Ho iniziato a pensare a una birra artigianale analcolica alla fine del 2019, ma l’ho proposta sul mercato solo nel 2023.

L’idea è nata parlando con mio figlio Isaac, allora poco più che ventenne.

Mi raccontava come le nuove generazioni fossero più attente al consumo di alcol e dessero importanza al basso contenuto calorico. Il mercato si è poi effettivamente orientato in quella direzione e, in alcuni paesi, come la Spagna, si è registrata un’accelerazione significativa nel consumo di birre analcoliche.

La mia ambizione era creare una “birra birra”, fedele allo stile Baladin, apprezzata per gusto e profumo.

E non solo: desideravo produrre una birra analcolica attraverso fermentazione classica, senza l’uso di additivi o strumenti per ridurne il grado alcolico. Inoltre, intendevo mantenere il principio della non pastorizzazione, un elemento distintivo della nostra produzione e anche un requisito previsto dalla normativa italiana per definire una birra come artigianale.

Infine, volevo che tutte le materie prime fossero di origine italiana.

Arrivare al risultato

Il lavoro di messa a punto è stato lungo e complesso.

Partiamo dal tema della pastorizzazione: l’alcol, in una birra, svolge un ruolo fondamentale nella difesa dalle contaminazioni e contribuisce alla conservazione del prodotto. Per superare questa difficoltà, abbiamo definito uno standard rigoroso di controllo dell’intero processo di produzione e imbottigliamento, riscrivendone ogni fase e sottoponendola a verifiche scrupolose.

Il risultato – di cui ha beneficiato l’intera gamma Baladin – è stato un controllo costante delle possibili contaminazioni, che ci ha permesso di ottenere una stabilità fuori dagli standard comuni.

Riguardo alla fermentazione: avremmo potuto utilizzare coadiuvanti di processo o tecniche di dealcolizzazione, ma questo non rientrava nella mia filosofia. Ho quindi optato per una fermentazione classica con ceppi di lievito Saccharomyces cerevisiae, partendo da un valore di Plato molto basso (cioè il contenuto di zuccheri nel mosto prima della fermentazione) e interrompendo rapidamente la fermentazione primaria.

Mi sono concentrato sulla speziatura, che ha caratterizzato i miei primi passi come mastro birraio. Le botaniche sono state il mantra che ha guidato il mio pensiero, da cui è nato il nome della gamma: Botanic.

La prima versione, la Botanic Blonde, doveva essere una birra “wow”, capace di incuriosire il cliente al primo assaggio, per poi fargli scoprire che si trattava di una vera birra artigianale. Per questo ho scelto di utilizzare la Cannabis sativa (ovviamente priva di principi attivi), certo che avrebbe suscitato interesse. Tuttavia, volevo anche rispettare gli aromi, in particolare profumo e gusto.

A tal fine, ho adottato una tecnica innovativa brevettata dall’azienda italiana Milestone, basata sull’utilizzo delle microonde per l’idrodistillazione degli oli essenziali. Questa tecnologia garantisce una qualità aromatica elevata, evitando l’uso di alcol, additivi o solventi chimici per l’estrazione.

Bingo: il risultato era ottimo e intrigante, ma mancava ancora un tocco in più, che ho trovato in un mix di coriandolo, genziana e soprattutto passiflora, che ha aggiunto una nota di “relax e zen” al prodotto.

Inoltre, la birra così prodotta presentava un contenuto calorico molto basso: solo 66 chilocalorie, rendendola ideale anche per gli sportivi, quasi come un integratore, grazie al basso contenuto di zuccheri semplici.

Risposte e ostacoli

La risposta del pubblico è stata entusiasta.

A due anni dal lancio ho ampliato la gamma: Botanic Ipa con estratti di arancia e pompelmo e Botanic Blanche con profumo di fiori di camomilla. Tutte e tre condividono l’uso della passiflora, di cui mi sono innamorato.

Sono felice del risultato e i clienti lo sono altrettanto. Ho anche coniato quello che nel marketing si definisce un claim: naturalmente analcoliche. Ne sono fiero e non credo che avrei potuto esprimere meglio questi anni di studio e duro lavoro da parte di tutto lo staff di produzione e del laboratorio di controllo qualità.

Ma vorrei aggiungere qualcosa. Una birra analcolica ha meno dello 0,5 per cento di alcol. Le cosiddette “0.0” richiedono processi di dealcolizzazione, incompatibili con la birra artigianale.

Per consentire ai produttori artigianali di garantire conservabilità e stabilità, sarebbe utile prevedere una deroga alla legge che definisce la birra artigianale, autorizzando, esclusivamente per questa tipologia, l’uso della pastorizzazione.

È una proposta che, come Consorzio Birra Italiana, di cui sono presidente, desideriamo portare all’attenzione del governo.

Le nuove norme sulla sicurezza stradale hanno incentivato il consumo di birre analcoliche. Tocca a noi offrire prodotti appaganti, senza rinunciare all’esperienza sensoriale.

Chiudo con una nota amara: il nuovo decreto Sicurezza potrebbe sancire la fine della nostra Botanic Blonde, perché vieterebbe la Cannabis sativa anche priva di THC e CBD. Sarebbe un peccato. Spero si possa evitare di demonizzare... un profumo.


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