Natale tra tavole reali e inventate: quando il cenone serve al plot

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è il fantasma del natale presente. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. I Cratchit non mangiano tacchino. Mangiano oca. Dickens lo specifica nel Canto di Natale : una famiglia di otto persone stretta attorno a un volatile modesto che Mrs Cratchit ha fatto cuocere nel forno della panetteria, perché la loro casa, come quella della maggior parte dei londinesi poveri dell'epoca, non ha né stufa né forno. Il tacchino arriva dopo, come regalo di Scrooge redento, ed è così grande che è «il doppio della taglia del piccolo Tim». Non serviva un peso in libbre: il confronto con il bambino malato dice tutto quello che serve sapere sulla distanza tra povertà e abbondanza, tra necessità e generosità. La letteratura ha sempre usato la tavola di Natale come strumento diagnostico. Non servono lunghe descrizioni psicologiche quando basta guardare cosa viene servito, come viene servito, chi o cosa manca. In Un ricordo di Natale , Truman Capote costruisce un racconto intero attorno alla preparazione di un fruitcake . Il bambino protagonista alter ego dell'autore e la cugina, ogni anno, a fine novembre, inizia a prepararne trenta usando ingredienti costosi che risparmiano per mesi: whisky di contrabbando nascosto come un segreto, noci, frutta candita. I dolci non sono destinati alla famiglia. Vanno a sconosciuti che hanno toccato il cuore della donna in qualche modo: il presidente Roosevelt, un autista di autobus incontrato una volta sola, il tipo che ha affilato i coltelli. Joan Didion nel suo racconto comico The Big Rock Candy Figgy Pudding Pitfall , pubblicato nel 1966 sul Saturday Evening Post mette in scena la tensione tra aspirazioni domestiche e precarietà economica. La protagonista, sedotta dai manuali Fai da te per Natale che compaiono vicino alle casse dei supermercati, decide di trasformarsi nel tipo di donna capace di produrre alberelli di caramelle dure e budini di fichi. Raymond Carver porta questa logica all'estremo nel racconto Un discorso serio contenuto in Cattedrale. È il giorno dopo Natale, lo scrittore americano trasforma quel che rimane del pranzo, – gli avanzi risciacquati del tacchino, la torta caduta nel vialetto con la purea di zucca e le torte allineate in cucina – in una scenografia emotiva. Il Natale in carcere fa soffrire e consola: tra cibo, condivisione e momenti malinconici Le cucine degli scrittori Ma cosa accadeva nelle cucine reali degli scrittori? Charles Dickens, che ha ridefinito l'immaginario moderno del Natale, era ossessionato dal cibo anche nella vita. Il contrasto nelle sue opere è deliberato: conosceva bene entrambi i mondi, quello della scarsità e quello del benessere. A dodici anni, con il padre in carcere per debiti, Dickens lavorò in una fabbrica di scarpe e conobbe la fame vera. Per questo il cibo per lui è un simbolo ricorrente: nel Canto , lo Spirito del Natale Presente appare seduto su un trono fatto di «tacchini, oche, selvaggina, maialini da latte, lunghe corone di salsicce, barili di ostriche, castagne roventi, mele rosse, arance succose, pere succulente, enormi dodicesimi-cakes ». Per Alexandre Dumas il cibo non era accessorio narrativo ma sostanza del mondo. Era un gran mangiatore, così come era un grande narratore scrivevano Leconte de Lisle e Anatole France nella nota introduttiva alla prima edizione del 1873 del Grande dizionario di cucina di oltre mille pagine con oltre 3000 ricette. Lo scrittore de I tre moschettier i cucinava personalmente, sperimentava, annotava, e ha persino scritto una sua versione de Lo Schiaccianoci. Perchè non c’è vino senza associazionismo: così viene sponsorizzata Napa nel mondo Natale come sfondo nei racconti Sebbene le festività non siano mai al centro dei suoi romanzi Jane Austen non ne può fare a meno come sfondo. In Emma , in una scena i personaggi sono in viaggio per godersi una cena di Natale dai Weston, in Orgoglio e pregiudizio Jane Bennet viene liquidata in una lettera da Caroline Bingley, mentre lei e suo fratello lasciano Netherfield Park per festeggiare a Londra. Subito dopo Natale, dalla casa di famiglia a Castle Square, Southampton, scrive in una lettera che «Il fischione e lo zenzero in conserva erano deliziosi. Ma per quanto riguarda il nostro burro nero, non attirate nessuno a Southampton con un'esca simile, perché è finito tutto». Sylvia Plath annotava ossessivamente ciò che mangiava e cucinava, le torte di mele compaiano ovunque nella sua vita e nei suoi scritti persino durante il pranzo di Natale. Per Nora Ephron cucina e scrittura andavano di pari passo tanto che organizzando il suo funerale decise di lasciare agli amici un libriccino con le sue ricette. In un'intervista raccontava che il suo menù natalizio dipendeva dal se si trovava a casa o in viaggio. Quando rimanevano a casa preparava quasi sempre un'oca arrosto seguendo una ricetta di Craig Claiborne dal New York Times Cookbook. Crostacei e frutta secca. Le festività complicano la vita agli allergici Dallo schermo alla vita e viceversa Il cinema ha capito presto che il Natale è materiale perfetto per lo schermo anche perché il cibo lo è: abbondante, simbolico, capace di creare immediatamente atmosfera. Da Vigilia di Natale, il film classico anni Quaranta a Il diario di Bridget Jones il cibo diventa parte integrante delle dinamiche festive, tra goffaggini, rituali familiari e situazioni sentimentali che prendono forma attorno a tavole imbandite. Lo stesso accade in La neve nel cuore di Thomas Bezucha, dove la protagonista — newyorkese, controllata, fuori posto — affronta le vacanze con la famiglia bohémienne del compagno: i pasti comuni sono il punto in cui emergono tensioni, fragilità e alleanze improvvise, confermando quanto il convivio sia spesso il vero motore narrativo dei film natalizi. A rendere esplicita questa associazione c'è anche Menù di Natale, produzione che porta in primo piano la dimensione culinaria delle feste, al punto che sotto il trailer un utente ha commentato: “Da non guardare se si è a dieta”. Un'osservazione che dice molto: il Natale sullo schermo è quasi sempre un'offerta continua di pietanze che funzionano come ancora emotive e scenografiche. Le produzioni Hallmark hanno trasformato questa intuizione in una formula industriale. Nei loro film il cibo occupa un posto imprescindibile: ricette da condividere, biscotti decorati, scene di ogni tipo. Anche il gusto è etica: caffè e cacao insegnano L’organizzazione del Natale Le serie televisive contemporanee hanno portato questa dinamica su un altro piano, come il Natale norvegese con uno sconosciuto dove tra una cena e l'altra e un vin brulé ai mercatini si vedono i biscotti tradizionali goro, krumkaker e berlinerkrans. Oppure in Modern Family l'episodio Express Christmas ruota attorno all'idea di organizzare un Natale lampo: Phil e Manny si occupano della spesa, con il cibo che diventa il primo ostacolo logistico da risolvere. Nei Soprano ( To Save Us All from Satan's Power ), la tavola natalizia è un rito italo-americano fatto di piatti abbondanti e ricordi ingombranti. Il più delle volte il cibo regge la scena più della festa stessa. L'episodio Fishes di The Bear è probabilmente la rappresentazione più brutale e onesta della cena di Natale mai messa su schermo. Solo una famiglia disfunzionale che si autodistrugge tra una portata e l'altra. Proprio quell'episodio e la tradizione dei sette pesci hanno generato un equivoco culturale: varie riviste ne hanno parlato descrivendola erroneamente come «un'usanza dell'Italia meridionale» e proponendo 35 ricette per rispettarla. Non è un caso che il Natale funzioni così bene come dispositivo narrativo. Concentrato in poche ore dinamiche che normalmente si sviluppano in mesi. La promessa di armonia rende ogni dissonanza più evidente, ogni incrinatura più profonda e il cibo sta al centro perché mangiare insieme è l'atto sociale per eccellenza. [Missing Caption][Missing Credit]