’apparizione non annunciata avrebbe mandato la sala in solluchero. Era il tizio con la pistola. Sebbene disarmato, pentito, condannato e rimesso in circolazione, in pochi avevano veramente piacere nel trovarselo davanti.

La comicità e il tempo

Nella narrazione condivisa attorno al mito della comicità come valvola di, spesso ci si dimentica di tenere conto del fattore temporale. La società cambia, la sensibilità evolve. Quello che ieri faceva ridere, oggi può lasciare tiepidi o far arrabbiare.

Non esiste una formula universale della comicità per la quale tutto è sempre concesso purché si concluda con una risata e se c’è una dote della quale l’intrattenimento ha un bisogno vitale è proprio la capacità di comprendere al volo la società, per non trovarsi al di fuori del consenso. Come dire: alle scuole medie fa ridere il compagno che nel bel mezzo di una lezione si produce in una sonora pernacchia, ma, se la stessa cosa capita in un’aula di università, viene considerato uno squilibrato e allontanato senza troppi complimenti.

Nel corso dei decenni, dagli anni cinquanta ai giorni nostri, sono stati in molti i rivoluzionari della comicità americana: Lenny Bruce ha disinnescato il linguaggio; George Carlin ha picchiato duro sulla religione; Richard Pryor ha ribaltato il razzismo a favore delle comunità afroamericane; Eddie Murphy ha scandalizzato le folle; Amy Schumer ha portato sul palco i diritti delle donne.

Si tratta in tutti i casi di momenti di svolta per la stessa libertà di espressione dei gruppi sottorappresentati. Questo, però, non significa che un monologo di Bruce, Carlin, Pryor, Murphy o Schumer possa essere replicato all’infinito. Il problema non sta tanto in che cosa ancora si possa dire liberamente, ma nel rischio che non resti più nessuno disposto ad ascoltare.

Quando, quella sera del 2019, videro comparire Louis, molti trattennero il fiato. Non si era aspettato una standing ovation, ma quello che incontrò fu un silenzio stupefatto e imbarazzato che lo spiazzò.

Il pubblico gli concesse cinque minuti scanditi solo da qualche risata incerta prima di cominciare ad alzarsi e a lasciare il locale, mentre lui cercava di far valere la sua professionalità commentando ironicamente la scena. Non servì, e prima della fine del suo quarto d’ora, in sala era rimasto circa un terzo dei paganti. Estee si chiuse nel suo ufficio a meditare su cosa avrebbe risposto ai giornalisti il giorno dopo.

Soltanto una risata?

Nel 2018, Aziz Ansari venne accusato di molestie in un contesto mai debitamente chiarito e che aveva tutta l’aria di somigliare più a una montatura social che a un vero e proprio scandalo.

Eppure, aveva immediatamente fatto ammenda per un gesto del quale nemmeno lui era certo di essere colpevole. Si era ritirato dalle scene e quando era tornato a esibirsi aveva consacrato i primi cinque minuti del suo spettacolo a spiegare i propri errori. Per furbizia o per intelligenza, Ansari aveva letto il cambiamento di sensibilità del proprio pubblico e, anziché sfidarlo, pungolarlo e cercare di catechizzarlo, lo aveva assecondato.

Ciò che dovrebbe determinare il successo o l’insuccesso di un comico è l’essere o meno in grado di soddisfare il proprio pubblico. Ridono a una battuta? Allora puoi rifarla. Non ridono più? Meglio levarla dal repertorio. Se ne vanno indignati? Qualcosa sta andando storto. Richiamarli all’ordine non serve a niente.

Nel 2020 Dave Chappelle uscì con uno special in due parti su Netflix nel corso del quale esternava tutta la sua perplessità per una situazione che, a suo dire, stava sfuggendo di mano: i comici erano nell’occhio del ciclone e, con la nuova tendenza a fare comicità toccando seriamente i temi più delicati, si rischiava di non fare più ridere per dimostrarsi attenti e sensibili. Il pubblico fu d’accordo: era una buona lettura di ciò che stava accadendo e il fatto di contestualizzare la sua posizione rendeva comprensibili e adeguate anche le sue battute meno “corrette”.

Dimostrarsi coscienti di ciò che accade, però, non è un requisito sufficiente per prendersi tutte le libertà che il pubblico non ha intenzione di concedere.

Il terzo capitolo degli special di Chappelle uscì come una sorta di sfogo, denso di battute volutamente scorrette nei confronti di qualsiasi minoranza della quale lui non fa parte. Insomma: forte dell’iniziale consenso ha pensato bene di essere pronto a tornare indietro di cinquant’anni in nome dell’enorme equivoco che attanaglia la comicità: quel “vangelo della scorrettezza” che dovrebbe giustificare qualunque scelta infischiandosene della sensibilità degli stessi che secondo qualcuno del mestiere dovrebbero imparare a farsi una risata e che, in realtà, di ridere ne avrebbero proprio voglia, se solo i comici fossero ancora in grado di aiutarli in questo senso.

Il fatto che un vecchio comico non sappia più cosa piace e cosa offende non è necessariamente una novità. Sono in pochi coloro che sono stati davvero in grado di rinnovarsi. Gli altri si sono ritirati, sono decaduti o si sono buttati in politica – oppure nel 2022 vincono Grammy che sanno più di affronto che di riconoscimento del merito.

Sarebbe forse ora di smettere di immaginare la comicità come un linguaggio universale di liberazione e tornare a vederla per quello che è: intrattenimento – definizione che si esaurisce quando si esaurisce l’effetto. Bisognerebbe, forse, dimostrare la stessa flessibilità e lo stesso spirito che si pretende dalle platee per comprendere quando è il momento buono per smettere di insistere, chiudere la cerniera dei pantaloni e pensare al futuro.

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