E venne il giorno dell’inizio dei Mondiali del 2023 di pallacanestro, via diretta per la partecipazione alle Olimpiadi, l’appuntamento che fra i due conserva più appeal per le nazionali, almeno per gli Stati Uniti, consueta favorita. Le tante assenze in questa edizione rimescolano un po' le carte tra le favorite alle medaglie, pur togliendo inevitabilmente hype e non si può certo dire che l’Italia sia accompagnata da una nuvola nera.

Anzi, gli azzurri sembrano accompagnati da un vortice di entusiasmo quando scendono in campo. Sorridono, si cercano, esaltano i punti forti, si aiutano per colmare le lacune: in campo mostrano un basket divertente, coinvolgente, emozionale, con un ricambio generazionale nel frattempo completato. L’unico reduce dallo scorso Mondiale del 2019 è quel Gigi Datome all’ultimo torneo in carriera prima del ritiro, con la prospettiva di una buona dose di talento in arrivo in futuro.

Non ne farà parte il ragazzo che nei mesi precedenti i Mondiali aveva spesso preso il cuore dei discorsi, Paolo Banchero, con la sua scelta da prendere sulla nazione da rappresentare: Stati Uniti o Italia.

Era stato lo stesso Paolo a disseminare più volte indizi sulla possibilità di mettere la maglia azzurra, con membri federali, staff tecnici (al plurale visto il cambio arrivato nel mezzo, da Sacchetti a Pozzecco), media e tifosi a coglierli e sottolinearli, a partire da quelli evidenti come la bandiera tricolore sfoggiata nel Media Day degli Orlando Magic, che lo avevano selezionato con la prima chiamata assoluta al Draft NBA 2022.

L’esordio con la maglia dell’Italbasket, con conseguente inserimento a tutti gli effetti nel team azzurro, sarebbe con ogni probabilità arrivato nel novembre del 2020 senza la pandemia di mezzo. Banchero era stato convocato dall’allora coach Sacchetti per la finestra di qualificazione all’Europeo 2022 (che l’Italia giocava pur avendo già un posto di diritto, quale organizzatrice). Con uno zio in preda a un leggero stato febbrile, si decise di non forzare il viaggio del ragazzo, rimandando l’esordio con la Nazionale a tempi futuri. Ora sappiamo che non arriveranno più.

Nel frattempo la sua crescita è stata continua e spedita: la chiamata dalla prestigiosa università di Duke, il posizionamento al centro del progetto tecnico dell’ateneo, la risalita nelle quotazioni nel draft NBA, fino al colpo di coda della scelta come numero 1, l’impatto immediato nelle sorti dei Magic, la nomina mai in discussione di rookie dell’anno nella Lega americana.

Con le sue giocate a far alzare sempre più sopraccigli, anche nello staff della selezione USA, alle prese con la costruzione della squadra per un nuovo ciclo, basato su un pool di ragazzi da cui pescare per la selezione finale, colmo di stelle fra gli esterni (Jayson Tatum, Anthony Edwards, Trae Young, Ja Morant, LaMelo Ball, Tyrese Haliburton, Brandon Ingram) ma con tante incognite, soprattutto dal punto di vista della tenuta fisica, fra i lunghi (con i ripetuti infortuni di Zion Williamson, Jaren Jackson Jr. e Chet Holmgren).

Pian piano che il talento di Paolo è venuto fuori, è sembrato sempre più plausibile che rappresentasse il paese in cui è cresciuto, anziché quello degli antenati di suo padre, godendo delle possibilità di successo e di guadagni assicurati.

Così è andata, con la scelta definitiva a favore della selezione USA e la polemica esplosa da noi, con toni sin troppo accesi: è innegabile che nel caso avesse scelto gli azzurri, l'Italia avrebbe contato su un giocatore non prodotto "genuinamente" dal movimento (quindi non rappresentativo delle meccaniche, dei meriti e delle lacune della sua base) e che di italiano, in generale, avrebbe avuto poco.

Ma con quanto ha dimostrato di valere sul campo, al di là del battage pubblicitario creatosi intorno alla scelta definitiva, è molto difficile biasimare la Federazione per aver tentato fino all'ultimo di convincerlo. Ovvio che il rammarico sia tanto, in ottica attuale e futura: ma per la ricerca della ciliegina, ci si stava quasi dimenticando della torta.

Ovvero un gruppo che continua a emanare vibrazioni positive, sulla scia di un traguardo raggiunto tanto insperato quanto meritato, il ritorno alla partecipazione alle Olimpiadi dopo 17 anni nel 2021, con il pass strappato alla Serbia in casa sua, nella caldissima Belgrado.

Il connubio fra piano tecnico e emotivo fu eccezionale: gli azzurri canalizzarono le speranze per un risultato storico in tantissima energia e determinazione, annullando l’impatto ambientale in una gara dall’ottima esecuzione al tiro, punto forte di buona parte del roster, compensando con uno sforzo collettivo la mancanza di taglia fisica, il punto debole del gruppo.

Simone Fontecchio è diventato il faro offensivo, così come Nicolò Melli rappresenta quello difensivo, Mannion risulta una costante minaccia in attacco per gli avversari, come lo è a tutto campo l’atletismo di Polonara. Al loro fianco, specialisti come Pajola, Spissu, Ricci, Tonut, pronti a dare quanto di meglio conservano nel loro bagaglio, facendosi trovare al posto giusto nel momento giusto, anche in gare dove non sempre pare andare tutto per il verso giusto, come nell’esordio Mondiale contro l’Angola (81-67 in sofferenza), con un quintetto atipico a dare nel finale la scossa decisiva.

Cambiata guida tecnica, questi tratti sono stati riproposti, quasi amplificati, incorporati in una figura come quella del ct Pozzecco, con la sua carica a volte anche eccessiva, in linea con il personaggio, iconografica dello spirito vibrante del gruppo.

Uno spirito che spesso porta i ragazzi ad andare oltre il rendimento offerto con le squadre di club (Mannion) e ad esaltarsi nelle gare difficili (come nella sfida vinta all’Europeo 2022 contro la Serbia del meraviglioso Nikola Jokić), inserendo pian piano nel collettivo la futura generazione: a partire da Matteo Spagnolo e Gabriele Procida (gli altri due ventenni scelti al Draft NBA del 2022), fino agli altri giovani Diouf, Caruso, Bortolani, Casarin, Lever, i prossimi della lista.

Passando quasi a un’estremizzazione, dal punto di vista tattico: il ricorso quasi ossessivo a soluzioni per le quali la squadra è più portata, per caratteristiche dei ragazzi, quintetti leggeri, tanto tiro da fuori, mascherando con la buona volontà la mancanza di fisicità sotto canestro e le assenze. Come quel detto nato proprio negli Stati Uniti, «quando la vita ti dà dei limoni, fai le limonate». E se fra i limoni non c’è Paolo Banchero, la limonata azzurra può essere gustosa lo stesso.

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