Chiara Tagliaferri è affascinata dalle cose e dalle persone sull’orlo di un precipizio. È più forte di lei: non riesce a resistere alle storie che emanano profumo di catastrofe. La sua è una prospettiva sulla vita – tutta catastrofe, a suo modo – che la rende una persona molto interessante da avere amica. In lei convivono infatti due cose rare da trovare insieme: l’aura di pericolo che sempre si accompagna alle cacciatrici di guai non viaggia mai distinta dall’indulgenza per le fragilità altrui. Chiara guarda con attrazione il pericolo nelle vite degli altri perché lei stessa è stata sia un pericolo che in pericolo, sospetto spesso simultaneamente.

Il patto

Quando si tratta di decidere quale Morgana raccontare, questa sua tensione si traduce nell’indicare di preferenza il nome di qualcuna che ha fatto una bruttissima fine per sua stessa mano. Almeno metà delle nostre discussioni preparatorie a una puntata di Morgana ruota su quale sia il punto di equilibrio tra la quota di catastrofe che può soddisfare lei e quella che posso accettare io. Per ora l’unico patto che abbiamo esplicitato è che se io non insisto sulle assassine, lei non lo fa sulle suicide.

È così che sono rimaste fuori dalla teoria delle Morgane sia Ulrike Mainhoff che Virginia Woolf, per evitare il rischio che l’amplificazione epica che deriva sempre dall’essere raccontatə si volga, nella testa di chi ascolta, in qualche forma di attrazione per la morte propria o altrui. Ci rendiamo conto che è una preoccupazione moralista che in fondo nemmeno ci appartiene, dato che con entrambe le pulsioni conviviamo; infatti non posso promettere che il patto non salterà in futuro.

Epica, etica ed estetica

Come tutte le persone radicalmente profonde, Chiara è una specialista nel coltivare la leggerezza come forma di salvezza dal suo abisso. Nei mesi più duri della pandemia questa sua attitudine ha salvato pure me dal mio, insegnandomi che l’impalpabilità di un tulle poteva essere la migliore risposta alla pesantezza del body shaming, o che le paillettes di una gonna fossero in realtà le scaglie di una corazza buona contro ogni shit storm.

Il fatto che Chiara consideri narrativo l’atto del vestirsi ha distrutto in me l’abitudine a trattare l’armadio come un covo di mostri che si nutrono del mio senso di inadeguatezza. Lei si veste come se scrivesse di sé. Non le serve a dire la verità (che oltre a non esistere nella pratica, è un concetto sopravvalutato anche nella teoria) ma a proteggere una dimensione di sé che diventa più vera laddove è più negata. È così che la timida ragazza di Piacenza che si tingeva i capelli biondi di nero per non farsi notare è diventata negli anni una diva che fa girare tutti per strada.

Dietro quell’ologramma etereo, metà Venice anni Settanta e metà Londra anni Ottanta, c’è un manifesto che, come tutto il femminismo, è personale e politico insieme e grida: non potete ferirmi, perché quello che decido io di mostrarvi non potrà mai fare di me un vostro bersaglio. Lavorando e vivendo accanto a lei ho imparato che il suo rientrare nel cosiddetto canone estetico (che poi è il nome educato del pregiudizio che schiaccia tutte noi) non la pone al riparo dagli stessi attacchi che riceviamo tutte.

Da lei, che è un’intellettuale, ci si aspetta la noncuranza del corpo, l’ipertrofia mentale e una severità calvinista verso la bellezza, a partire dalla propria, che dovrebbe confermare che lei si occupa di cose serie, non di facezie come sé stessa. Niente mi ha liberata dai miei complessi come il suo sistematico fregarsene di queste pretese (a cui io invece ho dato retta per anni) al punto che andare insieme a comprare una cosa bella è oggi per noi un atto terapeutico, in certi momenti l’unico utile.

Le Morgane della moda e del make up, come Helena Rubinstein, Vivienne Westwood e Elsa Schiaparelli, sono nate intorno a questa ricerca di congiunzione tra epica, etica ed estetica. Esiste un momento nella vita di ciascunə in cui si smette di poter essere tutto quello che si potrebbe essere e si comincia a essere solo quello che si è già. Questo irrigidimento lo chiamiamo per convenzione “maturità”, ma sarebbe più giusto dire che è un preludio di morte.

La cosa più affascinante di Chiara è che in lei questa perdita della capacità di mutare non sembra essere avvenuta. Seguendo un senso di incompiutezza che moltə scambierebbero per insicurezza, coltiva sé stessa come uno spazio creativo, facendo volentieri posto a cose che ancora non sa o non sa fare.

Io non ho mai visto nessuno della mia generazione continuare a imparare cose nuove così in fretta e con così organizzata devozione come lei. Questa inclinazione a farsi continuamente discepola delle sorprese dell’esistenza la rende sensibile alle Morgane che hanno faticato molto per raggiungere i loro obiettivi, studiando con tenacia e rigore. In fondo Tagliaferri non crede al talento, se non come a qualcosa che bisogna farsi perdonare con una disciplina che alla fine dei conti varrà più di tutte le lotterie cieche della cosiddetta genialità.

Chiamatela secchionaggine, io la chiamo serietà.

Michela Murgia e Chiara Tagliaferri sono autrici del podcast Morgana, realizzato per la piattaforma Storielibere.fm, da cui è stato tratto il libro: Morgana – L’uomo ricco sono io, appena pubblicato per Mondadori.

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