La stampa fonda i suoi bilanci su una bolla, che si può definire anche “cerchia”, di clienti-seguaci che sono accomunati da linguaggi e pregiudizi. La tv “generalista” a sua volta destina ogni canale a un’audience che è stata profilata utilizzando criteri socioculturali. Anche i social nascono, con amici e follower, sulla base della logica delle cerchie.

La guerra ha diviso ancora una volta gli utenti in cerchie opposte, fra chi ha deciso di arruolarsi fra i pacifisti da salotto e chi fra i combattenti. In sostanza, senza aspettare il metaverso, il sistema dei media fornisce già un metasenso che si adatta a seconda dell’utente, sulla base dei suoi pregiudizi e desideri. Ed è così che ci rinchiudiamo da soli nell’idiotismo irrimediabile di ogni cerchia.

Gli uccelli non sono veri

Una conferma arriva dal recente esperimento di un manipolo di giovani liberal statunitensi che si sono inventati dal nulla una teoria complottista, chiamata “Birds aren’t real!”, gli uccelli non sono reali. Sostenevano che gli uccelli fossero in realtà droni utilizzati dal governo per spiarci.

Era ovviamente la parodia di una vera teoria del complotto. Ma la logica delle cerchie ha contribuito a creare due nuovi gruppi di utenti: quelli che la prendevano sul ridere e quelli che invece la ritenevano fondata. Entrambi i gruppi erano spinti da riflessi emozionali, con caratteristiche di riferimento per gli affari di politici e pubblicitari.

Il panorama mediatico che ne consegue non è certo gradevole, ma è davvero così dannoso lasciarci andare alle logiche delle cerchie? Perché non possiamo esserne soddisfatti, visto che i mass media sono degli specchi che dovrebbero rifornirci di significati su misura e renderci più facile il dormire? Perché desiderare invece l’interminabile inquietudine di una comunicazione troppo fluida?

Ghetti liminali

Il punto è che, se la fluidità manca, si creano le trombosi informative che aggravano l’effetto dei ghetti materiali. Una recente ricerca, condotta per il Mit da Carlo Ratti e Richard Sennett, un architetto e un sociologo, parla di “ghetti liminali” basandosi sugli “indici di segregazione e di mancato incontro col diverso” propri delle metropoli.

A differenza che nei piccoli centri, nelle grandi città la folla è tanta ma informe. Così ognuno alla fine si trova a frequentare solo chi gli assomiglia di più. L’autosegregazione è aumentata con l’arrivo della pandemia e con l’abitudine della consegna della pizza a domicilio.

Segregati

Se le “città” e i “mass media”, che sono nati per connettere, ora invece tendono a segregare, il problema si fa serio, perché ne va di mezzo il vivere sociale. Così scema la domanda di spazio per il discorso pubblico e ci si rassegna a una qualunque tirannia.

Ci vuole poco (da Salvini a Putin) per contentare con la paura del diverso chi se ne sta auto segregato. Così come a far passare, Trump o meno, Cina e India per intrusi temporanei nel progresso occidentale, solo perché le nostre segregate società non reggono alla prova delle sfide di commercio e concorrenza che lanciavano per prime finché erano le sole a guadagnare.

Scuole e città

Per “fluidificare i rapporti fra diversi” agendo in senso contrario alle logiche di cerchia sono necessarie politiche pubbliche e non chiacchiere e sermoni. Sono infatti di natura pubblica tutti i possibili rimedi. A partire dalla scuola, l’unico sistema che per struttura allenta le chiusure di ordine tribale e culturale, perché costringe al contatto fisico, a comuni discipline e, soprattutto, allo studio di cose sconosciute che “allargano la mente”.

Non a caso la destra americana, che nella segregazione si trova notoriamente a proprio agio, pratica l’apartheid scolastico delle scuole “su misura” che si contendono le rette. Assicurando, oltre al bagaglio di nozioni, in ogni scuola la conformità alle opinioni e credenze di famiglia. Per scampare all’idiotismo delle cerchie serve esattamente il contrario.

Bisogna intervenire poi sull’urbanistica delle metropoli che spartisce e seleziona tenendo ognuno chiuso nella propria casa fisica e mentale. Mentre fluidificare la città significa rendere facile, sicuro ed economico spostarsi verso comuni motivi d’attrazione. Così le periferie cessano di essere tali se tutte insieme partecipano a un centro.

Nelle metropoli, da Torino a Roma, da Napoli a Milano, il centro è invece lontano. Ma rincuora l’idea che l’elettore sia pronto a spingere col voto chi gli assicuri metro gratuite, strade senza buche e la pratica di una città più vasta di quella che conosce.

Alta gamma

Nei mass media, come in urbanistica, è essenziale che esista un centro frequentabile da tutti. Ma qui si sfiora l’impossibile perché l’utente di mass media e social è abituato a isolarsi stando sul divano. Servirebbe dunque una comunicazione che fuoriesca dalla logica delle cerchie. In sostanza, una comunicazione d’alta gamma che l’utente attuale non conosce e non può desiderare, ma che accoglierebbe una volta che se la trovasse bell’e fatta davanti al naso. “Alta gamma”, s’intende, sia sul piano dei contenuti sia su quello del linguaggio.

Il contenuto emancipato dalla cerchia è quello che rivolta il mondo facendolo scoprire come nuovo e offrendo la comunicazione come avventura di scoperta grazie ad autori-esploratori ben diversi dai manieristi giovani e anziani che titillano le cerchie. Quanto al linguaggio, è ad esso che s’affida l’effetto seduttivo, il colpo d’occhio che istante per istante trattiene l’utente dal rituffarsi nella combriccola della sua cerchia. L’alta gamma, a dirla in breve, costa molto, molto di più, della tv riempita con le chiacchiere.

Nello specifico europeo le uniche risorse tangibili e più o meno adeguate sotto l’aspetto finanziario a un fine di carattere strategico, sono quelle già in possesso dei servizi pubblici una volta solo radiotelevisivi e ora multimediali. E qui per l’Italia sono dolori perché altrove qualche cosa bene o male già funziona, mentre la Rai può svolgere quel compito solo nella misura in cui recida i legami ereditati dal passato.

Serve dunque una riforma del servizio pubblico italiano, in modo che l’azienda si faccia più “densa” e capace di investimenti incisivi in prodotti.

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