Quando è stata l’ultima volta in cui abbiamo pensato o pronunciato la parola “gloria”? Difficile ricordarlo. E nel caso lo ricordassimo: a cosa ci stavamo riferendo? O a chi? «Parola vasta, austera e solenne» scrive Maria Pace Ottieri. In effetti, a pronunciarla oggi, questa parola solleva molti interrogativi: cosa significa in realtà? 

La scrittrice milanese, classe 1953, autrice che si muove da sempre tra narrativa e riflessione saggistica, in Amor di gloria, densa carrellata tra storia, letteratura e indagine sociale che esce per Nottetempo, si chiede cosa sia rimasto oggi di quella parola, e quali siano i suoi simulacri. La risposta è, purtroppo, scoraggiante: «Attraverso i millenni, la gloria è stata un traguardo imprescindibile per guerrieri, militari, re, uomini politici e poeti; nel mondo contemporaneo ci è più familiare il suo contrappasso: la vanagloria, la superbia, il bisogno di lodi effimere a buon mercato, senza meriti e auto attribuite…».

Un tempo era facile; nella fantasia del poeta, eroe era Achille, o Odisseo. Le fatiche di Ercole! Il militare, il naufrago che torna a casa. Erano soprattutto uomini. L’eroismo è sempre stato declinato al maschile. Ma Ottieri declina la parola al femminile.

Eroine di ieri e di oggi

Chi sono le eroine? E chi sono state? L’emblema è Giovanna d’Arco, che si è meritata sei statue nella sola Parigi. Pazza e strega per alcuni, vergine guerriera per altri. Pochissime l’hanno conquistata, la gloria, e per lo più a caro prezzo. E oggi? Vengono in mente tante donne che l’hanno raggiunta. Per esempio, Naomi Klein, ai tempi in cui il suo libro No Logo è stato il manifesto di uno dei maggiori movimenti sociali e culturali della nostra epoca. Più recentemente Greta Thunberg, che per altro rappresenta la stessa battaglia per la quale la Klein scrive da anni: l’ambiente, suprema rimozione del nostro tempo.  

Nell’era dei social network la gloria esiste ancora, il problema è che dura poco. Nel momento in cui sorge è già colpita, talvolta mortalmente, dall’insulto. Insieme alla gloria si profila l’offesa, l’attacco, il fango. Quello che un tempo era il cannone sull’altro fronte, oggi è l’opinione dell’anonimo hater.

La Ottieri scrive: «È successo anche qualcos’altro nel XX secolo. L’attenzione si è spostata dall’azione inferta al sacrificio subìto: da un lato l’eroe assume i tratti della vittima, dall’altro diventa anonimo e collettivo». Tuttavia, l’eroe che va alla guerra esiste: la differenza rispetto al passato è che al fronte ci va da solo (o sola) e senza armi da fuoco.

Tre donne: Anna Politkovskaja, Daphne Caruana Galizia e Marielle Franco. Chi è che si è trovato in quella piazza di Rio de Janeiro chiamata Cinelandia il 15 marzo 2018, giorno dei funerali della consigliera comunale nera assassinata da due sicari, ha potuto constatare che la parola gloria non è del tutto tramontata. A volte risorge. Ed è proprio assumendo questi tre esempi che suona vero ciò che dice la Ottieri quando scrive che «è più facile riconoscere chi ha subìto che esaltare gli eroi, e il criterio di riconoscimento per eccellenza non è più cosa un individuo fa al e nel mondo, ma quello che il mondo fa all’individuo – un capovolgimento che scinde il riconoscimento dall’azione».

Quando era viva, Caruana Galizia indagava da sola – scomoda, criticata, avversata – contro la corruzione a Malta. E così Marielle Franco a Rio, puntando il dito nell’emiciclo dell’assemblea legislativa contro i suoi presunti futuri carnefici, accusandoli (alla maniera di Pasolini: “Io so”) di malversazioni e violenze, e allo stesso modo Politkovskaja nelle sue inchieste in Cecenia. La gloria è fiorita sulla loro tomba.

Everyday heroes

A venire esaltati, per contro, sono soprattutto gli eroi “per caso” e, scrive la Ottieri, paradossalmente gli stessi interessati si sottraggono: «“Ho fatto quello che avrebbe fatto chiunque al mio posto” dice puntualmente chi si trova a compiere un gesto straordinario dando espressione di normalità dall’eccezionale». 

D’altra parte, i nostri tempi chiedono eroi comodi, pronti per il “mi piace”: «Per il mondo dominante» scrive Ottieri, «è più rassicurante infondere fantasmi d’eroismo individuali che lasciar crescere desideri di emancipazione collettiva. È l’idea cara alla cultura anglosassone, in particolare americana degli everyday heroes – dai pompieri di New York a tutti coloro che si impegnano per gli altri – che si afferma soprattutto dopo l’11 settembre, il milite ignoto in tempo di pace». Anche se più spesso il milite ignoto di oggi è quello che blocca il traffico dell’autostrada per salvare il bradipo – sempre che si sia ricordato di filmarsi con il telefonino.  

C’è persino il rischio di una controindicazione, nell’eroismo vero, quello di chi, come i componenti del gruppo musicale turco Grup Yorum, per protesta si sono lasciati morire di fame in carcere: «Difficile credere ancora all’autenticità di esperienze così estreme e radicali» riflette laconica Ottieri, «l’azione eroica è spesso inutile e si conclude con la morte, due approdi inammissibili per la cultura dell’efficienza: oggi l’eroe morale inquieta, turba, disturba, più alto è il prezzo della sfida e più compresa e accolta sarà invece la rassegnazione». 

Siamo dunque rassegnati di fronte al sacrificio degli eroi autentici? O non lo siamo forse di fronte allo spettacolo dell’eroismo (e della gloria)? Vale a dire alla riduzione a misura di like – la spettacolarizzazione – della gloria vera. 

Perché a ben vedere, suggerisce la Ottieri, è ancora più che valida l'asserzione di Bertold Brecht: abbiamo o non abbiamo bisogno di eroi? E cita un profetico Joseph Conrad: «La maggior parte delle verità operanti su questa terra sono umili non eroiche, e vi sono stati esempi nella storia dell’umano genere in cui gli accenti dell’eroico vero non l’hanno mosso ad altro che allo scherno». Conrad sapeva di aver usato un eufemismo? Dallo scherno all’insulto il passo è breve. Quanti veri eroi oggi non li vediamo neanche, e nel qual caso li vediamo insultati? 

Gloria o notorietà?

Qui emerge la domanda centrale del libro: cos’è, in fondo, la vera gloria? E cosa la distingue dalla celebrità, dalla notorietà, le parole chiave del nostro tempo? E che ruolo giocano i media in questo colossale equivoco? Forse, dice Ottieri citando Gabriel Tarde, è necessario che ci sia qualcosa che va oltre la fama: «A differenza della semplice notorietà o celebrità che può investire individui privi di meriti personali, eredi, portatori di caratteristiche fisiche eccezionali, vittime di catastrofi, la gloria è per il sociologo francese una notorietà degna di ammirazione». Vero: ma quanto è fragile oggi l’ammirazione? Quanto dura? Di quanta forza (e soprattutto, di quali valori) dispone per radicarsi nella coscienza delle persone? 

Fa notare Ottieri che oggi siamo «un’umanità recensita, al pari delle merci, degli alberghi, delle linee aeree, prigioniera di valutazioni quantitative, orizzontali, umorali, oggetto di meccanismi di comparazione e competizione mai messi in discussione e che si alimentano vicendevolmente, in un complesso quanto opaco sistema di voci, opinioni, indici statistici, fluttuazioni di mercato». Senza saperlo ci siamo ridotti ad articoli acquistabili o dispensabili: «Perduta la gloria e l’onore, tra le mani ci resta la reputazione, triste, modesta, la bava misurabile e miserabile che tutti lasciamo persino oltre la morte, se non altro nell’ostinata e vacua traccia che di noi resta come un’impronta fossile nei server». 

La questione è se esista o meno il modo di uscirne. Nel libro, forse, un appiglio viene lanciato, un auspicio di decrescita felice del narcisismo per salvare la luce della gloria dall’ipertrofia fagocitante della reputazione. Ottieri la suggerisce rispolverando un vecchio consiglio di Giorgio Manganelli, «quello di tornare a quel momento obliato e tenero della nostra infanzia, in cui “la maggior parte di noi riesce a rinunciare, e definitivamente, alla carriera di capo tribù dei pellirosse. In quel momento, scortese e vergognoso e frettoloso, l’adolescente giudica la sua vita come una ‘vita sbagliata’: e cambia strada”». La domanda è: ne saremo capaci? Anzi, pardon: lo vogliamo davvero? 


Maria Pace Ottieri è autrice del libro Amor di gloria, edito da Nottetempo

copertina libro amor di gloria

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