Poco fuori Washington, un centro commerciale è il cuore della comunità vietnamita della zona. Tra banh mi e tofu, è un luogo che aiuta a capire la storia dei rifugiati arrivati negli States
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Saigon non si chiama più Saigon. Ma a Falls Church, in Virginia, quest’anno è diventata il nome di una strada, Saigon Boulevard: il cartello è piantato proprio davanti all’arco d’ingresso del più grande centro commerciale vietnamita nella costa est degli Stati Uniti.
L’Eden Center si trova a Falls Church, poco più di mezz’ora di metropolitana dal centro di Washington: quello che negli anni Sessanta era Plaza Seven Shopping Center, nel 1984 è diventato un centro commerciale pieno di attività gestite da persone vietnamite, dove ha accolto parte dei negozi di quella che era la Little Saigon di Arlington, a causa dell’aumento del prezzo degli affitti.
Ristoranti, bakery, alimentari, ma anche negozi di elettronica ed estetisti: tutto radunato tra due entrate, Saigon East e Saigon West. Nel parcheggio del mall svetta la bandiera del Vietnam del Sud, che sventola rossa e gialla, accanto a quella americana.
È comune in tante delle attività gestite dai rifugiati o dai figli dei rifugiati che sono arrivati negli Stati Uniti dopo che le truppe del Vietnam del Nord hanno preso Saigon, il 30 aprile del 1975, unificando tutto il paese sotto al regime comunista dopo vent’anni e dopo il sanguinoso conflitto da cui le truppe americane si erano ritirate nel 1973.
Sapori e contrasti
Se le dimensioni dell’Eden Center possono apparire limitate quando confrontate con le Little Saigon che si trovano in California, lo stato che ha la più nutrita comunità vietnamita, sulla costa est è un’istituzione. La comparsa dei primi ristoranti thai o cinesi negli ultimi dieci anni ha provocato articoli che si interrogavano sul suo futuro e la sua identità.
Nel tempo è diventato una destinazione turistica, per quanto ormai sia un po’ invecchiato e con qualche vetrina vuota. Resta soprattutto ancora un posto frequentato da vietnamiti (la vicina Fairfax County è la nona contea negli Stati Uniti per numero di abitanti «Vietnamese American»): il sabato, poco prima di ora di pranzo, una fila ordinata si muove attorno al bancone di Than Son Tofu, una delle tante vetrine che si affacciano sul parcheggio, tutte piene di scritte in neon.
I più ignorano i dolci e si fiondano davanti alla cassa, dove si vendono a peso cartoni pieni di tofu pezzettoni di fritto: semplice, aromatizzato ai funghi e cipolla oppure con peperoncino e lemongrass. Il peperoncino è intenso ma non opprimente, iI lemongrass sgrassa perfettamente la frittura.
È una caratteristica che torna in diversi dei piatti vietnamiti che si possono trovare nei tanti ristoranti e negozi del centro. Da Banh Mi So 1 il classico panino si può provare con diversi ripieni. Con circa sei dollari si prende quello dac biet, ovvero «con tutto»: patè, vari affettati vietnamiti, coriandolo, carote e daikon marinati e jalapeno, dentro una baguette vietnamita. La carne ha un sapore forte, uno degli affettati una consistenza gelatinosa. La freschezza del coriandolo, delle verdure e del peperonicino ribilanciano tutto.
Per arrivare da Truong Tien bisogna infilarsi all’interno del centro commerciale: il ristorantino ha in menù piatti tipici di Hue, l’antica capitale imperiale del Vietnam. Il personale di sala serve scodelle di bun bo Hue, una zuppa di manzo e spaghetti, accompagnate da ciotole zeppe di erbe e germogli di soia.
Nel bun thit nuong nuoc leo c’è una montagna di noodles di riso con pezzi di carne grigliata che hanno un aroma pungente di salsa di ostriche. Sopra, arachidi e tantissima menta fresca. Il tutto è accompagnato da un condimento agli arachidi. Anche qui a regnare sono i contrasti: tra dolce e salato, grasso e acido, consistenze morbide e croccanti.
Appena fuori, c’è un piccolo negozio di alimentari, Viet Gourmet Ha aperto da poche settimane, l’allestimento non è ancora completo. C’è una piccola selezione di prodotti, con etichette eleganti, tanti tipi diversi di carne secca, dal manzo agli sfilacci di maiale (pork floss, «si mangia soprattutto sopra al riso», dice la giovane che sta alla cassa), noodles istantanei e caffè.
Il caffè vietnamita, servito freddo e con latte condensato, si accompagna a dolci tipici: da Phuoc Loc Bakery si vendono entrambi. Uno dei dolci esposti nella vetrina stretta e lunga è il banh it dua: un impasto di farina di riso, dalla consistenza morbida e un po’ collosa, a cui il pandan dà un colore verde brillante avvolge al centro un cuore di cocco e zucchero. Il tutto è formato in una piccola piramide e avvolto in foglie di banana. È dolce e la consistenza particolarissima risulta irresistibile.
L’alta cucina
Tanti dei sapori provati nei piccolissimi locali che si affollano all’Eden Center tornano anche nella sala elegante e minimal del ristorante Moon Rabbit, nel pieno centro di Washington.
Nato nel 2020 e nominato da Eater uno dei migliori locali della capitale, lo chef Kevin Tien offre alta cucina vietnamita moderna: durante il periodo della pandemia, spiegano dal ristorante, lo chef «si è dedicato a cucinare le ricette della sua famiglia». «Fino a quel momento», dicono, «lo chef Kevin aveva evitato di preparare la cucina vietnamita. Si è reso conto che c’era un modo per ridefinire la cucina vietnamita e applicare tecniche moderne per creare una cucina unica e propria».
Nel menù si trovano anche influenze della cucina cajun (Tien è cresciuto in Louisiana) e ingredienti da tutto il sud est asiatico. Oltre ai sapori tipici come la salsa di pesce e il lemongrass, ci sono tanti elementi che vengono dal Giappone: in quello che sul menù è indicato semplicemente come «Rice Cakes - Banh Beo» il giapponese furikake, a base di sesamo e alghe essiccate, va a condire un sottile gnocco di riso, ricoperto di asparagi crudi tagliati sottili e di funghi enoki fritti.
Il tutto galleggia in una vinaigrette di soia e peperoncino. Il piatto è vegetariano, ma i funghi sono perfettamente grassi e carnosi, senza essere unti, e la vinaigrette freschissima crea complessità di sapore, lo gnocco morbido e gli asparagi croccanti danno il contrasto di consistenze.
La comunità negli Usa
«La cucina vietnamita è molto difficile da replicare», dice Yen Le Espiritu. La sociologa della University of California, San Diego, si è occupata a lungo delle comunità di rifugiati e migranti dal sud est asiatico. «I nostri sapori sono complessi, c’è armonia di acido, dolce e salato».
«Il nostro cibo non è stato assimilato dal mainstream», dice Phuong Nguyen, storico della California State University, Monterey Bay. «Non esistono catene di fast food vietnamite simili a Taco Bell o Olive Garden. È possibile acquistare sushi mediocre in qualsiasi supermercato. Si può comprare cibo cinese surgelato da Costco. Ma non è possibile trovare cibo vietnamita nello stesso modo».
La storia della cucina vietnamita negli Usa è segnata dalle varie fasi di arrivo dei rifugiati: «All’inizio c’è stata la vera e propria evacuazione, poco prima della caduta di Saigon, di militari e persone che avevano lavorato per gli americani. Molti di loro sono stati mandati a Guam e poi ricollocati negli Stati Uniti, attraverso le basi militari», dice Espiritu: è questo che spiega la presenza consistente di vietnamiti in Virginia. La fase successiva invece ha riguardato le persone generalmente indicate come “boat people”, i rifugiati che tentavano di lasciare il paese fuggendo in barca: «Molti di loro sono stati mandati in campi profughi», continua Espiritu. «Già nei campi profughi i vietnamiti hanno trovato il modo di riprodurre la loro cucina: piantavano le erbe aromatiche che avevano portato via di straforo dal paese, aprivano bancarelle dove vendevano pho».
Per anni però tra Stati Uniti e Vietnam socialista non ci sono state relazioni diplomatiche e commerciali. Per questo i vietnamiti di origini cinesi (che in Vietnam erano un’èlite economica, non assimilita) sono stati fondamentali nel plasmare la cultura culinaria vietnamita negli Usa: «Molti di loro si sono stabiliti nelle Chinatown. Molti di loro hanno avviato attività commerciali.
Come dico nel mio libro, grazie al loro accesso agli uomini d’affari cinesi in tutto il mondo, furono in grado di importare una serie di importanti prodotti alimentari dal mondo non comunista, come prodotti di erboristeria cinese, i periodici e i libri vietnamiti, la salsa di pesce dalla Thailandia, la pasta di gamberi dalle Filippine», dice Nguyen.
Tutti ingredienti che oggi sono molto più accessibili, e che si trovano in abbondanza in posti come l’Eden Center o nelle altre Little Saigon sparse per tutto il paese. «Oggi» all’Eden Center, dice Nguyen, «ci sono più commercianti arrivati di recente dal Vietnam e più proprietari di negozi che sono vietnamiti americani di seconda o terza generazione. Ciò consente a Eden di sopravvivere rivolgendosi a un pubblico più vasto, dalla vecchia generazione di rifugiati ai nuovi arrivati non rifugiati, alla generazione più giovane che parla prevalentemente inglese, ai non vietnamiti che vogliono conoscere questa cultura».
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