Ho due amici che lavoravano con lei, ai tempi mi raccontarono due aneddoti significativi: un certo sponsor la contattò direttamente proponendole un bonus extra se avesse fatto la sua promozione “con particolare calore”; lei non solo rifiutò ma insistette per cambiare sponsor – nell’altro caso un collaboratore rischiò il licenziamento per aver svelato una sorpresa in anticipo, e lei gli disse che la televisione doveva essere «finta il giusto».

Sul rigore professionale di Raffaella Carrà sono fiorite le leggende, come sulla sua straripante energia. Nel suo ultimo programma di interviste (A raccontare comincia tu, su Rai3) chiese sinceramente curiosa alla De Filippi «Ma perché per tutti tu sei Maria, mentre io sono la Carrà?» – la De Filippi impeccabilmente rispose «Perché io so fare una cosa sola, parlare col pubblico e conquistarne la fiducia, mentre tu sai fare molte più cose, sai cantare ballare recitare».

Diva tascabile

Era vero. Attrice non memorabile, ballerina cresciuta alla disciplina della Ruskaja, cantante grintosa e perfezionista (a Milleluci, con Mina, si sfidavano e si perdonavano a vicenda), la Carrà è stata per trent’anni l’elfo benevolo del nostro immaginario televisivo; quella che entrava e usciva da ogni genere di spettacolo senza sbagliare un colpo. Con lei eri sicuro, sereno, tranquillo. Il caschetto biondo di Vergottini, una sensualità light tutta gambe e sorriso (il tuca tuca con l’ombelico di fuori, ma benedetto da Alberto Sordi), una risata inconfondibile e il buonsenso romagnolo; sotto sotto percepivi una inflessibilità militare, la serietà di chi si prepara e studia.

Le bambine la imitavano con la spazzola per capelli al posto del microfono, le madri un poco la invidiavano, i padri la desideravano senza timore. Una diva tascabile, per famiglie, trasgressiva senza esagerare: il desiderio quasi masochista di Forte forte forte e le coccole con Topo Gigio. Si stupiva, pare, di essere considerata un’icona gay; ma l’invito all’amore libero in Tanti auguri («L’importante è farlo sempre con chi hai voglia tu/ e se ti lascia lo sai che si fa ?/ Trovi un altro più bello/ che problemi non ha») fu percepito soprattutto da chi ormai di liberarsi aveva una gran voglia. «La mia vita è una roulette, i miei numeri tu li sai/ il mio corpo è una moquette dove tu ti addormenterai»: la maschera talvolta tragica delle drag queen poteva diventare ironia leggera, accenno poco impegnativo – gettare la testa all’indietro simulando i suoi capelli biondi e oplà.          

Erano i giorni ansiosi del sequestro Moro, lei distraeva senza far vergognare; musetto sensuale, complessione minuta ma atletica, non madre ma sorella vicina per franchezza, la Raffa, di tutti e di nessuno; la showgirl si vestiva di simpatia, era già pronta per intrattenere gli italiani anche a mezzogiorno chiacchierando con loro. La conta dei fagioli fu una furbata di Magalli e Boncompagni, ma solo lei poteva metterci sopra quella polverina d’oro che gli veniva dalle sigle del varietà, da quel suo altro mestiere in cui poteva tornare a brillare in qualunque momento.

Raffaella Carrà è stata un personaggio anfibio, raro in Italia: familiare nel luccichio, intoccabile nella familiarità. Le sue “carrambate” non sempre evitavano il patetico, ma il suo senso del ritmo la faceva frenare prima dello svacco; il segreto della misura lo aveva ereditato dal ballo e dal canto, oltre che da una semplicità psicologica di fondo – impassibile e divertita mentre Benigni le sciorinava addosso i mille sinonimi di “fregna”. La Carrà. Imprenditrice di sé stessa, famosa nel mondo ispanico ma nota anche in quello anglosassone; un nome che diventa un marchio, amica e irraggiungibile.

Ponte tra due mondi

Con l’avvento della vecchiaia, in lei hanno prevalso la sobrietà e la discrezione, quasi fosse consapevole della propria funzione cronologica di ponte tra un mondo affluente (di contraddizioni e lustrini) e uno successivo di paura e disagio.

Pochissimo presenzialista, opinionista mai, ospite d’onore qualche volta, non si è lasciata andare alla bulimia da work alcoholic: ha fatto la giudice a The Voice, ha attinto al bagaglio d’esperienza per suggerire format, come appunto quello delle interviste in movimento. Ritirata all’Argentario, fino all’ultimo ha difeso la propria privacy. Si è fatta voler bene, anche con l’astuzia di preservarsi dalla canea dei social; per lei stare al passo coi giovani ha significato collaborare con Bob Sinclar, non dare in pasto alle folle i propri affetti e le proprie idee. Quando l’enfasi degli omaggi sarà spenta, resterà il ricordo di un talento poliedrico, di una persona coi piedi per terra, simbolo di un’Italia eroticamente disinvolta ma solida nei suoi divertimenti – e di una femminilità in pace con se stessa.

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