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Aida parla cinque lingue, è laureata in letteratura comparata, una delle migliori studentesse del suo corso. Ora lavora alla Vijecnica come bibliotecaria. Ha 32 anni e vuole un figlio, spera che la guerra finisca presto.
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Nel silenzio suona l’allarme, le sue mani cominciano a tremare e il caffè schizza fuori dalla tazza. Il primo boato scuote la casa. Poi vede un bagliore di fronte a sé: la biblioteca è in fiamme.
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La guerra scoppia proprio mentre l’Europa si sta formando. L’obiettivo è una comunità politica che superi il potere assoluto delle singole nazioni, fondate sul presupposto di un’unica lingua, fede, cultura. Ecco, la Bosnia era già questo, un’entità associativa naturale.
Aida Buturovic abita appena fuori il vecchio quartiere turco di Sarajevo, in una casa affacciata sul fiume. L’affitto è alto e la casa è umida, perché fatta di legno e mattoni di argilla. Però lì di fronte, sulla sponda opposta, c’è la Vijecnica, la biblioteca della città, e lei può vederla da ogni finestra. Da ragazzina si era abituata in fretta alla sua bruttezza, un palazzaccio giallo e ocra in stile moresco, copia di una madrasa egiziana, brutalmente inserito nel sottile centro storico



