In una giornata di ordinaria paranoia nel regime di Vladimir Putin, il capo delle guardie della sicurezza della Biblioteca nazionale di San Pietroburgo nota sulle scale di servizio un poster con la foto del grande filologo estone-russo Jurij Lotman, accompagnata dalla scritta: “Buona giornata dei lavoratori della cultura!”.

Non c’è una didascalia che indichi chi è il soggetto dell’immagine e l’agente, evidentemente poco informato sulle vicende della scuola semiotica di Tartu-Mosca, inciampa in un equivoco. È convinto che quella sia la faccia di Mark Twain, l’autore americano di Tom Sawyer e Huckleberry Finn. 

Dunque, sulle scale della Biblioteca nazionale di San Pietroburgo, la città di Putin, una guardia della sicurezza che certamente chiama l’invasione dell’Ucraina una “operazione militare speciale”, vede Mark Twain che fa gli auguri ai lavoratori della cultura nella giornata nazionale dedicata alla categoria, istituita con un decreto firmato da Putin nel 2007 su proposta del ministro Aleksandr Sokolov.

La visione di un autore americano che disonora la festa dei lavoratori della cultura russa lo riempie di sdegno. Il capo della sicurezza strappa immediatamente il poster e avverte le autorità competenti, portando la foto come prova del misfatto. Qualcuno dovrà risponderne.

Si può immaginare il finale logico di questa storia.  Le autorità competenti spiegano l’equivoco, la guardia viene leggermente motteggiata per l’errore ma sentitamente ringraziata per lo zelo patriottico con cui sorveglia le bacheche dell’istituzione; la foto di Lotman viene appesa nuovamente, magari corredata da una didascalia che eviti altri inganni.

Perché effettivamente una somiglianza di tratti fra Lotman e Twain esiste, ed è irrealistico pretendere che un agente della sicurezza riconosca il volto del padre del post strutturalismo.

Ma nell’ordinaria paranoia del regime di Putin la logica è sospesa, quindi la vicenda finisce esattamente al contrario. Lo ha raccontato Fontanka, un media indipendente russo che in qualche modo sopravvive, almeno per ora, ai  rastrellamenti propagandistici del Cremlino.

Entra in scena l’autorità   

Qualche ora dopo lo strappo fa la sua comparsa sulla scena l’autorità competente, nella persona di Polina-Tereza Davidova, un’ex insegnate e politica del partito Russia Giusta, formalmente all’opposizione ma in realtà considerato allineato del Cremlino, che lo scorso anno è stata nominata consigliera del direttore della Biblioteca nazionale, Aleksandr Vershinin.

Davidova è furente. Chiede conto dell’increscioso incidente agli impiegati del dipartimento dei programmi culturali, che le spiegano invano l’equivoco in cui è incappato il capo delle guardie. La consigliera non vuole sentire ragioni. Accusa la responsabile dipartimento, Olga Kaganovskaja, di avere appeso alla bacheca un’immagine non autorizzata.

Tutti i materiali, sostiene Davidova, anche quelli usati  internamente per festeggiare qualche ricorrenza, dal Capodanno alla festa delle donne, devono essere approvati dall’alto: «Non ci può essere arbitrarietà», dice la consigliera, secondo la ricostruzione di Fontanka.

Le proteste di Kaganovskaja, che fino a quel giorno non aveva mai dovuto chiedere l’autorizzazione per scelte del genere, non smuovono la burocrate, che, secondo i testimoni, spiega che nemmeno un’ambiguità può essere tollerata. 

«Le persone che si sono lamentate non distinguono Twain da Lotman, che in effetti si assomigliavano. La gente ha diritto di non saperlo. Non lavorano nella cultura, hanno una mente diversa, una diversa educazione. È necessario scrivere “autorizzato” anche sui poster celebrativi. Questo dipartimento è controllato dal direttore, e io sono il suo filtro», spiega Davidova, chiudendo la discussione.

In sostanza, il dipartimento dei programmi culturali è colpevole di aver esposto la foto di un personaggio che potrebbe essere scambiato per un altro. 

Il problema non è Lotman, è che Lotman fatalmente assomiglia a Mark Twain, e chi lavora nella cultura ha la responsabilità di proteggere i patrioti incolti e innocenti, che hanno tutto il diritto di confondere i volti.

Non è del tutto chiaro perché dei patrioti incolti e innocenti, in quanto tali, abbiano impressa nella testa l’immagine di Twain, tanto da riconoscerlo per errore nel volto di un altro che gli somiglia; non è del tutto chiaro nemmeno se l’incolto in questione sapesse che Twain è da tempo oggetto di feroce dibattito negli Stati Uniti per l’uso della "parola con la enne” nei suoi libri, cosa che lo rende meritevole di cancellazione e perciò, con uno spaventoso gioco di sponda fra la cancel culture dei campus americani e la censura del Cremlino, un potenziale compagno di strada nella propaganda di Putin.

Ma poco importa. L’ordine di passare tutte le immagini al vaglio dei vertici risolve il problema alla radice. Caso chiuso? No.

La versione cambia

Nel corso della giornata di ordinaria paranoia nel regime di Putin, la versione dei fatti cambia. Davidova torna a far visita all’ufficio sotto accusa, questa volta accompagnata dal capo delle guardie. Porta cattive notizie: l’incidente in questione è stato ripreso dalle telecamere di sicurezza, la voce si è sparsa nell’istituzione e qualcuno si è allarmato.

Ma soprattutto, spiega Davidova, «viviamo una situazione di difficoltà politiche» e alcuni dipendenti dell’istituzione nazionale si sono dimostrati politicamente inaffidabili.

La consigliera spiega che la Biblioteca è una «istituzione ideologica» e se «riceviamo lo stipendio dallo stato, o serviamo lo stato oppure facciamo qualcos’altro».

Che cosa c’entra tutto questo con la scelta di Lotman per celebrare i lavoratori della cultura? È qui che la storia cambia. Viene fuori infatti che uno dei figli dell’insigne filologo, impegnato in politica in Estonia, ha preso posizioni critiche verso Putin e il Cremlino.

Davidova legge ad alta voce alcune dichiarazioni del figlio di Lotman prese dal suo profilo Facebook. La colpevole somiglianza del letterato con Mark Twain, indicata come l’origine del problema, scompare dalla conversazione. Gli incolti patrioti tratti in inganno non c’entrano più nulla: il problema adesso è Lotman.

«Perché questo personaggio è stato scelto all’interno della cultura russa che, fra l’altro, si sviluppa dall’Ottavo secolo?», domanda Davidova, lanciandosi in un attacco contro «una parte» del dipartimento che lavora contro gli interessi dello stato. 

Il capo delle guardie inopinatamente aggiunge che, una volta che si è reso conto dello scambio di persona, ha cercato online notizie e immagini di Lotman, e i primi risultati in evidenza sono state le critiche al Cremlino del figlio.

La cosa è improbabile, viste le restrizioni sulla rete imposte da Putin, ma anche agli accusatori ormai non è del tutto chiara la linea accusatoria. Forse Lotman è colpevole, in prima istanza, di assomigliare a uno scrittore americano e il percorso che ha portato ad accertarne la somiglianza ha fatto emergere la seconda e più grave colpa, sulle prime sfuggita, di avere un figlio che critica Putin.

Cosa c’è che non va in Twain?

Qualche impiegato tenta di domandare perché, se il problema è Lotman, la Biblioteca nazionale gli ha dedicato non una ma due mostre per il centenario della nascita. Ma quelle mostre, viene risposto, erano state «approvate», quindi vanno bene. Se ne deduce che se l’immagine fosse stata approvata non ci sarebbe stata nessuna rimostranza, il figlio di Lotman sarebbe stato ignorato e la fotografia dell’insigne filologo sarebbe rimasta appesa sulle scale, in tutta la sua spaventosa somiglianza con Twain.

Alla fine della requisitoria, Kaganovskaja, l’accusata principale in quanto responsabile del dipartimento, domanda al capo delle guardie quale sarebbe stato, a conti fatti, il problema di Twain. Lui ha la risposta pronta: l’autore è americano e la sua stessa presenza «puzza di estremismo politico». Gli astanti sono interdetti, e forse qualcuno nelle università americane ha esultato sentendo una fedele guardia di Putin pronunciare finalmente la verità.

Davidova impone la revoca del bonus annuale a un manipolo di responsabili dell’ufficio incriminato, intimando di seguire le apposite procedure di approvazione. Kaganovskaja, stremata, decide infine di dimettersi, dichiarando che non è stato l’episodio in sé a determinare la sua decisione: è stata «l’accumulazione» di fatti simili. 

Così si è conclusa un’altra giornata di ordinaria paranoia nel regime di Vladimir Putin.

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