Le feste nelle Rsa: il panettone non basta, ma senz’altro aiuta

Cibo è il nostro inserto mensile che racconta il mondo attraverso ciò che mangiamo. Esce l’ultimo sabato di ogni mese sulla app di Domani e in edicola. In ogni numero svisceriamo un tema diverso con articoli, approfondimenti e commenti: il tema del numero di questo mese è il fantasma del natale presente. Qui troverete man mano tutti gli altri articoli di questo numero. In questa pagina, invece, tutti gli altri articoli di Cibo, che è anche una newsletter gratuita. Ci si iscrive a questo link. Per posa e tradizione a Natale ci dividiamo in squadre compatte: di qua chi lo ama, di là chi lo odia. Di qua chi fa i regali, di là chi si rifiuta. Di qua chi mangia il pandoro, di là chi mangia il panettone. Ma che ne è del Natale e delle sue libagioni quando non abbiamo neanche il pieno controllo sul menù del giorno? Quando il cibo che assumiamo dipende da enti superiori, da protocolli medici? Le feste arrivano anche nei luoghi di cura e in quelli, forse, sono ancora più importanti che nel “mondo di fuori”. Il mondo di fuori non ha molta voglia di fermarsi a guardare il contenuto delle rsa, degli istituti, delle case di riposo, perché lì c'è lo specchio della debolezza che sarà la nostra. È un peccato, perché si può imparare molto, per esempio che quando si diventa vecchi, tra i cinque sensi, quello del gusto assume una grande importanza. Un modo come un altro per dire che le limitazioni alimentari non fermano certo i desideri. Il Natale in carcere fa soffrire e consola: tra cibo, condivisione e momenti malinconici È come un vero bar La casa di cura che mi trovo a visitare è circondata dai campi e da un coro di galli che cantano sfidandosi a vicenda impettiti. Dentro, l'atmosfera è calda e con mia sorpresa il bar è un bar vero. Non ci sono distributori automatici abbandonati in un corridoio. Ci sono tavolini e sedie dove gli ospiti deambulanti possono sedersi sia da soli che con i visitatori. Ci sono perfino un vero bancone e una vera barista. Mi viene detto sì, è proprio un vero bar ma il caffè lo servono solo deca. Poco male, commento, oggi di caffeina ne ho assunta abbastanza. Mi alzo per ordinare tre lisci, sotto lo sguardo di un Gesù bambino che tende le braccia da un letto di finta paglia argentata. Sono in visita a un signore che per comodità chiameremo Nino, che mi è parente ma non so ricostruire a che livello, che ha vissuto con gentilezza e discrezione nella profonda campagna e ora, da circa un anno, abita proprio qui. Povertà alimentare, il carrello della spesa pieno solo delle nostre rinunce Cosa significa abitare Il verbo abitare è utilizzato con intenzione, perché ho l'impressione che si sia sistemato bene, che abbia trovato una sua dimensione. Poco prima, sui muri del reparto, ho visto alcuni ospiti raffigurati in foto a colori. In gita in montagna, con i cappelli a ripararsi dal sole, in posa con grosse zucche adagiate in grembo, su prati verdi con le sedie a rotelle. Nella stanza c'erano un calendario di Frate Indovino e Amedeo Minghi, alla radio, cantava di Serenella fra la guerra e il Duemila. In visita da Nino c'è anche mia madre, una oss in pensione che se in questo momento la vedesse un social media manager direbbe che si muove nell'ambiente con un certo livello di competenza e fiducia . È con le medesime competenza e fiducia che si allontana per infilarsi in un'altra stanza. Va a parlare a voce molto alta con una donna allettata. Si sta consumando perché la vita biologica si consuma e ci consuma. Sorridere. Fatica a parlare ma si fa capire, sul tavolino ha solo una bottiglietta d'acqua con una cannuccia e non so quanto e cosa possa mangiare. È lei che con gli occhi ci invita a guardare la porta finestra. Vuole mostreranno l'orto in terrazzo. Da alcuni vasi occhieggiano gran cespi di radicchio variegato. Sono splendidi. Chiediamo se siano gli ospiti a occuparsene e lei dice di sì, fiera come se lo facesse in prima persona. La salutiamo e con un gorgoglio lei ringrazia per la visita. Mia madre le dice grazie a te per tutti quei passaggi al lavoro. Fuori dalla stanza mi spiega che un tempo erano operaie di fabbrica insieme. Lei era così veloce con le mani su quegli occhiali che non riuscivi a starle dietro, e simpaticissima, anche. Crostacei e frutta secca. Le festività complicano la vita agli allergici Il pasto preferito Dal mio osservatorio innegabilmente privilegiato, ovvero quello di figlia di una persona che conosce moltissimo personale socio-sanitario impiegato nell'assistenza alla terza e quarta età, negli anni ho appreso alcune nozioni che mi vengono ribadite anche in questa occasione. Un'altra oss che si ferma a fare due parole con noi, indicando le foto dei gitanti fa presente che, nelle strutture di cura, il privilegio si misura anche sul grado di autonomia. Da questo punto di vista Nino è un privilegiato, non certo economico, ma per via del fatto che deambula autonomamente ed è così lucido da avere il pieno controllo della sua alimentazione. Quando ci sediamo al bar, oltre a una serie di considerazioni di politica estera più circostanziate della media di quelle che riscontro scrollando il mio telefono, ho modo di farmi spiegare che il suo pasto preferito è la merenda. Non ne manca una e sceglie sempre frutta fresca, yogurt e una gran tazza di tè caldo. La merenda, si vede dal luccichio nei suoi occhi, lo entusiasma almeno quanto a me entusiasma il concetto di colazione. Perchè non c’è vino senza associazionismo: così viene sponsorizzata Napa nel mondo Chi è dentro e chi è fuori Nella frenesia da sopravvivenza performativa questo è un punto che tende a sfuggirci. Chi è dentro una struttura vive in modo diverso da chi è fuori, ma non è diverso da chi è fuori. E il punto in cui queste due dimensioni dell'esistenza convergono, a volte, è proprio il cibo. Il fatto che il desiderio appagato di uno spuntino degno di questo nome possa dare senso a una giornata. Sorbendo il suo deca, Nino ci indica una coppia che avanza con doppio girello, dice che sono i suoi nuovi amici. Chiedo se sono sposati. Mi dice di no, sono compari (in dialetto veneto: compagni). La moglie di lui è ricoverata a un altro piano e purtroppo non riconosce più nessuno. Non mangia da sola, ogni giorno il marito scende a trovarla e spesso la imbocca. Mia madre approfitta del momento di confidenza per aggiornarci sugli ultimi morti di paese, mi dice di cercare i necrologi online per avere un più preciso quadro d'insieme, spiega che una certa signora tal dei tali, tanto cara, è stata trovata sola e denutrita. Mi guardo intorno pensando che belli quei due che si allontanano insieme in girello, poi mi chiedo ma qui per le feste lo portano il panettone? Nino dice certo che a Natale portano il panettone, e tutte le domeniche ci danno la torta. Per l'anno nuovo la mensa convenzionata fa anche il cotechino con le lenticchie e viene il coro a cantare. Rifletto un attimo su Fran Lebowitz, che a un certo punto ha detto che le persone più amate al mondo sono i cuochi ei musicisti, poi a bassa voce si chiedono a mia madre ma siamo sicuri che qui è tutto pubblico? Lei, quasi piccata, risponde guarda che nel privato dove lavoravo non c'era la metà dei servizi, costava il doppio e ci pagavano pure meno. Il futuro del vino è Piwi, la resistenza è sexy Le tavole sono composte di molte persone Ricordo bene quel privato. Al suo interno c'era qualcosa di industriale. Anche lì facevano l'orto agli ospiti. Poi però le verdure non le potevano usare. Un'azione generativa a vuoto, che non si traduceva nel piacere di un'insalatina fresca. Qui invece, dice Nino, ci si è fatti delle belle insalate di pomodori, cetrioli e basilico, abbiamo mangiato le nostre zucchine e tra poco sarà il turno del radicchio. Non per tutti, s'intende, perché anche la deglutizione è un privilegio. La disfagia è una condizione medica che prevede una dieta a base di cibi frullati e molto morbidi. Anche ai liquidi bisogna fare attenzione, acqua e caffelatte vanno addensati. Per questo la torta della domenica qui arriva anche sotto forma di semifreddo, così il dolce può avere pure chi fatica a deglutire. Di questo e di molto altro sono fatte le tavole dei degenti. Il Natale delle persone anziane non autosufficienti è fatto di comorbidità sotto l'albero e perigliose doppie consistenze, di biscotti dosati perché il budget è limitato, di fette di pizza tagliate a pezzettini e di piccole eccezioni alla regola che migliora una giornata. In questa dimensione il panettone forse non basta a lenire ogni cosa ma senz'altro aiuta, perché il cibo è un sistema di relazione, una scusa per dialogare, un piacere, una forma di affermazione del proprio gusto e del proprio disgusto. Così, quello delle feste è il cibo potenziato dalla forza del rituale, che restituisce il senso del tempo e scandisce le nostre vite quotidiane: le vite fuori, le vite dentro. * Il titolo di questo articolo è un omaggio a Il panettone non bastò di Dino Buzzati e a una vecchia pubblicità delle caramelle Dufour, il cui reclamo più ricordato da chi stava davanti alla televisione tra gli anni ottanta e novanta recitava: “Non basta, ma aiuta”. [Missing Caption][Missing Credit]