È stato forse l’ultimo lascito della prima capitale dell’Italia unita alla Città eterna: quel morbido sandwich squadrato e farcito inventato sulle rive del Po si è diffuso tra le rive del Tevere dopo aver colonizzato anche quelle del Canal Grande. Sono tre le “capitali” del tramezzino, inventato tra le squadrate vie e piazze della città dei Savoia mentre Roma viveva gli albori del fascismo. Forse è per questo che nel mito secolare del tramezzino s’è infilato Gabriele D’Annunzio, anche se gli eredi del caffè Mulassano, il luogo dove è nato, danno un’origine diversa.

Origine discusse

Tramezzino non per la forma triangolare, come verrebbe da pensare, ma come vezzeggiativo di “tramezzo”: il paninetto più famoso è infatti rettangolare, come una parete di casa. A chiamarlo così, il Vate. Bocciata da alcuni anche l’idea che il sostantivo stia ad indicare un alimento che si gusta nel mezzo, tra due pasti principali, nonostante fosse stato proprio D’Annunzio a dargli questa accezione. La stragrande maggioranza della letteratura sancisce come data di invenzione il 1925; il più piccolo locale storico del capoluogo sabaudo, fondato nel 1907, non è della stessa idea: «Il tramezzino è nato nel 1926», dicono da dietro il bancone in onice di Mulassano.

Il caffè – in origine bottiglieria che smerciava Vermouth  – ha dato i natali al bocconcello con farcia variegata, e non ha dubbi: «Il locale è stato rilevato nel 1925 da Angela e Onorino Nebiolo, ma inizialmente ad essere preparati erano semplici toast; è nel ’26 che il pane ha cominciato a non venire più tostato, e il menu dei condimenti è diventato più ricco».

Tra le decorazioni in bronzo e il soffitto a cassettoni, tra la boiserie, le pareti a specchi e il ricordo della Belle Epoque, un’incisione recita: «Nel 1926, la signora Angela Demichelis Nebiolo inventò il tramezzino». La discussione resta aperta, ma il patron di Mulassano resta solido sulle sue posizioni: e oltre la porta a vetri del bar già si sente vociferare di una gran festa per il 3 novembre del prossimo anno.

Infinita varietà

Prosciutto, blu di mucca e pere, arrosto di fassona, tonno e carciofini, acciughe al verde, lingua alla piemontese. Poi anche acciughe e burro d’alpeggio, antipasto piemontese, gamberetti e cuore di palma, garibaldino e insalata di pollo; paté di tartufo e mascarpone, olive e formaggio, uova alla diavola. Quattro euro e cinquanta centesimi per uno dei minuti sandwich - anche ottocento al giorno, dicono dalla cucina - che svettano dalle vetrinette del bar liberty che ha ispirato Dario Argento; il prezzo è fisso, la scelta ardua, «folle non provare almeno una volta quello con insalata di aragosta», dice il patron.

L’orologio sopra al bancone zittirà ogni discussione quando si è in gruppo: a pulsante premuto, le lancette cominceranno a girare vorticosamente: chi ottiene il numero più alto paga per tutti. Imitatori? A bizzeffe. A cominciare dal vicino caffè Baratti e Milano, sempre in piazza Castello, sotto i portici di Torino. Clamoroso il loro panino con vitello tonnato, soprattutto se accompagnato da un buon calice di vino. Morbido il commento del proprietario di Mulassano: «Non ci sentiamo padroni della ricetta, né tanto meno dell’idea. I Veneziani rivendicano la paternità del panino, anche se il loro è molto diverso. Il nome è ormai utilizzato per una varietà quasi infinita di panini, e va bene così».

Mini pasto

Divertimento per il palato, rito di giornata, il tramezzino ha cambiato collocazione, divenendo soprattutto negli ultimi anni il pranzo prêt-à-porter per chi esce dagli uffici e ha i minuti contati. Soluzione facile, veloce, con ingredienti semplici, che ha fatto la fortuna di esercizi commerciali e dei loro gestori. Con dimensioni che talvolta si restringono, come in lavatrice dopo un lavaggio sbagliato, con prezzi inversamente proporzionali, specie nelle zone centrali della città.

A Venezia la variabile principale è la forma, triangolare, e il rigonfiamento centrale della farcitura; le dimensioni consentono quasi sempre di applicare il morso tenendo il sandwich con una sola mano; solitamente diverso il caso romano: il companatico è disteso in modo più uniforme, le dimensioni un poco più generose, senza però il rigonfiamento centrale. Il mini pasto resta una prelibatezza per avventori nostrani, spinti dalla curiosità di rintracciarne differenze regionali e farciture insolite. Non ne è persuaso il turista straniero, abituato all’idea del sandwich americano, predilige la ricetta d’oltreoceano senza particolare enfasi per quella italiana, che guarda con dubbio interesse, forse anche con un pizzico di indifferenza. E che da Mulassano entrerà sempre e solo con una specifica richiesta: «Potrei avere un bicchiere di Vermouth?».

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