Vivo a Washington DC* da quasi otto anni. Non immaginavo che avrei amato questa città. È un amore tardivo, maturo, che non ha niente a che vedere con il senso del possesso o la necessità di essere corrisposti simmetricamente. È fatto di ammirazione e accettazione della diversità.

Washington non è l’America. Ma ne è uno strano e bellissimo riassunto, dove predominano alcuni colori che la rendono unica.

Il blu

Quando dall’Italia mi chiedono cosa si dica “là in America” di un fatto politico o di un dibattito culturale, devo sempre precisare che l’aria che si respira da queste parti non è quella del Paese. DC non è significativa per raccontare la complessità di un paese enorme, pieno di realtà diversissime tra loro, spesso contraddittorie. Un esempio banale, per le elezioni del 2016 non avevo dubbi che la Clinton avrebbe vinto, perché qui l’insofferenza per Trump era palpabile e compattissima. Ancora non sapevo che questo è “lo stato più blu”, il colore dei democratici. Il District of Columbia, non ha mai votato un repubblicano da quando esistono le elezioni e a Washington Biden ha preso il 98% dei voti.

È una città ovviamente segnata dalla politica. “Il potere” è l’industria locale che ne determina l’identità. Ma questo non significa che sia popolata solo da politici, lobbisti e spie. È la sede delle grandi manifestazioni, delle marce, delle lotte per i diritti civili. È qua che la Women’s March del 2017 ha portato mezzo milione di donne in piazza il giorno dopo l’insediamento di Trump ed è ancora qua che la scritta Black Lives Matter ha ricoperto (e dato il nome) alla strada di fronte all’ingresso della casa Bianca nell’estate del 2020, ospitando una forma di protesta antirazzista permanente.

Il verde e il rosa

È difficile che l’immaginario che riguarda la capitale degli Stati Uniti sia slegato dall’idea del potere emanato dalla cupola in marmo di Capitol Hill, dalle colonne della Casa bianca, dai memoriali ai caduti di tutte le guerre contemporanee che tracciano il loro percorso lungo il Mall, per chilometri dallo scranno di Lincoln fino alla sede del Congresso. Eppure c’è molto altro oltre il marmo. È una città di musei meravigliosi e gratuiti (gli Smithsonian) e soprattutto è un bosco urbanizzato. Ci sono piccole foreste a volte percorribili da sentieri, altre impenetrabili, abitate da uccelli di ogni specie, scoiattoli, procioni, volpi e cervi, che non è raro trovare nel giardino di casa. Ci sono parchi e giardini lussureggianti e migliaia di ciliegi la cui fioritura, il cherry blossom è uno degli eventi più attesi dell’anno.

Il nero

Chocolate city: è così che Washington è stata soprannominata negli anni Settanta grazie a una famosa canzone funk. Erano anni in cui gli abitanti afroamericani erano quasi la maggioranza, ed era qui che hanno vissuto una lunga stagione di grande fermento politico-culturale. Sindaco e capo della polizia neri, lavori ben pagati, la Howard University, gruppi musicali: la comunità nera ha avuto un grandissimo impatto nella storia democratica della città per almeno un ventennio. E la loro musica ha lasciato fortissime impronte che ancora risuonano nei quartieri, nei locali. Ma anche Duke Ellington era di DC e oltre al funk, il jazz (e poi anche il punk ma è un’altra storia) è la colonna sonora della città.

Oggi le cose sono molto diverse rispetto agli anni Settanta. La popolazione nera è diminuita e nonostante la sindaca e il capo della polizia siano ancora afroamericani, la gentrificazione dei quartieri centrali ha costretto via via la popolazione meno abbiente a ritirarsi nei quartieri periferici a sud est e adesso la spaccatura tra la parte ricca e a maggioranza bianca e quella povera e degradata popolata da people of color è nettissima. C’è un fiume, l’Anacostia che separa le due realtà urbane come un confine tra mondi diversi: è stato calcolato che di là dal ponte l’aspettativa di vita media sia più bassa di vent’anni.

Citando Dickens del Racconto di due città, a Washington ci sono «la primavera della speranza e l’inverno della disperazione» e questo convivere di opposti e lo strenuo tentativo di conciliarli è in effetti una sintesi molto molto americana.

*DC sta per District of Columbia e qua per non confondere la città con l’omonimo stato si specifica sempre, spesso la capitale viene chiamata solo con l’acronimo di-sìì.

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