Giorgio Manganelli. Aspettando che l’inferno cominci a funzionare, edito da La nave di Teseo, sarebbe la vita di Giorgio Manganelli, detto il Manga, scritta da sua figlia Amelia, detta Lietta. Scopo dell’opera, oltre a raccontare le mille avventure e sventure del nostro scrittore, sarebbe anche di riuscire a dissipare i mille misteri che la sua singolare opera è riuscita a produrgli intorno: distinguere il vero dal verosimile e anche dal falso.

Per esempio, tanto per iniziare, potremmo venire a scoprire che uno dei nostri più grandi scrittori lombardi, lombardo non era, o almeno non era lombardo al cento per cento. Ci sarebbe invece un’origine emiliana, della bassa parmense. «Mio padre ha delle fortissime radici emiliane, anzi è un emiliano nato casualmente a Milano» dice Lietta.

La madre del Manga, figlia del maresciallo dei carabinieri, era di Roccabianca; il padre, figlio di un vagliatore di ghiaia, era di Stagno di Roccabianca. E nell’ottobre del ’43, per sfuggire alle rappresaglie previste per i disertori, lo stesso Manganelli, lasciata Milano, a Roccabianca farà rientro.

Lì, per le strane evoluzioni delle cose, diventerà partigiano e nel ’44 entrerà nel partito comunista. Sarà anche fucilato in quel di Roccabianca? Ovviamente no, se no non ci sarebbero state né Centuria, né Hilarotragoedia, ma verrà fermato, insieme a altri giovani, come ritorsione per l’uccisione di un fascista, tale Gavazzoli.

Il racconto

Il Manga così la raccontava a sua figlia: «Mi avevano arrestato, mi avevano messo al muro e stavano per schierarsi per fucilarmi quando un soldato russo mi guardò attentamente, avevo ventitré anni e ne dimostravo molti meno, e disse: “Ma su, non lo vedete che è un bambino?”, e dopo aver riflettuto un attimo mi dette un terribile colpo in testa col calcio del mitra. Io svenni e quando mi risvegliai ero solo, non c’era più nessuno e il sangue mi colava sul viso. Mi rimisi in piedi e tornai a casa, e mia madre mi medicò». Queste le parole del Manga.

Ma ecco, mentre Lietta si trova a Roccabianca per ricostruire le avventure del Manga e conoscere i suoi parenti, che arriva un tale Zilioli, classe ’29, ex staffetta partigiana, che dice a Lietta: te lo racconto io com’è andata: «Il 18 marzo si fecero i funerali del Gavazzoli … C’era tutto il paese al funerale … perché non esserci voleva dire dichiararsi apertamente antifascisti … La bara, con sopra il coperchio una mitragliatrice, veniva portata a spalle e i fascisti, armati fino ai denti, si guardavano intorno.

Un movimento sbagliato e, penso io, un’ombra scambiata per un partigiano, e i fascisti iniziarono a sparare fra la folla. Un fuggi fuggi generale, durante il quale uno della brigata nera sparò, volutamente, alle spalle di un anziano, tale Spagnoli, ferendolo gravemente.

Coloro che non fuggirono

Fra coloro che non fuggirono c’era Manganelli che con altri quattro venne messo al muro per essere fucilato sul posto. Il padre del morto, anch’egli capitano delle Brigate nere, si oppose alla fucilazione di Manganelli, che lui conosceva bene in quanto professore d’inglese di sua figlia, e al grido di: “L’è miga lù, l’è miga lù; lù l’è al profesor ad me fiòla!” fermò l’esecuzione. Ormai la confusione era diventata massima, per cui i cinque furono arrestati, e non fucilati, condotti in carcere, ovviamente percossi e strapazzati, e vennero poi rilasciati per ordine del comando tedesco, il quale, va detto, non era affatto d’accordo con quella fucilazione». Lietta considera questa storia come una delle tipiche “invenzioni dal vero” di suo padre. Era meno imbarazzante essere stati salvati da un soldato russo che da fascisti e tedeschi.

Verremo comunque anche a sapere che, prima dell’8 settembre, e prima di diventare un partigiano comunista, Manganelli aveva anche militato regolarmente nell’esercito italiano: «Ho contribuito alla sconfitta dell’Italia. Mi assegnarono ai servizi sedentari e non mi fucilarono perché sarebbe stata una cattiva azione. Non ho mai imparato a mettere le fasce. Ero inetto, inutilizzabile. A Bergamo, in una caserma di fanteria, divenni furiere con l’incarico di compilare il ruolino del reparto. La mia pessima calligrafia rese il ruolino illeggibile. L’8 settembre del ’43 tornai a casa: quel giorno si chiuse la mia vita militare».

Ma continuiamo il nostro racconto: è chiaro che perché ci sia una figlia, Lietta appunto, autrice di questo libro, bisogna che nella vita di Manganelli ci sia stato un amore, un conseguente matrimonio e un qualche slancio riproduttivo che abbia avuto successo.

La passeggiata per Roma

Ritratto di Tullio Pericoli, 2009

A quanto sembra, Manganelli non era bello. Lietta per provarlo ci racconta questo episodio, anche se non sappiamo in che anno sia avvenuto e se si riferisca a un Manga giovane, a un Manga maturo o a un Manga anziano: «Il Manga, Edoardo Sanguineti e Mario Bortolotto stanno passeggiando per Roma, quando mio padre si ferma di botto e chiede: “Secondo te, Mario, chi è più brutto, io o Edoardo?” Posso solo immaginare l’imbarazzo del povero Bortolotto, che dopo averci pensato un attimo, sbotta: “Ma cosa c’entra, Edoardo è antropomorfo, tu no”». Lei invece era molto bella. Si chiamava Fausta Preschern, naturalizzata Chiaruttini.

Era la sorella di una dottoressa che operava a Roccabianca e che aveva ricucito qualche partigiano ferito. Il padre (di origine slovena) era diventato preside di una scuola di Parma. Sono molto diversi ma si fidanzano: Manganelli innamoratissimo, lei così così.

L’esempio più eclatante della loro differenza, secondo Lietta, è questo: «Mio padre scrive a Fausta che per l’Epifania la raggiungerà a Endenna, e nel contempo inventa per “la fanciulla dalla bella capellatura” una romantica favola, con castello, cavallo e cavaliere innamorato di nome “il Giorgissimo”, la risposta della fanciulla è criptica, credo che per lui sia stata terribile: “Comprato braciole, urge pangrattato”. Ogni commento è superfluo». Nonostante questo i due si sposano in una chiesa di Milano. Secondo Lietta, due beghine presenti all’evento commenterebbero così l’uscita dalla chiesa degli sposi: «Le’ l’è blina acsè, ma lu’ l’è brut, madonna, se l’è brut (lei è proprio bellina, ma lui è brutto, madonna se è brutto)».

Ma perché c’è questa insistenza su una presunta bruttezza del Manga? Perché Fausta, in un rarissimo momento di confidenze, avrebbe detto alla figlia Lietta: «Vedi, io ho cercato di innamorarmi del Giorgio, ma io non sono assolutamente capace di amare le persone brutte. Mi sono accorta quasi subito che non sarebbe diventato nessuno … e dopo pochi mesi di matrimonio avevo già deciso di lasciarlo, ma non volevo restare da sola, non mi pareva giusto, volevo un figlio, un figlio mio! Il Giorgio, che oltretutto era stato fortemente traumatizzato dalla guerra, non voleva figli, quindi io ho pensato di farlo ubriacare – mio padre in quei tempi era totalmente astemio – e così sei nata tu».

L’avventura matrimoniale andrà avanti ancora qualche anno. Poi nel ’53, rientrando a casa, Manganelli trova una valigia in corridoio; dice: «Che bello! Sono arrivati i tuoi?» ma Fausta risponde: «No, Giorgio, sei tu che te ne vai».

È così che il Manga, come è noto, abbandonerà la famiglia e si trasferirà a Roma. Salirà sulla sua lambretta “Bakunina”, caricherà la valigia e su quel mezzo raggiungerà la capitale. No. Anche questa è una leggenda da sfatare. Andrà in lambretta fino alla stazione centrale, la caricherà sul treno e in treno raggiungerà Roma.

Poi diventerà insegnante, subaffitterà una stanza presso la famiglia Magnoni e la seguirà per vari traslochi, chiedendo che di trasloco in trasloco contino una stanza anche per lui, frequenterà uno psicanalista junghiano, diventerà scrittore, amerà altre donne, tante, scriverà sui quotidiani, inizierà a fare reportage meravigliosi in giro per il mondo, e finalmente avrà una casa sua e così via. Farà anche la sua vita. E quando finalmente lei diventerà maggiorenne, il Manga tornerà a frequentare Lietta.

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