Quando era una ragazzina e frequentava la sezione del Msi di Colle Oppio, Giorgia Meloni amava travestirsi da Sam Gamgee il più indiscreto e chiacchierone degli hobbit di Tolkien.

Sulle orme del suo personaggio la futura presidente del Consiglio è diventata lei stessa un’affabulatrice capace di multiformi invenzioni e di propaganda. Le sue notazioni creative, chiamiamole così, negli ultimi anni hanno proceduto sempre più speditamente, sia sul binario della revisione storica, con plateali modifiche della realtà (dalle Fosse Ardeatine al manifesto di Ventotene, tanto per citare gli ultimi approcci deformanti), ma anche e soprattutto nella reinterpretazione fantasiosa del presente.

Di recente, è ancora un altro esempio, per rischiarare le ombre della crisi economica Meloni ha spiegato con grande immaginazione che i titoli di Stato italiani sono più convenienti di quelli tedeschi (al suo fianco il ministro Giancarlo Giorgetti scuoteva la testa sconfortato).

E ancora, sempre di recente, mentre sul sito di Fratelli d’Italia si sprecavano gli elogi per i numerosi incontri internazionali della leader che «hanno portato l’Italia nel mondo» eccola invece emarginata e all’angolo del consesso democratico europeo.

Una trama da fantasy

Il passato che non passa per Meloni e che ne alimenta la doppiezza non è, come comunemente si crede. nel “repêchage” del neofascismo e della tradizione mussoliniana. Ma "Le radici oscure delle nuova destra italiana”, come recita il sottotitolo del mio libro Nero indelebile (Longanesi) sono ancora oggi più che mai operanti nelle scelte della presidente del Consiglio.

La sua politica attuale, che si muove su un transito doppio e si configura come politica di lotta e di governo, si nutre ancora oggi della ricchissima trama di invenzioni intessuta a partire dal 2012, quando Meloni con Ignazio La Russa e Guido Crosetto diede vita a Fratelli d’Italia.

Proprio allora una propaganda degna del fantasy di Tolkien ne sostenne il battage: il nemico dichiarato per il Msi da cui proveniva Giorgia era il comunismo ma per la futura premier fu l’Europa. «L’euro è un fattore di disgregazione dell’unità europea, anziché un elemento di rafforzamento della solidarietà tra i popoli d’Europa”, predicava.

E sempre con grande dispendio di creatività – a ripensarci oggi appare veramente incredibile che potesse essere riproposto il ritorno alla lira, un obbiettivo veramente tragico – sosteneva che l’abbandono dell’euro avrebbe sconfitto pure il “caro carburante” e l’aumento delle bollette. Queste affermazioni euroscettiche e mendaci sono attualmente ancora un elemento propulsore delle scelte politiche di Meloni.

Il profondo e radicale antieuropeismo emerge a ogni piè sospinto e la induce ad allinearsi alle più radicali prese di posizione contro l’Unione europea (sostenendo per esempio gli attacchi all’Ue degli Stati Uniti di J. D Vance e del presidente Trump).

L’immigrazione

Meloni, sempre al momento della nascita di FdI, incolpava inoltre gli immigrati di distruggere l’economia italiana. «Le campagne immigrazioniste della sinistra sono rivolte esclusivamente a un’immigrazione extraeuropea», gridava la leader nei suoi appassionati comizi di un decennio.

La sinistra e i funzionari di Strasburgo e Bruxelles, secondo Meloni, incoraggiavano l’approdo in Italia di immigrati poverissimi dall’Africa o dal mondo mediorientale i quali abbassavano il livello di vita e di produzione. Si trattava delle teorie sulla sostituzione etnica che circolavano negli ambienti di estrema destra dello Stivale e che oggi non enuncia più nemmeno Matteo Salvini il quale le sosteneva con vigore.

Ma anche se non sono più un punto di riferimento sono tutt’altro che dimenticate: sono elementi simbolici fortemente operanti a fondamento della battaglia contro gli immigrati ora condotta a colpi di dispendiosissimi hub creati in Albania, cattedrali nel deserto che dovrebbero restituire sicurezza all’immaginario degli italiani.

Le invenzioni meloniane non sono tutte farina del suo sacco, vengono infatti dai lontani anni Settanta e sono state alimentate dal flusso costante delle elaborazioni dei cattivi maestri francesi e tedeschi. Uno dei testi più importanti, per i sovranisti d’Europa come Matteo Salvini e Meloni, è Addio, Europa del negazionista austriaco Gerd Honsik (condannato in due occasioni, nel 1992 e nel 2009, per avere negato la verità storica dell’Olocausto).

Quello scritto denunciava l’incentivazione da parte delle sinistre europee dell’immigrazione africana e asiatica verso l’Europa al fine di rimpiazzarne le popolazioni. Addirittura teorizzava un “genocidio” dei popoli europei allo scopo di sostituirli progressivamente con quelli asiatico-africani e ottenere un’etnia indistinta di docili consumatori piegati al mercato e al desiderio di dominio mondiale da parte di élites economiche.

Il culto ducesco

Ancora oggi i Fratelli e le Sorelle d’Italia seguono la sirena dei docenti di doppiezza fra i quali Alain de Benoist.

Costui in molte sue opere ha affermato la necessità vitale per la destra di un doppio registro della comunicazione politica, simile a una fede o alla religione, con una netta divisione tra moderazione dichiarata in pubblico ed estremismo praticato nelle segrete stanze della sovversione, inclusi i campi di addestramento e di mobilitazione dei giovani.

Procedendo à rebours, con il passo del gambero, le radici della propaganda più estrema e della conseguente doppiezza si ritrovano nelle teorie di Pino Rauti, uno dei più quotati ideologi a Colle Oppio della destra eversiva italiana ed europea e fondatore del movimento Ordine Nuovo.

Scavando ancora tra i punti di forza di Meloni, più vivace che mai è oggi il culto “ducesco” dell’uomo o della donna sola al comando, un principio a fondamento dell’annunciata riforma del premierato. Da questa temibile proposta da tempo mette in guardia la senatrice Liliana Segre sempre attenta al fascismo strisciante nella società italiana.

Lo stile ricco di creatività e di fake connota infine la propaganda di Meloni anche quando parla del suo personale operato politico: arrivata al governo si propose come “underdog”, la perdente di successo che riesce a sovvertire la storia della sua parte politica da sempre emarginata.

Un’invenzione veramente fantastica poiché Meloni era da tempo nella stanza dei bottoni ed era stata il ministro più giovane nella storia dell’Italia repubblicana. Tra le creazioni alla Pinocchio c’è anche il senso dell’onore, sempre ribadito, che lega la premier alle istituzioni.

Meloni fece parte della pattuglia dei 314 deputati menzogneri che, per non smentire Berlusconi, votarono che Ruby rubacuori era nipote di Mubarak. Il Cavaliere, sponsor e ideatore della fondazione di Fratelli d’Italia, fu poi abbandonato e tradito da Meloni che aveva per lui accoltellato Gianfranco Fini, il suo Pigmalione.

L’elenco delle doppiezze potrebbe continuare. Meloni grande lettrice di Michael Ende, a cui deve il nome della manifestazione di Atréju, ne ha dimenticato l’insegnamento: «Tutta l’infelicità del mondo nasceva dalle troppe menzogne». E questo vale più che mai in politica.

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