La filiera agricola e le aree interne, non ci sono margini per chi guarda alla terra

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è come si salvano i ristoranti. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Difficile far comprendere il margine a chi non l’ha mai vissuto o a chi ci ha visto solo una dimensione di abbandono. Difficile farlo, anche, senza provare quel sentimento che estrae nostalgia dal mondo rurale, innalzandolo a bucolico simbolo di pace lontano dai rumori delle metropoli. Ci ha provato Vito Teti ne La restanza, individuando in chi rimane, in chi se ne va per sempre o poi ritorna, il senso vivo del camminare, non «un elogio del restare come forma inerziale di nostalgia regressiva, non un invito all’immobilismo», scrive Teti, «ma un tentativo di problematizzare e storicizzare le immagini-pensiero del rimanere come nucleo fondativo di nuovi progetti, di nuove aspirazioni, di nuove rivendicazioni. Perché per restare, davvero, bisogna camminare, viaggiare negli spazi invisibili del margine» e, cioè, quelle aree intermedie, periferiche e ultraperiferiche, che raccolgono il 58,8 per cento della superficie nazionale, quasi 4mila comuni e 13,3 milioni di persone, rileva Openpolis. Rivalutare la prospettiva verso le zone di margine significa, anche, opporsi al declino a cui sembrano essere destinate stando all’ultima Strategia Nazionale per le Aree Interne. Rivedere in questi territori difficili da raggiungere, sprovvisti spesso di servizi essenziali e soggetti a un invecchiamento feroce, quella parte essenziale per la cultura, l’economia e il patrimonio ambientale a cui, il nostro paese, non può rinunciare. Il cibo, e questo suo legame alla terra, possono agire come strumento per attraversare gli spazi invisibili di Teti, perché parla di riti di persistenza che sopravvivono e fondano le occasioni comunitarie, sono il frutto di un’azione agricola e pastorale che riscopre, recupera e guarda avanti. Un futuro che passa, soprattutto, attraverso un nuovo rapporto con la città che deve ricominciare a guardarsi attorno. End of cheers: l’inarrestabile crisi dei pub Parlare di pane, parlare di filiera Qualcosa sta già cambiando e la filiera stretta è già un mezzo per ripristinare questa forma di dialogo. Non per una questione legata solo ai prodotti di scambio, di chi scende a valle, ma per una più estesa comprensione fra artigiani e agricoltori, allevatori e ristoratori che scelgono un percorso basato sull’etica produttiva e sul progresso comunitario come punti non negoziabili. È col pane, ad esempio, che il gruppo Panificatori Agricoli Urbani vuole ribadire il valore del proprio lavoro e di tutta la filiera agricola alle sue spalle. Un impegno spesso duro, molto più spesso non visto, che ha raccolto attorno a questa visione 48 panifici in tutta Italia: «È fondamentale assumere il punto di vista di coloro che, oggi, tornano a popolare o rimangono nei territori considerati marginali e che lo fanno in una logica di relazione centro-periferia,» racconta Luca Martinelli, giornalista e coordinatore di Pau. «Chi sceglie di tornare o rimanere nell’area interna per costruire dei progetti in ambito agricolo ma non solo, lo fa avendo ben presente la necessaria interdipendenza con la città». Il forno di San Leo rinato dal basso nel paese «Dal mio punto di vista il cibo può avere degli effetti molto reali ed efficaci nel sostenere le economie territoriali nei luoghi marginali e, senz’altro, il pane è uno di questi possibili collegamenti», prosegue Martinelli. «L’agricoltura in queste zone non è soltanto un valore aggiunto dal punto di vista economico ma aggiunge altri elementi come, ad esempio, la salute del territorio, la prevenzione del dissesto idrogeologico, garantendo dei servizi ecosistemici che altrimenti andrebbero perduti. Questi elementi, spesso, non sono pienamente compresi dalla classe politica locale. Ci sono, è indubbio, grandi difficoltà ad amministrare piccoli comuni in termini di abitanti ma con una grande estensione di territorio ma, e lo dico vivendo in una di queste aree, a volte manca la capacità nell’affrontare la situazione e l’interesse verso le esperienze che portano più novità». Questo perché, come si legge dal rapporto Ispra 2025, l’aumento dei territori abbandonati nelle aree interne, ha causato il 15 per cento in più di frane solo nell’ultimo quinquennio. Ci sono, poi, il lato economico e quello qualitativo, con la perdita di aree destinate a prodotti di eccellenza, a culture tradizionali che, eccezione fatta per alcune piccole realtà resilienti, stanno lentamente scomparendo. In queste zone di montagna e collina si trovano, infatti, oltre il 60 per cento di vigneti, oliveti e frutteti, di tutta Italia, il 44 per cento degli allevamenti bovini e l’83 per cento di quelli ovicaprini, come riporta Cia su dati Nomisma, senza dimenticare la pratica boschiva. Un valore produttivo che vale quello dell’intera Sicilia. Come mangeremo nel 2030. Tra robot e sostenibilità Dalla decadenza alla rinascita Per queste ragioni guardare al margine come a un’opportunità, con un occhio di sistema, può essere una risorsa. Lo è, almeno, nel pensiero di Augusto Ciuffetti, professore associato all’Università delle Marche e presidente di RESpro: «Per il nostro paese,» spiega Ciuffetti, «le produzioni agricole e l’allevamento rappresentano una risorsa di straordinaria importanza per un semplice motivo: la produzione su scala industriale e intensiva non è più sostenibile. È necessario riscoprire un’agricoltura di comunità, in grado di recuperare vecchie pratiche, reintrodurre vecchi grani e varietà dimenticate di legumi». «In questo modo», continua «è possibile riscoprire anche la storia e le tradizioni delle aree interne. Proprio perché questi territori hanno subito processi di spopolamento che hanno fatto diminuire la ‘presa’ dell’uomo sulla terra, preservando determinati equilibri, oggi, questi spazi possono diventare dei veri e propri laboratori di futuro, nei quali riscoprire tecniche, pratiche e prodotti agrosilvopastorali di qualità che, ormai, è impossibile introdurre altrove». «Un piano di sviluppo deve essere pensato, quindi, come un’alleanza tra aree interne e città», conclude Ciuffetti, «La difesa delle filiere e dei presidi alimentari, la tutela dell’ambiente non possono che derivare da una conoscenza dei territori. Ricostruire territori non significa soltanto mettere a disposizione case e servizi ma, soprattutto, individuare nuove forme lavorative da sempre presenti nelle aree interne e che possono funzionare anche oggi, perché le potenzialità sono enormi». Heinz Beck: «Le cucine non sono quelle della tv. Dobbiamo cogliere i cambiamenti» «Non tornerei a vivere in città. Oggi, dopo quattro anni che ho fatto questa scelta, ho trovato le risposte che cercavo. Svegliarmi la mattina, avere questi paesaggi di fronte, fare questo lavoro mi dà tanto. È anche vero, però, che aprire un’azienda agricola in questo sistema economico è tutt’altro che semplice». A raccontarlo è Nicola Brighi che, insieme al fratello Lorenzo, hanno fondato Il Satiro, azienda agricolo-pastorale e caseificio ai piedi dell’Alta Valmarecchia, in provincia di Rimini. La loro storia non è quella di un ritorno in senso stretto, ma di chi lascia la città per far attecchire nuove radici. «Ascoltando esperienze simili alla nostra c’è un’evidente necessità politica e istituzionale. C’è bisogno di più velocità e meno burocrazia, di creare spazi che non siano a carico solo delle singole comunità, di situazioni in cui, in modo olistico, non si consideri solo l’aspetto economico. Si parla tanto di agricoltura e giovani ma, la verità, è che si tratta di mestieri durissimi e, senza un sostegno, il rischio di fallire è dietro l’angolo». Nella valli o in città, cosa significa sostenibilità: le scelte etiche e i contesti Quella de Il Satiro è solo una fra le esperienze che, piano piano, stanno fiorendo e ripopolando le aree interne, introducendo nuove consapevolezze ed energie. Non è solo coraggio, ma la scelta di chi guarda oltre al margine per rivedere la terra, il cibo e le sue – le nostre – origini. [Missing Caption][Missing Credit]