Maurizio Cattelan: Sei cresciuto in Cina durante la Rivoluzione Culturale, e ti sei trasferito da Shanghai a Parigi negli anni Ottanta. Non deve essere stato un passaggio facile. Com’è cambiata la tua vita una volta a Parigi?
Chen Zhen: Lavoravo sodo giorno e notte. Probabilmente è stato il periodo di tutta la mia vita in cui ho lavorato di più ed ero più concentrato. Poche persone possono capirlo. A quel tempo, la mia famiglia non mi aveva ancora raggiunto a Parigi. Ero solo, facevo una vita estremamente semplice. Non avevo bisogno di molto. Avevo affittato una piccola stanza di servizio di circa sette metri quadrati alla periferia di Parigi, “nascosta in una piccola soffitta, ignara dello scorrere delle stagioni”. Ho vissuto così per quattro anni! Mi è capitato di non telefonare a nessuno per un mese intero, e nessuno mi scriveva. Sai che tipo di vita era quella? Una vita in cui ti senti davvero un destriero celeste che si libra nei cieli e fa veramente tutto ciò che vuole! In quel periodo ho goduto del tipo più raro di tranquillità e ho potuto fare riflessioni profonde!

Come sei riuscito a guadagnarti da vivere?
Mi mantenevo disegnando ritratti per strada in estate. Sono un ottimo ritrattista. Tre mesi di duro lavoro mi permettevano di vivere come un re per il resto dell’anno. Non sono un tipo difficile. Stare lontano dalla Cina ovviamente non è stato semplice, ma avevo trent’anni, in quel periodo per la prima volta sono stato il capo e il padre di me stesso.

Questo ci porta all’idea delle “Transesperienze”, un concetto che hai definito in relazione all’incontro con una cultura diversa. Che cosa significa esattamente?
Transesperienze. In cinese si può dire “Rong Chao Jing Yan”. È una sorta di “fusione-trascendenza delle esperienze”. Non esiste una parola del genere né in inglese né in francese, ma il prefisso “trans-” esprime il concetto di “attraversamento”, “attraverso”, “al di sopra e al di là”, “trasferimento”, “oltre”, “all’altro capo di” ecc. Se aggiungi questo prefisso alla parola “esperienza” e lo usi al plurale, hai coniato un neologismo che riassume in modo chiaro e profondo la complessa esperienza che si vive lasciando il proprio paese natale per trasferirsi altrove.

Cosa pensi significhi questo concetto per gli occidentali?
Nel 1993, su un volo per la Corea del Sud, Pontus Hultén mi ha chiesto di sedermi accanto a lui. Abbiamo parlato a lungo dell’Asia e della Cina e degli scambi culturali tra oriente e occidente. Mentre l’aereo stava per atterrare, gli ho chiesto: «Hai dedicato molti anni all’ampliamento del concetto di arte e agli scambi culturali est-ovest. Qual è la tua esperienza personale nei rapporti con il popolo asiatico?»,«Eterna incomprensione» è stata la sua sorprendente e sconsolata risposta. In quel preciso momento, mi sono ripromesso che un giorno avrei creato un progetto per celebrare l’eterno malinteso. Quindi, in questo lavoro, come primo passo per cantare le lodi di questa permanente incomprensione, ho scolpito le sue parole come texte trouvé.

Sembra che tu scelga le parole con attenzione. L’uso del linguaggio è dettato dalla logica o è piuttosto qualcosa di innato?
Usare la mente è molto diverso dal ricorrere all’istinto. Vale davvero la pena soffermarsi. Naturalmente la parola “jie” esprime un concetto molto più vicino all’ibridazione e all’impurità concettuale che alla purezza di significato. Per “jie” (prendere in prestito) liberamente e con metodo devi avere “transesperienze” ricche. La vita è una grande banca. Allo stesso tempo, il cinese “jie” (prendere in prestito), secondo me, implica un “potere digestivo” estremamente potente e assertivo. Non importa che il prestito venga dall’esterno e dall’interno, tu ne esci sempre “giallo”. Pertanto, oggi non abbiamo paura di “prendere in prestito” né dal passato cinese né dall’Occidente moderno. Il “prestito” può “infrangere la legge” e ottenere un “concetto illogico” o una “logica fortuita”.

Non avevo mai considerato l’idea del prestito in questo senso. In che modo questo tipo di relazione modella la comunità e la società, soprattutto oggi, dal momento che durante il lockdown viviamo una vita più reclusa e solitaria?
In questo gioco sono onnipresenti due elementi: io e gli altri. Queste due entità convivono in armonia nella relazione di coppia “me-altri”. Per inventare e creare regole per te stesso, devi dare nuove definizioni a questi due elementi e considerare solo la relazione tra i due. Naturalmente, si tratta di giocare nella propria sfera, o di portarvi cose dall’esterno o da altri per esaminarle. Si gioca il proprio gioco in una condizione favorevole. Chi è stato il primo a definire il concetto di “altri”? Certo, è accaduto in occidente. Questa definizione dimostra paradossalmente il profondo radicamento del “centralismo occidentale”. “L’alterità” rappresenta un concetto di gruppo che travalica la portata delle relazioni tra “me (noi), te e lui (loro)”.

Mi chiedo cosa accadrebbe se iniziassimo a identificare sempre più persone come “altri”. Saremmo in grado di controllarlo?
Come ha detto Foucault, «La follia non è un fenomeno naturale ma un prodotto della civiltà». Più un luogo è civilizzato, più pazzi e malati ci sono. Questo è dovuto a bisogni e desideri? Schopenhauer sosteneva che i desideri degli uomini sono il loro dolore più grande: la tomba dell’umanità stessa.

Possiamo applicare lo stesso paradigma al regno dell’arte?
Oggi ho ripensato al detto che “le persone all’interno dei circoli artistici sono più o meno malate o pazze”. Mi chiedo se questa condizione sia normale o meno. Il mondo dell’arte contemporanea, come molti altri, è una macchina e un sistema interconnesso in cui si intrecciano potere e denaro. L’esperienza è la base della creatività e tuttavia va “oltre il lavoro”. Trascende ogni possesso dell’opera, o l’equivalente (reciproco) di questa, cioè il denaro.

Tu però hai scelto di stare con i “matti”!
Sono diventato l’artista che sono oggi perché due volte nella mia vita ho “scelto il lavoro sbagliato”. La prima durante la Rivoluzione culturale. In quegli anni non c’erano altre scelte, tutte le università erano state chiuse. Ho studiato in una scuola d’arte e da allora ho intrapreso “la strada dell’arte”. All’epoca credevo che ciò che imparavo fosse vera arte, studiavo e mi impegnavo diligentemente, con determinazione. La seconda è stata dopo il trasferimento a Parigi. Improvvisamente ho capito che l’arte poteva essere “qualcos’altro”. L’arte non è così sacra e gli artisti non devono essere gli specialisti che pensiamo. Così, mi sono trovato di nuovo a un bivio e ho scelto; ho cambiato di nuovo mestiere, ribellandomi a me stesso. Non so quando e dove dovrò cambiare di nuovo lavoro: questa è davvero la cosa più eccitante della vita!

Una volta mi hai detto che un tuo amico ti ha chiesto com’è stato raggiungere il momento più emozionante del tuo processo creativo.
Ho risposto che è come il fenomeno del “cortocircuito” in elettricità. Due elettrodi opposti si incontrano: fatto irrilevante se non appartengono allo stesso circuito. Quello che mi interessa davvero è il potere “scioccante” e “distruttivo” innescato da un “cortocircuito”. Questa è la creazione, il momento più stimolante. Per darti una risposta più diretta, ogni volta che un artista si imbatte in fattori appartenenti a contesti diversi, percepirà – in varia misura – conflitti, dialoghi e un “richiamo dal tempo e dallo spazio” o una trasformazione reciproca. Insomma, sperimenterà il fenomeno del “corto circuito”.

Recentemente, nella tua mostra personale di Milano, presso Pirelli HangarBicocca, ho avuto l’opportunità di vedere il tuo lavoro Daily Incantations (1996), che è il risultato della tua prima visita a casa a Shanghai negli anni Novanta. Il pezzo è composto di 101 vasi da notte in fila su una grande struttura di legno semicircolare che ricorda un antico strumento musicale cinese. Questo lavoro suscita in me un fascino che viene dal passato, poiché, durante la mia infanzia non avevamo un bagno in casa.
Quello che mi interessa, prima di tutto, è che non si tratta di arte. È un oggetto ordinario per l’uso quotidiano. Per i cinesi il vaso da notte ha un duplice significato: innanzitutto la maggior parte delle persone lo vede come una cosa spiacevole; inoltre chi crede nella superstizione pensa che sia lo “sgabello del figlio e del nipote”. Aiuta a perpetuare la specie, a riprodursi e a perpetuare le generazioni. La dualità intrinseca di questo oggetto è molto vicina alla qualità recondita dell’arte contemporanea. Il sedimento di calcio bianco sulla parete interna del vaso da notte è persino una medicina cinese preziosa e rara, chiamata “pozione bianca” (philtrum), usata per dissipare il calore e alleviare la febbre. Mi piacciono molto queste cose che hanno una doppia natura. Inoltre, in linea con le politiche urbane occidentali, i vasi da notte sono oggetti da scartare, ormai in via di estinzione. Pertanto, ha una stretta relazione con concetti come “occidente”, “modernizzazione” e “sostituzione del vecchio con il nuovo”.

Non è un caso che parli di medicina cinese. Provenendo da una famiglia di medici, hai espresso spesso il tuo desiderio di diventare un “dottore”, anche se preferiresti guarire attraverso la tua arte che con le medicine…
Gli individui dovrebbero diventare una sorta di “virus”. “Contagiosi” e “nascosti”. La caratteristica dei virus è di essere attivi, infettivi e dilaganti. È una metafora molto appropriata. È risaputo che sono organismi molto piccoli, ma estremamente dannosi per il corpo umano. Ovunque si presentino, nessuno osa ignorarli. Alcuni virus non possono essere sconfitti facilmente e non possono essere eliminati con nessun medicinale. La maggior parte di loro “vive e muore da sola”. Una volta che invadono il corpo umano, provocano la risposta attiva del sistema immunitario: i virus esterni ingaggiano battaglie con gli anticorpi interni. Quelli aggressivi distruggeranno il sistema immunitario. Vedi, tutto questo sembra descrivere la posizione di un artista nei confronti della cosiddetta cultura mainstream, o dominante, e i suoi contributi agli “scambi multiculturali”.

Quindi noi saremmo virus che cerchiamo di mettere a nudo l’attuale sistema di valori?
Questo è il bello di essere una “creatura migrante” come me, che può esaminare il proprio paese e l’Asia attraverso un prisma poligonale.

Questo è un viaggio lungo ed eterno…
Ogni artista maturo lavora sotto la minaccia della vita e della morte. Il tempo è il mio riscatto più difficile.

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