C’è una storia italiana che in questi decenni ci è cresciuta a fianco, a volte silenziosa, altre rumorosa. È una storia fatta di una moltitudine di persone provenienti da lontano, con le loro ferite, sogni, aspettative e ambizioni. Un viaggio intrapreso dapprima soprattutto dagli uomini, poi dalle donne, le mogli poi diventate madri, e infine dai figli. È la storia degli immigrati in Italia.

Oggi quasi cinque milioni, mentre altre centinaia di migliaia si sono naturalizzati come italiani. Eppure, bisogna ammetterlo, rimangono nella costante percezione di “immigrati”. Per fotografare questo racconto possono esserci varie angolazioni e chiavi di lettura.

Qui si è scelto appositamente di raccontarlo attraverso il segmento dell’imprenditoria, non tanto per rimarcare la vecchia categoria dell’“immigrato di successo”, quanto per provare finalmente a ricostruire un racconto un po’ più complesso, che comprenda le varie fasi di un percorso di emigrazione che parte da lontano.

Dai sogni e dalle aspettative per poi scontrarsi con la realtà, fatta di ostacoli, difficoltà ma anche di ambizione, audacia e coraggio nel portare a termine un progetto.

Rappresentazione schizofrenica

Molti narratori in questi anni hanno provato a raccontare il fenomeno facendo emergere soprattutto gli aspetti più divisivi. In estrema sintesi, il racconto dei migranti in Italia, col crescere numerico del fenomeno, si è anche politicizzato sino a diventare un cavallo di battaglia elettorale da trascinare a destra e a manca. La storia dell’immigrazione e dei migranti nella sua narrativa ha subito una rappresentazione schizofrenica.

Dalla criminalizzazione dell’immigrato si è passati alla figura del buon lavoratore, a quella del “super-immigrato”, che include sia l’imprenditore di successo sia l’eroe che ha sventato una rapina o che ha salvato delle vite umane gettandosi in mare.

La realtà ordinaria è fatta ovviamente di storie di immigrati che hanno deciso di mettersi in proprio arrischiandosi in un’attività imprenditoriale. Emigrare, lasciandosi alle spalle tutto o niente, portando corpo e anima in un paese nuovo e sconosciuto, non è in fondo il primo atto di iniziativa imprenditoriale? Certo, non ci sono fondi, non c’è l’idea imprenditoriale di un prodotto o di un’iniziativa.

Ma c’è l’io, le proprie capacità, sulle quali si investe in un viaggio, assumendosi il rischio di vincere o fallire. Il segmento dell’imprenditoria immigrata è il passo successivo. Di chi prova, nonostante gli ostacoli, a farsi spazio, scrollandosi l’etichetta dell’ultimo, mettendo a frutto le proprie peculiarità e diversità nell’iniziativa imprenditoriale.

Viaggio nel tempo 

Si tratta di un processo lungo e pieno di ostacoli, come raccontato dalle testimonianze, ma anche di un bel percorso di autodeterminazione. Una battaglia di emancipazione, di riconoscimento e valorizzazione che si gioca non solo con i conti del fatturato annuale, ma anche con la cultura. Le undici storie di imprenditori immigrati raccolte in questo libro sono una fotografia dei cambiamenti in atto nel nostro paese, attraverso i loro racconti di arrivo e integrazione.

Ma sono allo stesso tempo anche un viaggio indietro nel tempo, che ripercorre il processo che l’Italia ha vissuto con lo stabilirsi delle varie comunità, senza tralasciare un altro aspetto decisivo: il mondo lasciato alle spalle dei migranti.

Le storie 

C’è Evelyne Afaawua che ci introduce in un racconto di orgoglio africano, tra identità da ricostruire, pregiudizi da abbattere e un percorso da immigrata che si trasforma in una grande sfida di integrazione. Evelyne prova ad affrontare tutto questo con un’idea imprenditoriale che diventa ricerca anche di sé stessa: un’offerta per un mercato sul quale per essere competitivi si deve necessariamente essere sempre più inclusivi.

Abdessalam Bouhadi fa scoprire il mercato halal al mercato italiano, con le prime comunità musulmane che iniziano a crescere in Italia e ad avere esigenze alimentari specifiche. Una domanda che nasce tra famiglie ma che poi diventa impresa proficua per una comunità etnico-religiosa sempre più numerosa e stabile.

Mohamed Radwan Khawatmi ci porta indietro nel tempo, alla fine degli anni Settanta, quando il nostro paese attraeva più studenti stranieri che operai. Ancora diciassettenne, affascinato dall’Italia e dalla sua opera lirica, parte come studente da Aleppo, in nave, con una piccola valigia, e arriva a Napoli. Diventa un imprenditore del settore elettrodomestici e uno dei principali esportatori dei prodotti italiani in Medio Oriente. Il Dell egiziano si chiama Gaphios Garas: ha saputo conquistare l’Italia, che era nel suo cuore da sempre.

In Egitto ha frequentato le scuole dai Salesiani di don Bosco, ha preso un diploma da perito tecnico riconosciuto in Italia e ha cominciato a respirare l’italianità. Arrivato nel nostro paese inizia a lavorare come cameriere nei ristoranti di Milano e diventa imprenditore dell’elettronica di consumo.

Un altro che sa fare impresa in Italia senza dimenticare il proprio paese, anzi il proprio continente – l’Africa – è Madi Sakandé, l’uomo che dall’Italia vuole portare il freddo in Africa. Lavora strenuamente riuscendo a creare sinergie e progetti paralleli che possano creare sviluppo anche lì da dove è partito.

Indrit Mema arriva in Italia dall’Albania con il gommone, come tanti suoi connazionali negli anni Novanta, lasciando alle spalle un paese nel caos. La sua storia è quella di “clandestino” che riesce non solo a regolarizzarsi ma a diventare imprenditore di successo nel campo della segnaletica stradale.

Sun Juje è un perfetto esempio della seconda generazione di immigrati cinesi in Italia. La famiglia un po’ alla volta, addirittura con i nonni, che si insediano a Bologna. La Cina è ancora un paese povero, con una manodopera che espatria in tutto il mondo. Sun lavora sodo e crea impresa, dalla ristorazione all’import-export. La sua è la generazione dei cinesi della globalizzazione: studia a Milano e fa un master in International Business a Londra.

Un altro salto verso il Marocco ce lo fa fare Halima Hadir, nata a Casablanca nel 1973. Il suo brand, Safira Milano ci fa scoprire la contaminazione tra Italia e Marocco nella moda, puntando dritto alla categoria lusso. La sua è una storia d’emigrazione, d’impresa ma anche d’amore.

Ancora dal Marocco, questa volta da Fes, viene la storia di Yassine “Mattia” El Aouak, la mente di ParkingMyCar, una startup umbra dei parcheggi che non solo si è espansa nel territorio italiano ma sta proseguendo anche all’estero, ed è stata inserita tra le diecimila migliori imprese in tutto il mondo e tra le migliori cinquanta emergenti.

A Roma, appena dietro largo di Torre Argentina, tra le botteghe italiane e i ristoranti di cucina romana, si nasconde la storia di una donna di origine polacca e del suo atelier “Patty Bloom”. Dalla Polonia all’Italia per valorizzare le diversità. Lei lo ha fatto con i reggiseni.

Le mani nere di Mbaye Ndiaye sono mani d’oro: insieme ai suoi compagni di viaggio porta avanti la lotta al caporalato nell’entroterra pugliese.  Lui stesso, dice, non è arrivato dal Senegal per diventare schiavo in Italia e per difendere un lavoro dignitoso in agricoltura, un settore dove il livello di sfruttamento è alto, ha creato la sua impresa particolare.

Sono storie di persone che si sono fatte strada dal loro paese d’origine sino a noi.

I numeri 

Un racconto tra passato e presente di un’umanità che vuole continuare a sognare, creare e lasciare la propria impronta, per non dire ai posteri che qui ci sono stati solo migranti di passaggio.

Il libro si chiude con un importante rapporto annuale della Fondazione Leone Moressa che da diversi anni ci aggiorna, con numeri e grafici, sul fenomeno dell’imprenditoria degli immigrati in Italia, uno dei parametri più interessanti per misurare la crescita, l’ambizione, la stabilità e l’integrazione di una fetta di popolazione del nostro paese che dovrebbe essere valorizzata ed evidenzia il considerevole contributo all’economia italiana degli imprenditori immigrati: nel 2021 erano 750mila gli imprenditori stranieri attivi nel nostro paese, pari al 10 per cento del totale, mentre le imprese a conduzione prevalentemente straniera erano 570mila, l’11,1 per cento del totale.


Il freddo in Africa e altre storie di un’Italia nata altrove (Luiss University Press 2024, pp. 159, euro 16) è un libro di Karima Moual 

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