Eravamo in un museo, la donna aveva una pelliccia di leopardo e aveva appena scoperto che uno dei racconti di cui stavamo parlando conteneva della dura violenza su un animale, e si era mossa, agitata, aveva alzato una mano in aria, per prendere parola, e dire che non è giusto, non va bene, mettere pure nei libri certe schifezze, certi orrori, i peggiori comportamenti. Si era voltata verso l’autore, seduto alle sue spalle: ma lei che persona è? Gli aveva chiesto, e quello aveva fatto spallucce, chiuso nel suo impermeabile, quasi con un sorriso.

Uno che riesce a far torturare un cane in un racconto ha un immaginario malato, lo avrà fatto lui per primo, vorrà giustificare il disastro, la realtà è già atroce di suo, non ci serve trovarla bruta e brutta nelle pagine dei libri. Non ha a cuore gli animali? Ha domandato subito dopo e lui ha risposto: «Direi proprio di sì».

E così in un attimo, durante una qualunque presentazione di libri, gli io e le identità si sono sovrapposti, morale e scrittura, invenzione e realtà, confine del lecito e estrema libertà dell’intelletto, in uno spazio ridotto, davanti a pellicce e cappotti, esperienze di vita pulita.

La presentatrice ha aggiunto: «In effetti anche io mica l’ho capito».

È capitato pure a me, sul mio romanzo, che mi fermassero per chiedermi: ma a lei non piace il lago di Bracciano? È così un bel posto, perché lo ha descritto come uno stagno dei rimpiatti, perché sembra un luogo angosciante, mentre guardi che luce, guardi che esistenza perfetta, che paesaggio, che arena.

Non bastava una nuotata e dopo sgrullarsi di dosso l’acqua e i malumori?

E a cercare pareri sul primo romanzo di Mattia Insolia Gli affamati, Ponte alle Grazie, 2019, si incontrano di nuovo questi giudizi indignati di chi si è fermato alla soglia della violenza, di fronte alla negatività, al disordine, al senso che manca e al vuoto. Al limite della paura, dell’incontro che può avvenire per molti e molte – per loro fortuna – solo sulla pagina e non fuori dall’uscio di casa, con situazioni così estreme.

È proprio la reazione, che Insolia riesce a far sorgere, spuntare, che dà forza alla sua scrittura, una reazione ancora più assoluta col nuovo romanzo Cieli in fiamme, Mondadori, 2023.

Due fratelli al limite

Leggere di due fratelli al limite della società, come nel suo esordio, che non hanno soldi, non hanno famiglia, che hanno una padre violento, in un posto disperso nel nulla rende la loro cattiveria gratuita una risposta quasi necessaria, evidente, al contesto in cui sono cresciuti, è lì che sta il peccato originale.

Mentre Niccolò, protagonista di Cieli in fiamme, è ricco, è bello, ha ogni cosa possibile, ha una madre che ci tiene a lui, una madre ferita, distrutta da un trauma impossibile da rimuovere, che ha provato a crescerlo lontano dal disastro, ma se lo ritrova immerso nella bolgia, nel proprio inferno di aggressioni, pestaggi, droga, sesso punitivo senza alcun legame. Se lo ritrova un adulto terribile.

Quindi dove sta la giustificazione per chi semplicemente si sente superiore a tutto e a tutti, in grado di decidere su vita e morte, su giusto e sbagliato? Dove stanno le esistenze di quei ragazzi e ragazze che si sono dati appuntamento durante la pandemia, nelle piazze delle città, solo per fare a botte o riprendere gli altri mentre si picchiavano, senza conoscersi, senza una ragione? C’è un senso nella distruzione, nel vandalismo dell’esistenza?

Così è Niccolò, fluido diciottenne, espressione di una società senza limiti, senza regole, il cui impegno distruttivo però non è anarchico – volto al progetto di un altrove e di un dopo che l’ordine viene smantellato – ma al caos in cui lui è vibrante e assoluto, solo lui.

Nel romanzo seguiamo il passato di Teresa e Riccardo, i genitori di Niccolò, e capiamo che la violenza era già nella nascita del ragazzo, nel suo venire al mondo con nel dna qualcosa da redimere o da far accadere, senza freno. E nel presente Niccolò è chiamato a scoprire questo dolore iniziale, a capirlo, a sentirlo e a decidere che uomo essere dopo, se continuare a mangiare il mondo tra pippate e sesso animalesco, pugni addosso a sconosciuti, risate maligne per chi non sembra una divinità come lui, o accettare il cambiamento, la colpa come nuovo stare al mondo.

Il personaggio nudo

Nella lettura non si può che rimanere destabilizzati, inquieti, davanti alla forza prevaricatrice di Niccolò, la sua necessità di svuotarsi a grande velocità per poi percepire ancora e ancora quel vuoto osceno che va riempito, e poi buttato fuori di nuovo. Un movimento bulimico rispetto alla realtà che, purtroppo, fa parte della vita di oggi, ma ha sempre fatto parte, in forme diverse, della vita sociale in generale.

Come si fa a raccontare tutto questo se non muovendosi dal basso, nella gergalità, nel volgare, nel turpe per dirlo?

La penna di Insolia permette una reale immersione nella possibile vita di Niccolò, non c’è una gioventù scimmiottata da generazioni successive che vogliono provare a raccontarla, non c’è un linguaggio costruito a tavolino, non ci sono retorica, banalità, morale, c’è il personaggio nudo, vero, difficile, che a volte ci prende a pugni, ci tiene stretti alla gola.

C’è bisogno, oggi che si cercano più che mai eroi e antieroi, di personaggi zero come quelli di Insolia che non hanno controcanto e che operano per istinto e senza idee, oltre il bene e il male, in una dimensione pura, che spaventa. E spaventa al modo di un racconto dell’orrore o un thriller di assassini, perché dice di una condizione così diffusa da essere più comune di quanto si pensi.

Mi ha ricordato i miei compagni del liceo, che arrivavano il lunedì con gli occhi rossi a scuola, dopo aver dormito due ore, e facevano la conta delle pasticche prese e le ragazze scopate, per vedere chi era stato più bravo, più onnipotente, chi se ne fregava di più. Alle interrogazioni rispondevano dei film porno che avevano visto e, se non li avessero fatti andare al bagno, si sarebbero calati i pantaloni davanti alla classe come a dire: ora la faccio qui. Ora ti dimostro che non hai potere, che non sei nessuno e io sono tutto, io vinco alla fine. E io ero in imbarazzo, ero terrorizzata, avevo paura potesse succedere di tutto, ma ero anche invidiosa: loro riuscivano e io no, ad azzannare il presente.

Questo è un libro che mi ha fatta tornare alunna diligente, un libro che può far stare male, malissimo, davanti a Niccolò, reagire con lo stomaco strizzato e il dolore alla testa, e pone delle domande ingombranti sulla partecipazione alla violenza altrui nella lettura, sul sopruso, sull’asprezza, sulla mimesi, sul confronto e lo scontro con ciò che ci sembra antinomia.

Non credo serva altro per immaginare una buona lettura, se non che lasci stravolti e pieni di dubbi.

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