Al contrario di altri “misteri d’Italia”, sul mostro di Firenze esiste da tempo una sentenza definitiva, seppur parziale. Il caso dovrebbe dunque essere chiarito e chiuso. Ma la verità giudiziaria dei processi a Pietro Pacciani e ai cosiddetti “compagni di merende” è insoddisfacente per molti di quelli che conoscono a fondo la vicenda, e per alcuni è del tutto inaccettabile.

A conferma di questo, gli avvocati di due famiglie delle vittime hanno recentemente fatto richiesta per una riapertura delle indagini. La storia è molto complessa e si dipana lungo decenni, ma tenterò una sintesi degli eventi principali.

Gli omicidi

Un duplice omicidio avviene nel 1974, quindi un altro nel 1981 e solo a quel punto si inizia a parlare di “mostro di Firenze”, il misterioso assassino attivo appunto nella provincia fiorentina: nel 1981 vengono uccise due coppie e poi una per ogni anno fino al 1985, quando a San Casciano vengono ritrovati gli ultimi due corpi.

L’omicidio che talvolta viene considerato il primo, quello del 1968, viene collegato al mostro solo nel 1982, dopo il duplice omicidio avvenuto a Baccaiano (e da quel momento inizia la cosiddetta “pista sarda”, su cui gli inquirenti spenderanno molte energie fino al 1989, prima che nel quadro entri Pacciani).

Il dolore e la paura portano in quegli anni, soprattutto in Toscana, al cambiamento di alcuni costumi, classico è l’esempio dei genitori che iniziano a lasciare casa libera ai figli piuttosto che correre il rischio di mandarli “in camporella” e non vederli tornare. Crescono anche il sospetto e la paranoia: chi può essere questo pazzo assassino? Possibile che nessuno lo abbia mai visto e non lo abbia denunciato? Chi può essere così marcio dentro da pensare, pianificare e mettere in atto azioni di tale brutalità, sadismo e precisione, esponendosi a rischi notevoli e reagendo con addestrata prontezza? Chi può essere così freddo da non lasciare tracce?

Compagni di merende

In risposta a tali domande, all’inizio degli anni Novanta emerge dapprima la sagoma di Pietro Pacciani, poi quelle di Mario Vanni e Giancarlo Lotti. Sarebbero loro gli spietati serial killer. Ma i compagni di merende non fanno certo tutta questa paura: sono davvero questi personaggi che muovono al riso i mostri di Firenze? Oppure il colpevole o i colpevoli sono altri? Oppure dietro di loro c’è qualcun altro che li ha guidati?

Rivediamo gli eventi processuali. Primo grado per Pietro Pacciani, accusato di essere il serial killer solitario: poche prove concrete (come il proiettile ritrovato nel suo orto che, decenni dopo, una perizia dimostrerà artefatto) e alcune testimonianze bastano a condannarlo per sette degli otto duplici omicidi.

Secondo grado: il pubblico ministero stesso, che aveva l’onere dell’accusa, sostiene che le prove non sono certe e l’impalcatura costruita intorno al contadino di Mercatale non regge. Un giorno prima che Pacciani venga rilasciato viene arrestato Mario Vanni, un postino suo amico e compagno di bisbocce; il giorno prima ancora c’è stata la confessione di Fernando Pucci e Giancarlo Lotti, conosciuti come i testimoni “alfa” e “beta”. Pietro e Mario si danno quindi il cambio nel mondo degli uomini liberi dove Vanni non tornerà mai più.

Ricostruzioni assurde

Lotti parla e le sue parole possiamo ascoltarle ancora oggi in rete: dieci ore spalmate su più interrogatori in cui risponde alle domande degli avvocati correggendosi da un giorno all’altro, come un bambino che, dopo un’interrogazione andata male, prenda subito ripetizioni così da rispondere infine correttamente; a tratti racconta vere e proprie assurdità circa le dinamiche omicidiarie (alcune delle quali sono oggettivamente complesse nella loro ricostruzione).

Tra le altre cose, rispondendo ai quesiti circa il movente degli omicidi e dei rituali sanguinari praticati sui corpi delle vittime, riferisce di un fantomatico “medico di Pacciani” che egli avrebbe visto una sera, al buio, in un luogo indefinito di San Casciano, da lontano, in un’auto non meglio precisata: non sa dire quasi nient’altro al riguardo, eppure le famose teorie sui “mandanti”, ovvero sul “secondo livello”, poggiano su quest’affermazione.

Pacciani non ha il tempo di tornare sul banco degli imputati perché nel febbraio 1998, un mese prima della sentenza di condanna per Vanni e Lotti (poi confermata nei gradi successivi), muore in casa sua, a Mercatale: viene ritrovato steso a terra, bocconi ma con le macchie ipostatiche sulla schiena.

Mostrologi

Ma di tutto questo, di vicende che risalgono a quarant’anni fa e dei processi svoltisi negli anni Novanta, cosa resta da dire, quindi? Dipende, come sempre, da cosa si vuole sapere: si vogliono conoscere tutte le ipotesi fatte per spiegare in modo coerente ogni singolo omicidio e i fatti in generale? Allora esiste una sterminata, minuziosa discussione che dura da decenni e che prende il nome di “mostrologia”: una nicchia di persone specializzate che continua a guardare il mostro negli occhi cercando di disegnarne un profilo più dettagliato possibile, pennellando i particolari fino a comporre quadri anche diversissimi tra loro.

Un solo assassino o più assassini? Il primo omicidio è del 1968 o del 1974? E le vittime sono 14, 16 o addirittura molte di più? Personalmente trovo ammirevole che una persona spenda le proprie energie per studiare al meglio delle proprie capacità un caso simile: esistono certo modi più biasimevoli di passare il proprio tempo.

I più meritevoli d’interesse tra i “mostrologi” sono quelli che, pur con le proprie interpretazioni, non perdono di vista l’umiltà che il mistero impone a chi provi a pronunciarvisi sopra: quelli che non usano il cherry picking per selezionare i fatti favorevoli ignorandone consapevolmente altri e quelli che hanno una dedizione tale da assimilare tutti i dati cui possono avere accesso prima di esprimersi.

Oltre i meme

Accanto a questo, anzi in superficie, domina da molto tempo un certo tono farsesco: Pacciani e gli altri sono ridotti a macchiette e la vicenda viene fagocitata e offerta sotto forma di barzelletta e di meme. Il volto di Matteo Renzi può essere messo sopra la figura di Pacciani, e lo stesso Renzi, “invertendo lo stigma”, può intitolare un suo libro in uscita Il mostro (più un sottotitolo che naturalmente lo ribalta). Questa ironia facile è un modo per banalizzare tutto, ma anche per esorcizzare l’inquietudine che ancora oggi la vicenda porta con sé.

Perché il mostro di Firenze fa ancora presa sul nostro immaginario, interessa pure giovani che all’epoca dei fatti o dei processi non erano ancora nati e appassiona anche persone che in Toscana non hanno mai messo piede. Poi, certo, in Toscana tutti sono allo stesso tempo commissari tecnici della nazionale ed esperti del mostro.

Del mostro a uno scrittore restano l’opportunità e il rischio del racconto. Io non sono un mostrologo e tanto meno sono un avvocato o un poliziotto coinvolto nelle indagini: il mio romanzo non ha l’ambizione di dire la verità sui fatti ma prova a raccontare il senso e il non-senso profondo di quelle vicende. Per questo ho cercato di mantenere coerente lo sviluppo di molti eventi rispetto alle realtà comprovate che sono riuscito ad assimilare e che ho continuamente tenuto presenti; e dove l’oggettività veniva meno ho usato, spero in modo sorvegliato, l’immaginazione e la creazione narrativa per colmare le crepe a me evidenti in questa storia.

In questo modo ho tentato di rispondere alle domande che io per primo, cresciuto in Toscana negli anni Novanta e dunque immerso fin da ragazzo nelle discussioni sul mostro, mi sono posto. Il mostro è il mio romanzo sulla vicenda, e tanto di quello che resta da dire, per quanto mi riguarda e per quanto posso, provo a dirlo in quelle pagine.


Alessandro Ceccherini è nato in Toscana nel 1985. Ha pubblicato racconti su diverse riviste letterarie, tra cui TerraNullius, Altri Animali, SPLIT e Narrandom. Il Mostro (Nottetempo) è il suo primo romanzo.

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