Pace fatta tra Netflix e l’Agenzia delle entrate. La più celebre società di streaming video al mondo, famosissima anche in Italia per titoli come La casa di carta e House of cards, ha trovato un accordo di massima con il fisco italiano per chiudere una lunga pendenza sulle imposte mai pagate nel nostro paese. 

La multinazionale fondata e ancora guidata da Red Hastings, che sul listino del Nasdaq vale più di 150 miliardi di dollari con profitti netti superiori ai cinque miliardi nel 2021, pagherà al fisco una sessantina di milioni di euro per chiudere le pendenze.

Una cifra certamente non stratosferica se paragonata ai quattro milioni di abbonati raggiunti a fine dell’anno scorso in Italia, ma c’è da essere soddisfatti per la conclusione positiva di questo accertamento, viste le difficoltà tecniche e giuridiche da superare.

Un’indagine complessa

Francesco Greco (foto Claudio Furlan / LaPresse)

Quando è iniziata l’indagine della procura di Milano, che ha aperto un fascicolo nel 2019 con l’accusa formale di «omessa dichiarazione dei redditi», la società non aveva un dipendente nella penisola. Le sue attività erano gestite direttamente dall’Olanda, sede della Netflix International e centro delle operazioni continentali anche per la fatturazione dei clienti italiani. Per anni questo meccanismo ha impedito al fisco di incassare quanto dovuto sugli utili prodotti sul nostro mercato.

Il nucleo economico finanziario della Guardia di finanza, che ha svolto le indagini su delega della procura, non ha potuto così ricostruire una stabile organizzazione di Netflix in Italia in senso classico, com’è successo nel caso di Apple, Google, Facebook Amazon.

Sono le altre grandi multinazionali della tecnologia della West coast americana che avevano filiali con centinaia o migliaia di dipendenti nel nostro paese. Negli anni scorsi hanno raggiunto un accordo con l’erario, versando imposte per centinaia di milioni di euro sotto la spinta di una serie di inchieste sostenute dall’ex procuratore capo Francesco Greco.

Una questione tecnologica

Nel caso di Netflix ha dovuto lavorare su un altro concetto, quello di «stabile organizzazione “materiale”». Un terreno giuridicamente molto scivoloso che ha permesso di ricondurre all’Italia la tassazione mai pagata. Lo ha fatto considerando l’infrastruttura tecnologica utilizzata nel nostro territorio per trasmettere in streaming a milioni di persone.

Sono reti che non sono di proprietà della società, ma rappresentano il fondamento indispensabile per fornire il servizio ai clienti. Senza, semplicemente, Netflix non esisterebbe in Italia.

Verso l’archiviazione

Muoversi su questo crinale logico non è stato facile e per questo motivo la vittoria del fisco è importante, al di là della cifra ottenuta. Sposta infatti la frontiera del contrasto all’evasione fiscale su un territorio poco o per nulla esplorato.

Chiuso il profilo tributario, sul quale né l’Agenzia delle Entrate né la società hanno voluto rilasciare alcun commento dopo essere stati contattati da Domani, il prossimo passo sarà definire il procedimento penale: il fascicolo è in mano in questo momento al pubblico ministero Enrico Pavone del dipartimento guidato dall’aggiunto Fabio De Pasquale.

Non è chiaro cosa abbiano in mente i due magistrati, ma i benefici che il penale tributario assegna a coloro che saldano il dovuto col fisco in fase di indagine preliminare, uniti alla rassicurazione che dal 2022 Netflix fatturerà in Italia i suoi tanti clienti (ha aperto una filiale a Roma), dovrebbero far propendere per una richiesta di archiviazione.

Sarebbe una buona notizia per la società dato che il reato di omessa dichiarazione dei redditi è stato inserito tra quelli per i quali opera la legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

La truffa

Per Netflix, che qualche giorno fa ha interrotto le trasmissioni in Russia per l’aggressione dell’Ucraina, la procura di Milano non significa solo guai da risolvere sul piano tributario. La major cinematografica digitale è parte lesa insieme a concorrenti quali Sky e Dazn di una maxi truffa ai loro danni sulla quale indagano i magistrati del capoluogo lombardo.

Gli inquirenti hanno smantellato una vasta rete di pirateria digitale che aveva il centro principale a Napoli ma una sponda anche a Dubai. Aveva raccolto 500mila clienti in grado di poter accedere a tutte le piattaforme versando solo 10 euro al mese. È stata ordinata anche una serie di perquisizioni in tutta Italia che dovrebbe servire a capire meglio il fenomeno e l’operatività della ventina di indagati noti al momento. I primi risultati dell’inchiesta dovrebbero arrivare in estate.

© Riproduzione riservata