Oltre la buccia: ribellarsi agli standard della grande distribuzione

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è la frutta che diventa un lusso. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Nonostante una delle più popolari fiabe europee come Biancaneve ci abbia insegnato fin da bambini a diffidare di un frutto troppo perfetto, nei supermercati in cui facciamo la spesa troviamo in vendita quasi esclusivamente frutta e verdura bella a vedersi. Una prassi tutt’altro che neutra, che rischia di mettere in ginocchio il settore agricolo. Dietro quella uniformità, il più delle volte si nascondono infatti perdite alimentari sul campo, ma anche difficoltà e ostacoli per migliaia di agricoltori che, con la crisi climatica in corso, fanno fatica a tenere in vita un’azienda. Ma cosa c’entra la bella mela di Biancaneve con la crisi climatica, il reddito degli agricoltori e la nostra spesa? Gli effetti della crisi climatica Dall’aumento degli eventi climatici estremi che colpiscono direttamente le colture in campo, all'innalzamento delle temperature medie che fanno oscillare le rese, fino alle siccità prolungate che colpiscono le risorse idriche, gli impatti della crisi climatica sull’agricoltura sono tanti. A questi si somma la successione meno armonica delle stagioni e un pesante utilizzo della chimica che continua a fare strage di api e altri impollinatori, mentre aumentano le popolazioni di parassiti che provocano danni alle piantagioni. Gli effetti in campo sono evidenti: prodotti meno omogenei, più storti, o più piccoli, o con colori leggermente diversi rispetto a uno standard a cui i supermercati ci hanno abituati. Prodotti però buoni e sani come gli altri, ma che spesso non vengono neppure raccolti, a causa delle regole sugli standard estetici. Meloni, manghi e uva pagati a peso d’oro La campagna Per raccontare tutto questo, l’associazione Terra! ha lanciato la campagna “Oltre la buccia”. Una mobilitazione che, attraverso una petizione, punta a ripensare il modello di commercializzazione del cibo, valorizzandone qualità, sostenibilità e giusto prezzo, sia per il produttore che per chi fa la spesa. Firmare la petizione di Terra! vuol dire chiedere alla Grande distribuzione organizzata (GDO), i supermercati in cui facciamo la spesa, di mettere innanzitutto in vendita più prodotti “fuori standard”; creare spazi per valorizzare questi prodotti con etichette che raccontino cosa si nasconde dietro il loro aspetto; sostenere chi produce in modo giusto riducendo le perdite e gli sprechi; valorizzare la biodiversità denunciando la crisi climatica in corso. Anche per contrastare l’enorme spreco alimentare derivante dalla tendenza “estetizzante” dei mercati, la stessa Europa ha rivisto l’impianto normativo superando alcuni rigidi canoni del passato. I supermercati potrebbero vendere prodotti con qualche difetto, quelli che in gergo vengono definiti “prodotti di seconda categoria”, ma scelgono deliberatamente di non farlo, nascondendosi dietro le preferenze dei cittadini, che - a detta della GDO - cercano “il bello” più che il buono. E questo “bello” deve accoglierli fin da subito: il reparto dell’ortofrutta, posizionato quasi sempre all’ingresso dei supermercati, deve apparire ordinato, lucente, fresco, perfetto. I supermercati barattano la frutta bella con la crisi climatica La normativa europea A partire dal mese di gennaio 2025, è infatti in vigore il Regolamento 2023/2429 approvato dalla Commissione europea, che definisce le dimensioni, il colore e l’aspetto esteriore di alcuni tipi di frutta e ortaggi più comuni: mele, agrumi, kiwi, lattughe, indivie ricce e scarole, pesche e pesche noci/nettarine, pere, fragole, peperoni, uva da tavola, pomodori e anche banane. Il regolamento riprende la divisione tra Categoria Extra, I e II della precedente normativa. La Extra rappresenta il livello più alto, riservato ai prodotti dall’aspetto e dalla forma impeccabili; la prima categoria accetta piccole irregolarità nel colore e nella forma; la seconda ammette difetti estetici più evidenti ma richiede che il prodotto sia comunque edibile come le altre. A definire la categoria di un prodotto c’è anche il calibro, che indica la dimensione del frutto, misurata di solito come diametro o peso. Le norme europee e i requisiti dei supermercati stabiliscono soglie minime per il calibro che cambiano in base al prodotto. Per essere commercializzata ad esempio il diametro minimo per un’arancia è di 53 mm, per una mela è di 60 mm. Il nuovo Regolamento introduce alcune “tolleranze” sia di calibro che di categoria. La seconda categoria potrebbe essere venduta tranquillamente nei supermercati, eppure sono pochi quelli che decidono di farlo. La riscoperta della (falsa) paleodieta: non si mangiava meglio quando si stava peggio La tendenza “estetizzante” Gli impatti di questa prassi commerciale sono tanti. A causa della crescente difficoltà di competere su un mercato sempre più dominato dalla GDO, infatti, i produttori agricoli vedono un crollo dei redditi, che è alla base di espianti e di abbandoni di produzione. Per fare un esempio, nella scorsa stagione sono state circa 400mila le tonnellate di pere complessivamente prodotte in Italia, pari al +118 per cento sul 2023 ma circa -20 per cento rispetto al 2022. Le cause sono addebitabili a fenomeni climatici (sbalzi temperatura, grandine, gelo, eccetera), e a malattie e parassiti che colpiscono la pianta. Nessuna buona notizia neanche dal comparto delle arance. La superficie in produzione infatti è diminuita del 3 per cento rispetto all'anno precedente (in riduzione di 2.800 ettari rispetto al 2023/2024). La forte siccità di inizio campagna a cui hanno fatto seguito fenomeni piovosi eccezionalmente intensi hanno portato alla produzione di frutti di calibro medio-piccolo. Insieme a tutto questo, i produttori devono subire poi la scelta dei supermercati di selezionare all’ingresso i frutti raccolti e quindi sono costretti a lasciare sul campo tonnellate di prodotto, solo perché al mercato sembra “brutto”. In alternativa, l’agricoltore si rivolge all’industria di trasformazione, che trasforma i frutti in succhi o marmellate, ma spesso sottopaga quella materia prima come fosse scarto e non un prodotto buono “esteticamente modificato” dal clima. Continuare ad accontentare le richieste dei supermercati peggiorerebbe solo l’attuale situazione. L’agricoltura intensiva orientata alla perfezione estetica richiede più risorse (acqua, fertilizzanti, pesticidi) e aumenta le emissioni di gas serra. E consideriamo anche che spesso si preferisce lasciare sul campo prodotti considerati meno belli mentre se ne importano di analoghi da paesi molto lontani e oltreoceano. Eppure percorrendo il reparto ortofrutta di qualsiasi supermercato, di ciò che affligge le campagne italiane non troviamo traccia: quello che possiamo vedere sono banchi ordinati, riempiti di frutta e ortaggi esteticamente impeccabili, tutti uguali, senza alcuna imperfezione. Cosa fare allora? Partiamo dal pretendere che la frutta “imperfetta” abbia di nuovo dignità. Chiediamo insieme, come cittadine e cittadini, che i supermercati diano respiro al comparto agricolo, che più di altri paga il prezzo di una crisi costante, che è sotto ai nostri occhi ma che non riusciamo a vedere. [Missing Caption][Missing Credit]