«Qual è lo scopo dell’animazione di un Family Hotel?», chiede Monica nella prima riunione dello staff, aggirandosi tra i coscritti come il sergente maggiore Hartman. «L’unico nostro scopo è impedire che i figli passino del tempo con i genitori».
La mente dell’animazione si chiama Monica: è molto tatuata, ha un taglio di capelli militare e una deformazione professionale che la porta a condire ogni gesto con un eccesso di entusiasmo. Parla con un accento indefinibile che mescola sardo, lombardo, pugliese e una specie di italiano per stranieri che la farebbe sembrare Gadda, se non dicesse solo frasi motivazionali e battute che nei villaggi turistici regnano immutate dagli anni Novanta. Lei, Monica, giustifica il pastiche linguistico evo



