Inutile negarlo, quest’anno la Giorno della Memoria, istituita nel 2005 con la risoluzione Onu 60/7 per commemorare le vittime della Shoà, si svolge in un clima del tutto particolare, fortemente condizionato dalla guerra di Gaza scatenata da Hamas con l’efferato attacco del 7 ottobre scorso al sud di Israele.

La durissima risposta israeliana, che ha già provocato un numero spropositato di morti civili trasformando la Striscia in un territorio lunare cosparso di crateri, ha fatto riemergere, come autorevolmente denunciato dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, i peggiori stereotipi antigiudaici dell’ebreo vendicativo e insensibile alla sofferenza degli altri.

A oggi, però, nessuno ha indicato la minima alternativa alla risposta militare, come se quanto successo non richiedesse una rimessa in sicurezza del confine meridionale del paese e come se il sentimento di tradimento israeliano non fosse giustificato da un attacco in stile Isis verso le zone più coinvolte nella costruzione della pace. Oltre a essere stato reso possibile da mappe consegnate dagli stessi abitanti di Gaza assunti nei kibbutzim poi martoriati e pianificato, fra gli altri, da Yahya Sinwar, fra i mille prigionieri delle carceri israeliane scambiati nel 2011 per il caporale Shalit, per cinque anni ostaggio nelle mani del gruppo paramilitare che aveva appena assunto il controllo della Striscia.

Clima compromesso

Insomma, ben presto le categorie politiche con cui si dovrebbe analizzare un conflitto sono state sostituite da quelle teologiche. Ancor prima che iniziasse l’offensiva di terra israeliana si è passati dalle critiche al governo, alla condanna di Israele tutto in quanto stato occupante e perciò responsabile, paradosso dei paradossi, dei suoi stessi morti, all’immagine del perfido giudeo di medievale memoria.

Il clima è oggi tanto compromesso da aver spinto alcuni intellettuali ebrei, tra cui il demografo Sergio Della Pergola che è forse l’italkì (italo-israeliano) più noto, a chiedere alle componenti ebraiche di non partecipare alle cerimonie del 27 gennaio, affinché siano i non ebrei ad assumersi la responsabilità del mantenimento del ricordo.

Giusto per far capire l’atmosfera, non credo sia superfluo ricordare che Della Pergola è da sempre contrario a ogni forma di Aventino. Analoghe richieste di boicottaggio sono venute anche dal fronte opposto, dove si sono viste lettere aperte di docenti di scuola che hanno chiesto la sospensione delle celebrazioni per quanto sta succedendo a Gaza.

L’elenco dell’orrore

Una messa in discussione di questo giorno che, in verità, è solo l’ultima tappa di un percorso di delegittimazione che negli ultimi anni ha vissuto diversi momenti. In primis, il carattere ritualistico e quasi meccanico delle celebrazioni ha sollevato da tempo, anzitutto nelle scuole, la domanda: perché solo gli ebrei? Perché, fra gli infiniti genocidi della storia deve essere commemorata, perlomeno in una forma così solenne, solo la sofferenza ebraica? Non hanno forse sofferto in modo analogo rom e sinti compagni degli ebrei nei lager nazisti?

Solo lì, si stima che ne siano morti cinquecentomila, ma il numero cresce esponenzialmente se si considerano i rastrellamenti della gestapo in Europa dell’est. Così come ai sei milioni di ebrei uccisi nei campi se ne deve aggiungere un altro vittima della cosiddetta Shoà delle pallottole, quando ancora la macchina di morte nazista non era stata ingegnerizzata.

E l’holodomor, l’uccisione per fame, subito da un numero compreso fra i cinque e i sette milioni di ucraini per mano staliniana? E il genocidio degli armeni, a cui Hitler stesso si è ispirato per costruire la sua macchina di morte? E che dire dei popoli nativi americani, vittime del più vasto genocidio della storia umana? L’elenco dell’orrore, soprattutto per mano occidentale, potrebbe continuare a lungo. Senza dimenticare i secoli di schiavitù subiti dai popoli neri.

Il riemergere del nazionalismo

Il secondo attacco alla memoria dell’olocausto, come ancora si chiama in molte lingue europee, è stato portato dal riemergere del nazionalismo. Da lì, praticamente in ogni paese, è emerso un tentativo di ripulirsi la fedina allontanando il sospetto di collaborazionismo con la strage perpetrata dai nazisti.

Persino in Germania si è assistito a questa relativizzazione con un Afd, che lamenta come il proprio paese sia l’unico a erigere monumenti contro sé stesso. Si riferisce ai musei dell’olocausto, alle pietre di inciampo e a tutti i luoghi di ricordo di quegli anni.

I maggiori esempi di questo processo di relativizzazione restano il museo di Budapest voluto da Viktor Orbán e la legge polacca che vieta, anche agli storici, qualunque accostamento fra il proprio paese e i campi nazisti (!).

«Crimine contro l’umanità»

Il terzo attacco, quello più subdolo, è venuto dal polo opposto dello spettro: l’astratto umanitarismo europeo. Qui, la Shoà, crimine antisemita per eccellenza, è sinistramente mutato in «crimine contro l’umanità». Niente da eccepire, la definizione è di conio ebraico (Lemkin, Jankélevitch), se non fosse per la rimozione che l’ideale umano è stato attaccato passando per la morte dell’ebreo.

Non riconoscere quanto questi due estremi, universale e particolare, siano legati produce una memoria distorta e non aiuta l’Europa a fare i conti con i fantasmi antigiudaici che i nazisti hanno sfruttato per alimentare il proprio sterminio.

In questo clima di azioni e reazioni, credo sia utile fare un po’ di chiarezza sul significato di questa giorno. Il 27 gennaio non è una data ebraica e men che meno è una concessione agli ebrei. Come ricordato su queste pagine da Claudio Vercelli, Israele ha una sua data per ricordare la Shoà che, come sempre, celebra la resistenza della vita sulla morte, non la morte in sé, cosa vietatissima dall’etica ebraica.

Il 27 gennaio è, piuttosto, una data esclusivamente europea perché Auschwitz, man mano che il suo abisso irraggiungibile di orrore è emerso nella coscienza collettiva grazie allo sforzo, per molti versi contro natura, dei reduci, si è sempre più proposto come racconto fondativo dell’odierna Unione europea.

Come punto estremo della negazione dell’umano e massima negazione degli ideali post-rivoluzionari di uguaglianza, libertà e fraternità che hanno dato forma all’Europa moderna. Non ricordando la Shoà, l’Europa colpisce certamente gli ebrei, che già stanno sperimentando un sentimento diffuso di abbandono e solitudine oltre che assistere a un incremento esponenziale di attacchi antisemiti, ma soprattutto abdica a sé stessa, logorando quel fondamento etico che finora l’ha tenuta assieme.

Un significato del Giorno della memoria che speriamo sia anzitutto introiettato dall’ormai cospicua minoranza islamica in Italia e in Europa. Piuttosto che essere vissuto come un’imposizione, o peggio utilizzato come una clava da utilizzare contro Israele, che questo giorno venga recepito come possibilità di costruzione di un islam europeo, coerente con gli ideali egualitari del vecchio continente, che il 27 gennaio vuole rappresentare e che restano la più forte garanzia per ogni minoranza. Penso si debba essere consapevoli che annacquando il significato di questo giorno, saremo tutti più deboli.

© Riproduzione riservata