Non prendo un aereo dal 2018. L’ultimo viaggio che ho fatto era da e per la Cina. Quella volta mi sono calata quattro compresse di Delorazepam per tratta e ho dormito il sonno degli incoscienti. Bianco, protratto, inattaccabile.

Adesso penso a quanto suoni surreale il solo pensiero di valutare l’ipotesi di andare in Cina. Penso a quel tipo, a quel giornalista che è rimasto chiuso più di un mese in un container in attesa di un tampone negativo, penso che se fossi stata in lui avrei solo sperato di avere abbastanza compresse calmanti con me. Sta di fatto che adesso è il 2021, la Cina è tutto fuorché vicina e sono diretta verso una più sobria e limitrofa Francia. Si tratta di un viaggio di lavoro e, con una sola ora e mezza di volo davanti, l’idea di perdere i sensi e poi incedere con passo da Trainspotting verso la mia referente in loco, decido di scartarla.

Nuove paure

La paura dell’aereo si dice che sia paura della mancanza di controllo, e su questo non ho niente da eccepire. Con l’età ho notato che le ragioni mi interessano molto meno delle soluzioni, pare però che le due cose non siano scindibili. Quello di volare è un timore che non mi ha sempre fatto compagnia, credo che sia iniziato quando sono iniziati il lavoro e le responsabilità.

Prima era diverso, avvertivo un’ansia vaga che poteva essere spazzata via con facilità dall’ansia più pratica di sbagliare gate, arrivare in ritardo, dimenticare qualche documento fondamentale. Con una certa sicumera salivo su velivoli post sovietici tinti di verde acido, interrogandomi più che altro sugli snack proposti, in genere a base di panini farciti con burro e cetrioli corredati da succo al pomodoro. Poi qualcosa si è incrinato e, come ogni brava aereofobica, l’ho attribuito a un eccesso di consapevolezza. A nulla valgono le statistiche, i dati e i discorsi sulla sicurezza. Voi – gli inconsapevoli – pensate che salire su una specie di corriera volante sia sensato e dite a noi – i consapevolissimi – di stare calmi. È inconcepibile.

Per onestà va detto che la fobia autentica si distingue da quella amatoriale con facilità, la paura non mi ha quasi mai veramente impedito di pianificare e portare a termine un volo. Finisce che ti aiuti con la chimica, tanto più efficace quanto – come in questo caso – meno sei abituata. Poi attui delle manovre diversive che coinvolgono gli affetti. Per esempio, già da tempo, uso inviare messaggi testamentari a un’amica e a un amico in particolare, a loro volta alfieri di questa specifica preoccupazione. Lo facciamo quasi sempre, a ogni imbarco ci comunichiamo reciprocamente riassunto e aggiornamento delle ultime volontà. Poi andiamo. Iperventilando un po’, ma andiamo.

Riprendere l’aereo

Adesso succede che una voce mi ha raggiunta al telefono e diceva cose come “trasferta”, “lavoro”, “grande occasione”, “intervista”, “partire subito”, e con partire subito intendeva di lì a quattro giorni. Intanto che mandavo avanti la ragionevolezza e dicevo “sì, certamente, ovvio che parto, ci mancherebbe”, mi sedevo per terra e pensavo e adesso come faccio, con l’aereo?

Il fatto è che dal 2018 sono successe molte cose, tra le quali un fermo globale di un anno e mezzo e il rimanere bloccata in un’area rurale in cui merli e lucertole tendono ad avere una vita quotidiana più dinamica della mia. Se è vero che l’isolamento e le nuove regole della realtà hanno scombinato psicologicamente non poco e non poche persone, in che modo possono aver cambiato la mia percezione dell’andare in giro per aria?

Quando ho potuto prendere nuovamente dei treni li ho riabbracciati con entusiasmo bambino, ma a me del resto i treni sono sempre piaciuti. Qualcuno guida per te, stai più o meno ben salda a terra, e non c’è il rischio che il nervo trigemino inizi a gridare vendetta perché c’è qualcosa che non va con la depressurizzazione. Concludo che forse posso, non dico tornare indietro, ma almeno recuperare alcune abitudini, come quella di concentrarmi molto forte sulle questioni di ordine pratico. E le questioni di ordine pratico, c’è da dire, in era pandemica non scarseggiano.

Per esempio è necessario effettuare un tampone entro le quarantotto ore precedenti la partenza. Mi dico questa è facile, e chiamo il centro di medicina più vicino. Il centro di medicina più vicino esegue tamponi solo il lunedì e il giovedì, dunque non in tempo utile. Procedo a contattare la farmacia leggermente meno vicina, ma che so svolgere questo servizio tutti i giorni da mane a sera. La farmacia leggermente meno vicina ha posto solo lunedì in tarda mattinata, che poi sarebbe il giorno del volo. Valuto che spostarsi dal profondo Veneto all’aeroporto di Linate alla velocità del suono è un superpotere che non ho ancora acquisito, e desisto.

La mia ultima carta è il drive-in della città accanto, perché voci di corridoio sussurrano che facciano tamponi anche senza impegnativa a partire dalle sei del mattino. Il numero di telefono del drive-in risulta del tutto inattivo. Dopo una rapida ricerca concludo che la soluzione ideale è partire all’alba dalla mia piccola città deserto posto e rivolgermi a una provvida farmacia in zona Milano centrale, che fornisce anche il necessario certificato in inglese. Il tampone è in effetti rapido e il centro ben organizzato, l’infermiere indossa shorts e una maglietta decorata con dei cactus, mi mette allegria. Il tampone è negativo, il che è un gran bene, e viene a costare trentanove euro, il che è ininfluente, perché avrò un rimborso. Ma se non si fosse trattato di un viaggio di lavoro? Se a parità di tempi stretti avessi avuto altre necessità, magari familiari, e limiti economici più consistenti? Opto per la superficialità, taccio le domande, e vado.

Inaspettata sorpresa

Prima di partire avevo consultato l’Iching perché in tempi straordinari non si sa a che santo votarsi e il pozzo del raziocinio tende a inaridire. L’oracolo aveva sentenziato: «Propizio è mangiare fuori casa». Forse anche per questo, mi dico, il senso di panico da cielo sotto i piedi si è fatto sentire in modo più limitato del previsto.

È stata una sorpresa, così come è una sorpresa il senso di straniamento che coglie me e la mia compagna di viaggio una volta recuperati i bagagli e uscite all’aria. Non realizziamo subito di essere state traslate all’estero, poi ci chiediamo ma qui, come funziona con le mascherine all’aperto? Possiamo toglierle per fumare una sigaretta? Perlustriamo con lo sguardo i dintorni fino a intercettare altri fumatori, e decidiamo che quello è il nostro nulla osta a procedere. Lei è una giornalista televisiva, sorridente e loquace come le persone da cui è importante essere circondate nei momenti di incertezza. Portano con loro un tipo di energia che fa bene assorbire. Senza dubbio, da qualche parte tra le pagine dell’Iching, ci sarà scritto qualcosa anche a riguardo.

Nei giorni successivi, in numero di due, non accade niente. Ovvero accade tutto quello che deve accadere nei termini del lavoro, ma non si verificano intoppi, imprevisti, inciampi, disavventure. L’imprevisto è ciò che da trasferte, vacanze, viaggi e gite ho sempre portato a casa con soddisfazione vagamente autolesionista. Non dico che lo cercassi, ma poco ci manca.

L’idea di fondo credo che sia: ma se non succede niente di strano, io poi che cosa avrò da raccontare? Che cosa varrà la pena ricordare? Questa volta è diverso, ho specificamente pregato tutti gli oracoli di ogni angolo della terra che non accadesse assolutamente nulla di non previsto, nulla che avesse anche solo vagamente a che fare con il campo dell’emergenza da gestire. Se questo significhi crescere o più banalmente non poterne più di cercare di uscire a fatica da un’emergenza globale, non saprei dirlo.

Accadono solo cose perfettamente normali. Per esempio riuscire a scherzare con persone sconosciute nell’abitacolo di un’auto perché sì, indossiamo le mascherine, ma quasi tutte sono anche vaccinate. Oppure fare considerazioni facete, senza pensare troppo a quello che ci siamo lasciate indietro e che abbiamo ancora davanti, che la Francia è piena di francesi e che le coppie di anziani nei bar del centro sono senz’altro più eleganti rispetto alle nostre. Osserviamo il traffico di Parigi ammirate. È talmente congestionato che con un sospiro di nostalgia ci viene da dire in coro «pare quasi di essere nel 2019».

Il mio primo viaggio dal 2018 si svolge tra il 19 e il 22 luglio. Per tutto il tempo penso che il 23 ho l’appuntamento per la prima dose di vaccino e mi sembra che stia arrivando Natale, anzi meglio. Spero che questo significhi che potremo respirare sempre più l’aria fuori casa, perché l’aria che si respira fuori casa dopo una lunga chiusura è sempre migliore, i panorami che per primi si vedono quando si esce lo sono, e forse anche le persone. Il primo gin tonic all’estero ha un sapore eccellente anche se lo fanno con la benzina, il clima è improvvisamente gentile e la luna crescente si staglia enorme sopra l’albergo di lusso prenotato dall’azienda, genere di alloggio in cui facilmente non metterai mai più piede in vita tua.

Questo filtro che chiameremo “filtro entusiasmo” può ingannare, ma anche portare occasioni preziose. Chiudersi, ho compreso, non è mai la più sana delle idee. E se farlo è necessario, allora lo è anche fare tutto il possibile per trovare la via d’uscita.

© Riproduzione riservata