Era il dicembre 1973 e i cibi viaggiavano già in maniera globale attraverso il pianeta, certo non alla velocità di oggi ma comunque coinvolgendo paesi insospettabilmente connessi, che per la gente comune non avevano legami.

Poi di colpo tutto si fermò, almeno in Europa. La guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur, infatti, bloccò il Canale di Suez e spinse i paesi produttori di petrolio ad aumentare il prezzo al barile, mossa con cui sfidarono l’occidente. Il commercio globale si arrestò e l’import-export italiano (e di altri paesi europei) entrò in crisi. In pochi giorni aumentò il prezzo della poca benzina disponibile e di molte merci che arrivavano dall’estero, cibo compreso, e l’Italia non guadagnava più così bene da quello che vendeva ad altri paesi. Il tutto si tradusse con una sola parola: austerity.

La crisi

Vi ricorda qualcosa? Certo, 50 anni non sono passati invano, ma le difficoltà dovute alla recente guerra scoppiata sempre nella zona del mar Rosso ricordano moltissimo il periodo di crisi che colpì una buona parte di mondo tra la fine del 1973 e la metà del 1974.

L’austerity consistette in un insieme di decisioni governative che avevano lo scopo di risparmiare energia. Fu attuata dal 2 dicembre 1973 per circa sei mesi. In un primo periodo, fino all’aprile del 1974, venne vietata la circolazione dei mezzi a motore nelle domeniche e nei giorni festivi.

Tra le poche eccezioni, le forze dell’ordine, i medici che si recavano al lavoro e i sacerdoti, ma solo all’interno del territorio della loro parrocchia. I cinema chiudevano alle 22:30, l’illuminazione pubblica fu ridotta del 40 per cento e i programmi tv finivano dopo la prima serata.

Da aprile a giugno 1974 le limitazioni furono allentate e fu avviata la circolazione a targhe alterne: una domenica circolavano le macchine con il numero di targa pari, quella dopo quelle con il dispari. A essere danneggiate furono le famiglie più povere, perché quelle benestanti avevano spesso due macchine e una buona possibilità che una fosse a targa pari e l’altra dispari.

«Austerity significa rassegnato sacrificio», diceva un severo cinegiornale Luce, condannando quelli che affollavano le strade pedalando o pattinando, perché si doveva lasciare spazio ai mezzi pubblici, alle ambulanze e a chi aveva seri motivi per essere in strada. Ma intanto la gente aveva scoperto e apprezzato le domeniche senza auto e le passeggiate in centro senza smog. Si arrivò presto a una crisi economica generale, in un periodo che già di suo non era florido. Le cronache di quei giorni parlano per esempio di ristoranti semivuoti e già all’inizio di dicembre i maggiori quotidiani lamentavano la penuria in supermercati e negozi di cibi fondamentali come pasta, sale, olio e zucchero, dovuta anche al fatto che la gente faceva scorta di questi alimenti temendo l’esaurimento.

Alcuni però accusarono le aziende di tenere questi prodotti nei magazzini per venderli a un prezzo più alto qualche settimana dopo. Il pericolo del mercato nero era concreto e faceva tornare molti ai tempi della guerra. Fecero notizia una famiglia di Bologna che aveva riempito la casa di sale per paura che finisse e un pensionato che ebbe un infarto in un supermercato di Milano nella ressa per accaparrarsi gli ultimi pacchi di cibo rimasti sullo scaffale.

Cucina parsimoniosa

Erano paure irrazionali, ma gli aumenti erano reali: dal luglio 1973 al luglio 1974 molti alimenti aumentarono del 30 per cento, mentre l’olio d’oliva passò da 1050 a 1500 lire al litro e la pasta da 280 a 500. Si cominciò a risparmiare pure sulla dieta: da una ricerca svolta a Palermo risultò che i consumi alimentare erano diminuiti del 25 per cento e che era stato comprato il 30 per cento di pasta in meno rispetto al periodo precedente.

Un cinegiornale raccontò l’austerity dei milanesi e li immortalò mentre riscoprivano la dieta povera: «Immagini da dopoguerra, polenta calda come apice di una torba allegria», dice la voce del giornalista mentre vengono inquadrate alcune persone che mangiano per strada al freddo sorridendo dietro un velo di tristezza (da dizionario, “torbo” è una variante toscana per “torbido”). I media diedero grande spazio alla nuova dieta: l’attrice Ottavia Piccolo si lamentava che fossero chiusi molti ristoranti e che lei, cucinando in casa soprattutto polenta e pasta, aveva cominciato a ingrassare.

Un libro, Cucina in austerity (Giunti), uscito nel 1974, mirava a salvare il sapore del buon cibo facendo contemporaneamente risparmiare. Scritto dal critico gastronomico Vincenzo Buonassisi, da sua moglie Lia Cantoni e dal cuoco Luigi Carnacina, promuoveva ricette con frattaglie, polenta, pasta, fagioli, e altri cibi a buon mercato. Diventarono improvvisamente popolari molti piatti vegetariani, non per convinzione animalista ma perché più economici di quelli a base di carne. Fu anche il periodo in cui arrivarono in Italia alcuni libri francesi sulla cucina povera: ricette a base di ingredienti poco cari, la raccomandazione di non buttare via gli avanzi e lo stop alle salse industriali divennero elementi gastronomici improvvisamente chic.

In un altro libro, Vip in Cucina (Sperling & Kupfer), alcuni personaggi famosi regalavano ai lettori consigli e ricette per risparmiare in cucina senza perdere il piacere del buon sapore: Agostina Belli promuove la pasta (tortiglioni con pomodori e origano); Susanna Agnelli raccomanda un pasticcio fatto alternando strati di pasta e melanzane, con in mezzo mozzarella e pomodori; Carla Fracci dice che lei è sempre in austerity, dovendo restare magra per lavoro, e suggerisce insalate di ogni genere; Gianni Rivera capisce l’austerità e il consiglio di rinunciare alla carne, ma ammette che per restare in forma lui deve mangiarla una volta al giorno; Donna Vittoria Michitto, moglie del presidente della Repubblica Giovanni Leone, suggerisce una torta con strutto, uova, carciofi e piselli: non ha carne, costa poco ed è comunque energetica; Claudia Cardinale illustra un classico della cucina povera, pasta e patate; nel suo libro di ricette L’abbuffone, invece, Ugo Tognazzi lancia la frittata austerity, economica e nutriente.

Nuovo mondo

Tutto questo ci fa capire quanto la sensibilità intorno al cibo si accese grazie alla crisi. È infatti in quegli anni che si comprende che tutto è collegato, che se qualcuno spara nel mar Rosso non hai più lo zucchero al supermercato. Fu grazie all’austerity che nacque nella gente comune, non solo negli esperti, la consapevolezza che la crisi oltre che energetica era ecologica.

Dipendere dal petrolio, fonte di energia inquinante, in maniera così esclusiva esponeva a rischi economici e avvelenava il pianeta allo stesso tempo. Era invece bellissimo passeggiare in un centro città senza auto. In una lettera a un quotidiano, il lettore Pino Pregioni scrisse: «Il primo vero rispetto di noi stessi sta nel pianificare responsabilmente le nostre azioni e i nostri piaceri, in modo che tutti abbiano sufficienza di cibo, di aria pulita, di acqua pulita».

Quello che possiamo dire oggi è che quindi l’austerity produsse una nuova idea di mondo, esattamente come succederà più avanti, in relazione al lavoro, con la pandemia. Sono le crisi a farci capire meglio di ogni altra cosa il nostro ruolo all’interno del sistema in cui viviamo. Per fortuna, non tutte le austerity vengono per nuocere.

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