I potenti della Terra se ne sono accorti: nelle società c’è un formicolare di cittadini indipendenti, che riescono a toccare l’anima delle persone in maniera più incisiva e più duratura dei mass media. Come? Scrivendo romanzi. Tutti, anche senza raccomandazioni o curriculum, possono pubblicare un romanzo e trovare il loro pubblico, che a volte può diventare enorme. E l’editoria è socialmente più accessibile di qualunque altro ambiente: di sicuro più della politica, delle arti e degli altri media; a parte i social, che però sono macchinette semplificatrici, fugaci, inadatte a contenere la complessità umana, quella che sconvolge nel profondo. Nel 2015 fu Barack Obama a intervistare una scrittrice, Marilynne Robinson. Come mai? Nelle parole che il presidente degli Usa scambiò con lei, il suo scopo politico risultava chiaro: «Quando penso a come comprendo il mio ruolo di cittadino, le cose più importanti penso di averle imparate dai romanzi. Hanno a che fare con l’empatia. E l’idea che sia possibile connettersi con gli altri, anche se sono molto diversi da te». A Obama i romanzi facevano gioco all’interno di un progetto multiculturale e multietnico.

Concessioni gesuitiche

Da parte sua, papa Francesco si è sporto verso i romanzieri con questo «Messaggio del papa per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali», e gesuiticamente è stato molto concessivo. Arriva a proporre una traduzione diversa del Vangelo di Giovanni: Gesù non ha semplicemente «rivelato», «fatto conoscere» o «manifestato» Dio (secondo le traduzioni correnti), ma lo ha addirittura «raccontato»: il Vangelo è lo storytelling di Dio! Poi definisce Dio stesso un «Narratore».

L’affermazione più forte, davvero notevole, è quella per cui un capolavoro letterario può «diventare un’appendice di Vangelo» (il mio professore di letteratura all’Università, Giorgio Padoan, insisteva molto sul fatto che Dante, con il suo poema, voleva completare la Bibbia, aggiungendo un segmento alla Rivelazione cristiana).

Bergoglio critico letterario

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Che lettore di romanzi è Bergoglio? E che tipo di critico letterario? Proviamo a fare una verifica. In questo messaggio cita i Fratelli Karamazov. Vediamo come li ha utilizzati di recente.

Primo esempio. Nel libro di conversazioni raccolte da Antonio Spadaro, Adesso fate le vostre domande (Rizzoli, 2017), il papa menziona una celebre pagina dei Karamazov, in cui Ivan racconta ad Alësa la punizione di un bambino, sbranato dai cani di un generale, sotto gli occhi della madre.

«Dostoevskij mi ha aiutato tanto nella predicazione», dichiara papa Francesco. Una concezione parabolistica della letteratura: i romanzi gli forniscono esempi narrativi da commentare eticamente.

In ciò, non è distante da un filone editoriale piuttosto fiorente, soprattutto negli Stati Uniti, “The Gospel according to…”: saggi che cercano di trovare, nelle saghe pop, spunti utili alla catechesi. Sui miei scaffali ne ho una collezione: Il vangelo secondo i Peanuts (Robert L. Short, 1965); Il Vangelo secondo la fantascienza (John Allan, 1975); Il vangelo secondo Disney (Philip L. Anderson, 1999); Il Vangelo secondo Tony Soprano (Chris Seay, 2002); Trovare Dio nel Signore degli Anelli (Kurt Bruner e Jim Warw, 2001).

Parabole aggiornate

Fra i più brillanti c’è Il vangelo secondo i Simpsons (Mark I. Pinsky, 2001). Bergoglio, nel suo messaggio, fa notare che anche Gesù, con le sue parabole, fu un narratore. Ma un ragazzino di oggi fatica a entrare in quelle storie: la fiaccola sotto il moggio (moggio?!), la pianta di senape (chi l’ha mai vista?).

Molto più efficace, per raccontare storie edificanti, rivolgersi a Bart Simpson: in un episodio baratta la sua anima per comprarsi dei pupazzetti di dinosauro colorati, e d’improvviso scopre che le porte automatiche non si aprono quando passa lui, il suo fiato non gli si condensa sui vetri e non prova gusto a fare scherzi… Con Harry Potter le cose sono più complicate (nonostante l’immancabile Il Vangelo secondo Harry Potter, di Connie Neal, 2002): papa Ratzinger, quand’era ancora cardinale nel 2003, lo liquidò come «subdole seduzioni, che agiscono inconsciamente distorcendo profondamente la cristianità nell'anima».

L’inquisitore mondano

Secondo esempio karamazoviano. Nell’udienza generale del 13 aprile 2022, Bergoglio ha ricordato la Leggenda del grande inquisitore a proposito della guerra in Ucraina.

Gesù torna sulla terra a Siviglia nel sedicesimo secolo. Risana un cieco, risuscita una bambina, viene osannato, ma l’Inquisitore lo fa imprigionare e lo condanna al rogo.

Lo visita in cella e gli fa quell’indimenticabile discorso: l’umanità non è capace di essere libera, preferisce essere sottomessa al «miracolo, il mistero e l’autorità».

Nell’interpretazione di Bergoglio, l’inquisitore «rappresenta la logica mondana». Mondana, sì: ma della chiesa! L’Inquisitore è un cardinale! «Noi abbiamo corretto la tua opera», dice l’Inquisitore a Gesù. E Dostoevskij, in quelle pagine, cita proprio i gesuiti della sua epoca, che ammoniscono Cristo di «non venire a disturbarci prima del tempo».

La resurrezione dell’Eroe

In almeno una caratteristica il Vangelo risulta imbattibile rispetto alle grandi macchine fabbricatrici di storie dell’immaginario contemporaneo: film, serie tv, videogiochi o romanzi che siano. Tra sceneggiatori e narratori circola un libro che viene considerato la bibbia (appunto) dei manuali di scrittura creativa: Il viaggio dell’Eroe di Christopher Vogler.

Tenendo conto di strutturalisti russi e psicologi analitici junghiani, Vogler estrae una sorta di algoritmo narrativo soggiacente a tutte le storie di successo; descrive quali sono gli elementi necessari a una trama ben fatta.

Fra tappe, svolte, figure e archetipi vari, ce n’è uno assolutamente irrinunciabile: a un certo punto l’Eroe deve affrontare la Morte, deve morire o andarci molto vicino, simbolicamente e anche fisicamente. Per sbancare al botteghino, nel pre finale di una storia è obbligatorio questo passaggio critico, in cui tutto sembrava perduto; dopodiché, inaspettatamente, l’eroe si risolleva e risorge a nuova vita. Ricorda qualcuno?

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