La satira in Italia non è molto coltivata, per motivi che forse possono ritrovarsi nell’Estetica di Croce, la quale considera la satira come la Cenerentola della letteratura. Qui regna il culto dell’arte e della poesia in senso assoluto. Ognuno, scrivendo, ha per modelli la Divina Commedia, I promessi sposi, I Malavoglia, secondo le proprie intenzioni e ideologie, e nessuno si guarda attorno per capire i lati assurdi, non diciamo ridicoli ma comunque sfrenati della vita che ci circonda. Farlo è mettersi in una posizione di isolamento, ma questo a me non dispiace» (Ennio Flaiano).

La satira è quel punto di vista lì. Di critica attraverso l’umorismo. Non solo. La satira è una valvola di sfogo, una breve e beata liberatoria sopraffazione sulle sfide quotidiane e sulla sfighe esistenziali. Si affida allo shock, alla sovversione e a un po' di trasgressione per svolgere un'importante funzione sociale. Come potrebbe farlo se fosse permesso solo di ripetere le opinioni approvate da una misteriosa minoranza vocale – gli hater, la polizia delle battute, la prevalenza dei cretini (copy Fruttero&Lucentini) – su Twitter? Non potrebbe. Non sarebbe affatto satira.

La satira è scatologicamente volgare e sessualmente esplicita, affronta i tabù con divertimento. La satira è satira. Non può essere elegante. Non può avere limiti. Deve dare fastidio. Deve colpire il bersaglio, ferirlo e farlo incazzare. La vignetta di Natangelo pubblicata sul «Fatto» valida questi presupposti che fanno della satira buona satira.

Ricordo un murales dell’artista Tv Boy, comparso dopo un lavoro notturno in via dei Pianellari vicino al Senato, raffigurava la leader di Fratelli d'Italia Giorgia che, folgorata sulla via di Damasco, si pente e decide di dedicarsi al volontariato per Proactiva Open Arms e Save the Children e di aiutare i bambini rifugiati. Disegnata con in braccio un bimbo africano. Era satira gentile. Materna. Dolcissima. Venne cancellato. Era il 2018, governo Conte I, con Salvini, Di Maio.

Prendere in giro tutti

Poi ci furono il video e la canzone di Checco Zalone. (Era il 2019, sempre governo Conte ma II, c’erano anche Boccia e Provenzano ministri). Immigrato: che ha evidentemente ispirato questa vignetta. I temi sono gli stessi. Dove gli affari di famiglia sono il meno, in fondo si tratta solo di corna, il più è il luogo comune sull’uomo di colore, e l’eterno fascismo del razzismo (copy Eco). (La cosa grave non è la vignetta è la frase del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida sui timori di “sostituzione etnica”, razzista e suprematista, per ignoranza, oltretutto, secondo la sua versione).

Va rivisto in questi giorni quel video geniale con una strepitosa Emanuela Fanelli che danza stuzzicando il nero in soggiorno. E senza permesso.

Fece incazzare anche le femministe, per il “favorisci pure l’altro lato”. Perché lui, Checco Zalone, continua a prendere in giro tutti: razzisti e perbenisti, militanti e benpensanti.

Il suo pezzo-compilation di luoghi comuni sui migranti, geniale, è un piccolo capolavoro che ci conferma, meglio di qualunque discussione, che il bersaglio, come sempre, siamo noi.

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