Ho visto abbastanza puntate di Csi per sapere che quando un cadavere non ha identità nota si vanno a guardare i denti, e qualche vaghissimo ricordo di una gita al museo di Ötzi mi suggerisce che i denti dicono molte cose non solo dei cadaveri nuovi, ma anche di quelli antichissimi, un po’ come i cerchi dentro i tronchi degli alberi. Tuttavia negli ultimi tempi mi sono interessata molto di più a quello che dicono i denti delle persone vive, in particolare – lo avete già indovinato – a cosa dicono di me (viva fino a prova contraria).

«Come fai a sapere che non sono ricca?» chiede Liz Lemon a Tracy Jordan nella prima puntata di 30 Rock. «I tuoi denti» le risponde lui, alludendo allo stato non impeccabile della sua dentatura.

Anche i miei sono denti da persona povera, o almeno da persona più povera di me, e nell’ultimo mese ho cercato di capire cosa potrei fare per rimediare e avere non dico un sorriso da miliardaria, ma neanche quello di un vecchio craccomane alla canna del gas.

Denti

Sono nata senza gli incisivi laterali superiori, non un grave problema per il mio piccolo palato. Di spazio ce n’è sempre stato poco, negli anni i canini hanno trovato la strada per unirsi ai palettoni e da parecchio tempo ormai se ne stanno lì, piccoli e aguzzi, a fingere che quello sia il loro posto, a confondere le persone che mi guardano la bocca e percepiscono che qualcosa non va, ma non capiscono esattamente cosa.

Al piano di sotto intanto, dove purtroppo la natura ha fatto male i conti e non mi ha privato degli stessi denti che mi mancano sopra, ho un canino che a un certo punto ha deciso di andare a vivere da solo e da anni sta portando avanti la sua missione di emancipazione procedendo inesorabile in direzione ostinata e contraria a quella dei suoi amici.

Oggi sembra il dente di qualcun altro, un TicTac rimasto a penzoloni tra il labbro e la gengiva, ed è a causa della sua vocazione indipendentista che ho deciso, alla tenera età di 32 anni, di avviare le consultazioni per un apparecchio ortodontico.

Le fasi

L’operazione si svolge in più fasi, del tutto analoghe a quelle dell’elaborazione del lutto. Si comincia con la negazione: mi rifiuto di essere un’adulta con l’apparecchio ferrato, devo per forza rivolgermi agli esperti di Invisalign per sapere se il mio problema si può risolvere con le mascherine trasparenti.

Ne cerco due o tre tra i cosiddetti Diamond Provider, cioè tra gli ortodontisti certificati che hanno studiato il metodo e di mascherine ne sanno a pacchi (più a pacchi dei Gold, meno dei Platinum, che però temo mi facciano pagare il titolo di Provider supremo) e prendo vari appuntamenti con un’inedita efficienza, che ad averla avuta prima a quest’ora avevo i denti di Barbie.

Questo mi porta al secondo stadio: la rabbia. Mi struggo moltissimo ripensando alla dentista di quando ero bambina che si dichiarava “non interventista” e per volontà della quale non misi un apparecchio a dieci anni come tutti i bambini (oggi adulti con i denti dritti), e che mi costringe pertanto a metterlo adesso, in tempi di selfie selvaggi e social media in cui mi ritrovo a pensare al mio aspetto fisico molto più di quanto facessi da adolescente, ma soprattutto in tempi in cui l’apparecchio me lo devo pagare da sola in quanto persona economicamente indipendente da un pezzo.

E così veniamo alla terza fase, quella della contrattazione. Tiro in ballo l’assicurazione sanitaria, dico al secondo specialista che il primo che ho visto mi ha chiesto mille euro di meno anche se non è vero, arrivo a un passo da offrire dei favori sessuali pur di limare un po’ questi preventivi.

Mi sento in un souk di Marrakech, ambiente in cui sono notoriamente a disagio, e infatti alla fine non solo non ottengo nessun tipo di sconto sulla cifra richiesta (che possiamo quantificare come un rene e mezzo) ma neanche ci rimedio un bel tappeto o, che ne so, una tajine di pregio.

Lo specchio dell’anima

Il che mi porta alla quarta fase: la depressione. Realizzo che i denti sono lo specchio dell’anima e la mia anima è angustiata dall’imminente saldo delle tasse. Ho i denti da povera perché sono povera, o almeno più povera di quanto vorrei.

Ad ogni nuovo preventivo, che mi ostino a richiedere aspettandomi di trovare prima o poi qualcuno così affascinato dalla mia bocca picassiana da volerla sistemare gratuitamente per amore della scienza, sono sempre più sconsolata.

Di amore per la scienza non c’è traccia, in compenso continuo a sentirmi ripetere “che casino” e “questo è un bel casino”. Uno mi ispeziona e commenta solo con “bordello”, che è diverso dai due precedenti, ma non proprio. È lo stesso che guarda le mie lastre e dice «oggi volete farmi piangere», rivolgendosi a non so chi altro, visto che nella stanza ci sono solo io, che sono anche l’unica persona che alla fine piangerà.

Personalità 

Passo due settimane in balìa di studi dentistici, seduta in sale d’attesa ispirate al set di Muschio Selvaggio dove musiche generiche accompagnano videoproiezioni di tramonti ai Caraibi, il cui scopo è incerto, ma se l’obiettivo è tenere il paziente in bilico tra i pensieri suicidari e il bisogno improvviso di comprare un volo per Porto Rico posso dire tranquillamente: missione compiuta.

E infatti mentre guardo i voli per Porto Rico, dove in effetti mi piacerebbe portare i miei brutti denti, approdo infine alla quinta fase, quella dell’accettazione. Accetto tutto, tutto in una volta, a partire dal fatto che con i soldi che sono determinata a spendere per sistemarmi i denti potrei andare e tornare dal Centro America almeno cinque volte.

La conclusione finale è inevitabile, e mentre accetto di avere la bocca come quella del cavallo del Guernica mi convinco che tutto sommato quel canino ribelle non si nota poi tanto e comunque dà personalità al mio viso. La personalità di un vecchio craccomane alla canna del gas, ma comunque.

© Riproduzione riservata