Michel Adanson è uno storico naturalista e un enciclopedista francese del secolo dei Lumi.

Erede di Cartesio, che nel Discorso sul metodo assegna come orizzonte all’uomo occidentale diventare «dominatore e padrone della natura», ritiene suo dovere ampliare il campo delle conoscenze umane sul mondo e conservarne la memoria in opere strutturate in ordine alfabetico.

Conformemente all’etimo della parola «enciclopedia» (cerchio delle conoscenze), la memoria del mondo di Michel Adanson può essere paragonata a un cerchio che ingloba tutte le possibili designazioni di ciò che esso contiene.

Questo «orbe» conchiuso traduce il mondo in parole e in memoria.

Le parole che descrivono il mondo hanno una storia e una geografia che vorrei evocare, oggi, perché se ho fatto di Michel Adanson il protagonista del mio ultimo romanzo, La porta del non ritorno, è anche in quanto rappresentante di quella hybris, di quell’orgogliosa pretesa dell’Illuminismo di tradurre la memoria del mondo in volumi di un’Enciclopedia.

Enciclopedica hybris

Hybris che, nel caso di Michel Adanson, penso fosse ispirata tanto dal timore di perdere la memoria del mondo quanto da quello di perdersi nella propria compilazione del mondo. Essendo in perpetuo movimento, il mondo non si lascia leggere senza difendersi, senza resistere alla temporanea immobilità che gli enciclopedisti cercano di imporgli fissandolo in parole.

Così, Michel Adanson tenterà per tutta la vita di mettere a punto un metodo capace di descrivere le più minuscole componenti di tutta la sfera del vivente.

Purtroppo devo dirvi subito che non riuscirà a pubblicare prima di morire l’opera che nelle sue minute chiama Orbe universel, di cui progettava di redigere da solo parecchie decine di volumi.

È altrettanto vero, però, che Michel Adanson è un magnifico perdente.

Una vocazione

Chi è Michel Adanson? Michel Adanson si dedica già da giovanissimo alla botanica, e parla della sua vocazione per questa scienza come di un sacerdozio.

Ancora bambino, si immerge nell’osservazione delle piante, una passione che si rafforza assistendo alle lezioni di botanica dispensate dai fratelli Jussieu al Jardin du Roi, a Parigi. Era nato nel 1727 a Aix-en-Provence. Suo padre, maestro di cappella e scudiero di monsignor Charles Gaspard Guillaume de Vintimille, lo aveva seguito con tutta la sua famiglia quando questi era stato nominato arcivescovo di Parigi nel 1730.

Michel Adanson, che si segnala all’attenzione dei fratelli Jussieu a soli 15 anni, sostiene – e siamo inclini a pensare che sia vero – di avere una memoria prodigiosa.

Il suo sogno è farsi un nome nel campo della botanica. Vuole diventare, come i suoi maestri, membro della Reale accademia delle scienze di Parigi, in cui alla fine sarà accolto. Vuole essere riconosciuto come uno scienziato che ha contribuito ai progressi della storia naturale.

Nel 1749, a 22 anni, decide di partire per il Senegal perché è un campo nuovo di indagine scientifica.

Al ritorno, nel gennaio 1754, si costruisce per vari decenni una fama di scienziato. L’ultima opera che pubblica, nel 1763, intitolata Familles des plantes, gli procura ammiratori in tutta Europa. In Italia, per esempio, il naturalista e fisico Felice Fontana lo ritiene un luminare della botanica.

Viaggio in Senegal

Il Voyage au Sénégal era stato pubblicato nel 1757, quattro anni dopo il suo ritorno, come primo volume di una Histoire naturelle du Sénégal che progettava di scrivere. La storia naturale, che concorre al sogno enciclopedico di racchiudere il mondo nella sua descrizione, coinvolge molteplici ambiti del sapere: botanica, geologia, ornitologia, ittiologia e conchigliologia, astronomia e persino una forma di pre-etnologia, poiché anche le società del mondo extraeuropeo sono chiamate a diventare oggetto di studio.

Dare un nome a tutte le piante, gli animali, le società significa cercare di offrire all’uomo occidentale il dominio dell’intera natura e dei suoi prodotti.

L’atto di nominare è il corollario di una volontà di assoggettare la natura all’uomo: diventare «dominatori e padroni della natura», per riprendere la formula di Cartesio, significa innanzitutto misurarla, quantificarla, classificarla. La storia naturale diffida della sfera del vivente perché è instabile. Si tratta di sostituire alle incertezze delle sue leggi un libro-mondo coerente e rassicurante. Un libro-mondo che si possa memorizzare e quindi insegnare.

Ma l’osservazione del Senegal riserva delle sorprese a Michel Adanson, che si dimostrerà uno storico naturalista originale. Il suo è un procedimento sperimentale. Fa esperienza di quel mondo nuovo con uno strumento che è il suo stesso corpo.

È curioso: assaggia il cibo senegalese. Sostiene che, pur avendolo poco apprezzato all’inizio del viaggio, ha finito per amare il cous cous di squalo. Si premunisce contro le malattie che contraggono gli altri francesi bevendo decotti di piante come i senegalesi che frequenta.

Osserva che i Wolof del Senegal hanno una medicina e una farmacopea di cui gli abituali interpreti, specializzati nel commercio dell’oro, dell’avorio, della gomma arabica o degli schiavi, non sanno tradurre i termini.

Perciò impara la lingua wolof, comunemente parlata in Senegal, per scambiare informazioni con gli esperti locali, uomini e donne.

Questa passione per la lingua wolof si tradurrà in una prima licenza o discordanza scientifica rispetto agli scienziati naturalisti suoi colleghi: Michel Adanson comincerà cioè a inventariare le piante decidendo di conservarne il nome wolof invece di ricorrere al latino, come usava fare lo svedese Linneo, capofila dei botanici europei.

Quest’ultimo, in segno di ammirazione per come aveva saputo descrivere uno dei più grandi alberi del mondo, oggi designato con il nome malgascio di baobab, proporrà di chiamarlo Adansonia digitata. Ma Adanson risponde, tramite i suoi maestri, i fratelli Jussieu, di preferire che l’albero sia registrato con il termine wolof, «gouye».

Più tardi, nominato responsabile degli articoli di storia naturale nel Supplemento all’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert (1776), attingerà da tutta una serie di lingue extraeuropee nomi di piante, animali, molluschi o alberi. Michel Adanson dischiude il libro-mondo a parole diverse dal latino, a memorie del mondo diverse da quelle trasmesse dalle lingue europee.

Le ambiguità

A seguito del viaggio in Senegal acquisirà una forma di apertura mentale che lo porta a mettere parzialmente in discussione i suoi pregiudizi sugli africani che incontra.

Dico parzialmente perché non metterà mai in discussione la schiavitù. Anche se talvolta la sua violenza lo offende, se ne fa una ragione, come la maggior parte dei suoi contemporanei europei.

Questa ambiguità, che ho rilevato tanto nelle sue opere pubblicate quanto nelle carte e nelle minute conservate presso il Museo nazionale di storia naturale, a Parigi, e analizzate dallo storico senegalese Ousmane Seydi, mi è sembrata interessante da trattare in modo complesso nel mio romanzo La porta del non ritorno.

Il romanzo può essere uno straordinario strumento per rappresentare la complessità dei meccanismi dell’animo umano. Da una parte, infatti, Michel Adanson destina nel testamento una somma in luigi d’oro perché venga data una festa il giorno delle sue esequie, come fanno, cito, «i saggi e i filosofi neri del Senegal». Dall’altra pubblica una relazione su quanto abbia interesse la Compagnia del Senegal a favorire il commercio degli schiavi sull’isola di Gorée.

L’orbe intero

Michel Adanson lascia intendere di aver concepito proprio durante il viaggio in Senegal il progetto di tutta la sua vita, di cui la storia naturale del Senegal era solo una piccola parte: quello di una super enciclopedia del mondo vivente che comprendesse i tre regni, minerale, vegetale e animale, intitolata Orbe universel.

Ancora una volta, il titolo di questa mega enciclopedia, per la quale dichiara di aver redatto la descrizione di migliaia e migliaia «di esistenze», come le chiama lui, rimanda alla pretesa di racchiudere il mondo in una circolarità totalizzante. Sebbene ci abbia lavorato accanitamente fino alla morte, non ne verrà mai a capo.

Da unaparte perché finanzi i volumi del suo Orbe universel. In botanica, il suo metodo, di grande complessità, presuppone la combinazione di tutta una serie di caratteristiche delle piante, molto più numerose di quelle proposte da Linneo.

Si tratta sostanzialmente di prevedere ciò che non è stato ancora inventariato, di eludere l’instabilità delle conoscenze sul mondo creando un metodo, frutto di un’osservazione minuziosa, già predisposto per accogliere ciò che non è ancora noto.

Metodo tragico

Qualunque metodo di classificazione della sfera del vivente è paradossale, perché si basa su una memoria rinchiusa sul passato delle conoscenze e necessariamente aperta su osservazioni future che potrebbero metterla in discussione.

Ma al metodo che pretende di dare un fondamento razionale a una memoria del mondo viene ingiunto di rinnovarsi ogniqualvolta salti fuori da qualche parte in Amazzonia una pianta o un animale inaudito, non classificabile secondo i vecchi schemi. In ciò consiste la tragicità della vita intellettuale di Michel Adanson, impegnato senza tregua ad alimentare il suo metodo con una memoria del mondo impossibile da circoscrivere, sempre in movimento, indisciplinata: una fatica di Sisifo.

Nonostante i richiami all’ordine degli accademici e degli amici naturalisti europei, che lo supplicano di pubblicare la massa di dati già in suo possesso perché ne resti traccia e ispiri gli scienziati futuri, Michel Adanson risponde immancabilmente: «No, non ho ancora finito, aspettate ancora un po’…».

Nel 1806 la morte ha posto fine ai suoi indugi.

In quanto scrittore, amo le vite come quella di Michel Adanson, vite consumate, assorbite da una grande opera impossibile, vite di per sé memorabili, emblematiche della sete della mente umana di tradurre il mondo in memorie, in voci di dizionario dalla lettera A alla lettera Z.

Michel Adanson et la mémoire du monde è stato scritto per LETTERATURE Festival Internazionale di Roma, XXII EDIZIONE, cinque serate dal titolo “La memoria del mondo” allo Stadio Palatino e letto la sera di giovedì 13 luglio. La traduzione del francese è a cura di Margherita Botto.

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