- Il problema, come testimoniano psicanalisti, linguisti, psicologi relazionali, è che nel cosiddetto “pensiero emotivo” la negazione non esiste: più raccomando “non bisogna dire x o y”, più quell’x o y resisterà ossessivo nella mente.
- Creando effetti di rebound, desiderio infantile di dirle a sfregio, quelle brutte parole; col risultato paradossale che ormai la «libertà di parola e di parolaccia» è diventata una bandiera delle destre.
- Salviamo le brutte parole, inserendole in contesti di resistenza all’omologazione. Diciamole tutte, almeno in contesti letterari o tecnici, per evitare che si nascondano dietro altre parole.
Qualche giorno fa Vladimir Luxuria, interpellata a una manifestazione, ha detto «C’è la libertà di parola, ma non ci sarà più la libertà di parolaccia». Luxuria è persona intelligente e attenta al sociale, quindi non credo che mi cazzierà se parto da questo suo estemporaneo calembour per riflettere un poco sul tema delle “brutte parole”. Accosto la frase di Luxuria a quella di una bambina di quattro o cinque anni: giocava al parco Sempione e d’un tratto (imitando senza saperlo la Mafalda di Qui



