A San Valentino saranno passati vent’anni dalla sua morte. Ha vinto meno di Merckx, di Pogacar e anche di Nibali. Ma è diventato film, canzoni, racconti, documentari, romanzi, inchieste, spettacoli teatrali. L’ultimo libro su di lui è di Marco Ciriello (“Marco Pantani. Alto sui pedali”). Il più bello dei monumenti per lui si vede dalla A14, l’autostrada che porta al mare. Sta dentro una biglia, di quelle che avevamo da bambini sulla spiaggia.
Se non fosse morto due volte, Marco Pantani starebbe per compiere cinquantaquattro anni, e ogni tanto qualche antico cronista andrebbe a trovarlo per un’intervista nella bifamiliare gialla che si era fatto costruire fuori Cesenatico dopo il trionfo al Tour. E magari lui lo porterebbe in garage, e ci sarebbero ancora le biciclette attaccate al muro e il cavalletto da pittore. Era lì che Panta assecondava i suoi due talenti, quello conclamato per la salita e quello meno popolare per la pittura. No



