Cos’è successo alle commedie romantiche? La domanda mi assilla per una serie di motivi, primo fra tutti perché a me le commedie romantiche sono sempre piaciute molto.

I sabati sera della mia infanzia li ho passati tutti con mia nonna e mia zia a consumare le videocassette dei grandi classici: A piedi nudi nel parco, Gli uomini preferiscono le bionde, Colazione da Tiffany, Come sposare un milionario venivano riprodotti a ripetizione, plasmando la mia tenera mente suggestionabile. Non so dire in che modo questi film abbiano influenzato le mie aspettative in fatto di uomini e denaro, ma di sicuro qualche danno l’hanno fatto.

Le gite al Blockbuster erano frequenti e monotematiche e agli anni Cinquanta e Sessanta sarebbe seguita presto la tradizione inglese. Se c’era Hugh Grant eravamo ragionevolmente certe che il film ci sarebbe piaciuto.

Allo stesso modo anche il nome di Meg Ryan era una garanzia di qualità, non solo grazie a Harry ti presento Sally, che sarebbe diventato la mia copertina di Linus per il resto della vita, ma soprattutto per il dimenticato (e forse dimenticabile) French Kiss, dove Ryan viene prima truffata e poi sedotta da Kevin Kline, reso francese da un grosso paio di baffi. Con l’ossessività tipica dei bambini chiedevo di vedere French Kiss tutti i giorni, non sapendo neanche pronunciare il titolo né tantomeno cogliendone il gioco di parole, essendo ancora molto lontana dai miei primi baci alla francese.

La carestia 

Da allora certi film sono diventati il mio rimedio più efficace contro il cattivo umore. Li riguardo quando piove, li tengo in sottofondo mentre lavo i piatti, un rumore bianco di battute brillanti accompagna certe giornate altrimenti soporifere. Ho imparato a pronunciare “French kiss”, ma la tendenza alla compulsione è sempre quella.

Trovo però che da qualche anno la visione reiterata di questi film non sia solo uno sfizio o una mania, ma una necessità in assenza di alternative. Da quanto tempo non esce al cinema una commedia romantica degna di questo nome? Mentre Hugh Grant in tv è diventato un padre di famiglia e al cinema un Oompa Loompa in CGI, nessuno è arrivato a prendere il suo posto nel ruolo di sfigato belloccio di cui innamorarsi.

Non sono qui ad analizzare le ragioni di questa carestia, ma solo a lamentarmi: per quanto non esista un limite alla quantità di visioni di Notting Hill che posso sostenere, non mi dispiacerebbe ogni tanto aggiungere un nuovo titolo alla mia playlist del buonumore. La commedia romantica, confezionata ad arte per entrare nel mainstream con una buona dose di sofisticazione, è morta ben prima di Roger Michell.

Un film brutto 

Tuttavia nell’ultimo mese sono stata bombardata dai post sponsorizzati di un certo Tutti tranne te, un film per cui in America si sono scaldati molto, sostenendo addirittura che rappresentasse la rinascita del genere. Di sicuro può vantare questo traguardo dal punto di vista commerciale: con più di 200 milioni al box office mondiale, Tutti tranne te è la commedia romantica di maggior successo da un bel po’ di tempo. E chi sono io per non vederla?

Serve un’ulteriore premessa: a partire dallo scorso ottobre, il cinema Anteo di Milano ha deciso di migliorare sensibilmente la qualità della mia vita proponendo una rassegna intitolata L’eterna illusione, La commedia americana dal 1932 al 1949.

Ogni lunedì alle 19:30 – cascasse il mondo – la mia giornata, non importa quanto orrenda sia stata fino a quel momento, viene salvata da un qualche film delizioso e perfetto che sembra scritto dopodomani, e che con certezza matematica mi garantisce 90 minuti di pura gioia.

Lo so che dichiarare questa cosa mi fa sembrare una povera stronza fuori dal mondo, ma la verità è che senza gente come Frank Capra e Howard Hawks, padri della screwball comedy, un film come Tutti tranne te non esisterebbe neanche. E non so come prenderla questa verità, perché i film di Capra e Hawks sono meravigliosi e Tutti tranne te è, come dire, molto brutto.

È brutto non solo perché non è all’altezza dei film di Capra e Hawks (quasi nessun film lo è), ma perché sembra scritto e diretto da un’intelligenza artificiale a cui è stato dato l’imput “screwball comedy 2024”.

È brutto perché è ambientato in Australia, che ho decretato essere il paese meno romantico sul pianeta Terra, e forse nella galassia. È brutto perché privo di grazia e i due protagonisti sono attraenti ma non interessanti (come l’Australia, in effetti), e le loro vite interiori inesistenti.

E a proposito di grazia, sapete qual è una frase che nessuno ha mai detto? «Bello Scandalo a Filadelfia, peccato solo che non si veda neanche un prepuzio». In Tutti tranne te invece la gag col prepuzio ce l’abbiamo (lo scemo del villaggio se lo strizza tra le dita e lo chiama “formichiere” o qualcosa del genere), e ci sono anche culi e tette a volontà. «Peccato che in Harry ti presento Sally non ci siano le zinne di Meg Ryan», disse nessuno mai.

Non si ride 

I dialoghi sono tutti un fuck fucking fuck, nel caso il prepuzio australiano non fosse stato sufficiente a ottenere il bollino di vietato ai minori, e se fin qui l’amarezza non fosse abbastanza segnalo che a interpretare il padre di Sidney Sweeney, la protagonista femminile, hanno messo Dermot Mulroney, cioè quello che nel Matrimonio del mio migliore amico (altra commedia carente in fatto di prepuzi, se non vado errata) è il migliore amico di Julia Roberts, che qui ritroviamo imbolsito a tuffarsi male in piscina, e sposato con Rachel Griffiths, che nel Matrimonio del mio migliore amico era una delle cugine zitelle che cantavano con Rupert Everett.

Forse sono entrambi messi lì a mo’ di messaggi subliminali, per convincerci che quello che stiamo guardando è in effetti un ritorno alle origini, ma ho l’impressione che in Tutti tranne te non ci sia niente delle commedie di una volta.

La differenza sostanziale rispetto ai film con cui sono cresciuta e che consumo ogni lunedì alle 19:30, è che quelli usavano una storia d’amore per raccontare qualcos’altro – le classi sociali, l’amicizia fra uomini e donne, l’emancipazione femminile – oppure usavano uno di questi temi per raccontare una storia d’amore, ma in un verso o nell’altro avevano sempre più livelli, tutti divertenti.

Guardando Sidney Sweeney e Glenn Powell che si fanno la doccia insieme, invece, si fa fatica a dimenticarsi che siamo gli spettatori di due attori bonazzi che si intrallazzano con la loro tensione sessuale e con i soldi della film commission australiana.

Non c’è niente di più. Non si ride, non si ridacchia, non ci si commuove nemmeno. In compenso si rimpiange Notting Hill, che nel dubbio vado a rivedere.

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