Il 2023, con tutta probabilità, si confermerà l’anno più caldo della storia del pianeta, con nuovi allarmanti record infranti in senso negativo, in particolare per il nostro paese. Il rapporto dell’Osservatorio città clima di Legambiente parla chiaro: in un anno gli eventi estremi in Italia sono cresciuti del 22 per cento (arrivando a 378, causando oltre 30 vittime).

Solo in Emilia-Romagna e Toscana, tra piogge che in poche ore scaricano l’acqua che normalmente cade in mesi, esondazioni, venti di straordinaria intensità, il contatore dei danni ha superato gli 11 miliardi di euro.

E intanto il governo Meloni si permette di perdere risorse del Pnrr per la rigenerazione urbana e il contrasto al dissesto idrogeologico, non mette un euro della legge di Bilancio per rendere il nostro territorio meno fragile, non sembra interessato a discutere di una improcrastinabile legge sul consumo di suolo.

Ma non basta: siamo nelle mani di una destra incapace di giocare un ruolo efficace a livello internazionale, visto che con gli slogan sovranisti del “prima io” va da sé che le supposte alleanze non tengano alla prova dei fatti. Incapacità che sul fronte della conversione ecologica diviene grottesca (basti pensare al non ruolo del ministro Pichetto Fratin alla Cop28) e gravissima.

Siamo un paese terribilmente dipendente da risorse di cui non controlliamo né disponibilità, né prezzo, che trarrebbe enormi vantaggi proprio dalla decarbonizzazione, con un governo che continua a inquinare il dibattito politico e mediatico ricordando ossessivamente i costi della transizione, senza accennare a quanto stiamo già pagando ostinandoci a non farla.

Per fare bene i conti, infatti, occorrerebbe innanzitutto comprendere la differenza tra una spesa a perdere (come quella fissa per l’approvvigionamento di combustibili) e un investimento, che si ripaga da solo con i risparmi generati; e bisognerebbe anche considerare che riparare i danni costa quattro volte di più che investire in prevenzione.

È sbagliato, inoltre, non calcolare elementi come la pressione sul sistema sanitario dovuta a malattie acute e croniche legate all’insalubrità dei nostri territori (in particolare a causa della pessima qualità dell’aria), che culmina in circa 60mila morti premature ogni anno. È assurdo ignorare le perdite subite da agricoltura, pesca e turismo per il clima “impazzito” e l’ecosistema allo stremo. È gravissimo ignorare i danni al sistema industriale, economico e sociale che fa chi (come nel film Good Bye, Lenin!) si ostina a guardare il mondo come se le grandi trasformazioni, crisi e opportunità dei tempi moderni non abbiano fatto saltare tutte le certezze.

Hub del gas

Persino da un contesto “lento” per definizione, come quello delle Cop, il messaggio sul mondo che sta cambiando rotta è arrivato forte e chiaro: occorre virare dall’era sprecona, violenta e diseguale delle fonti fossili a quella delle rinnovabili, dell’efficienza energetica e della giustizia climatica e sociale, imboccando l’unica strada per costruire economie solide e relazioni internazionali foriere di pace.

Con la Cina che sbaraglia tutte le previsioni scegliendo per le nuove installazioni eolico e solare, piuttosto che carbone (tanto da far correggere gli scenari mondiali all’Agenzia internazionale dell’energia), insistere nell’ossessione di un’Italia “hub del gas”, e mettere ulteriori bastoni tra le ruote alle rinnovabili (con un decreto sulle aree idonee che moltiplica la confusione o con ulteriori tasse sul diritto di superficie) è di sconcertante miopia.

Significa condannare il paese a restare incaprettato dai ricatti di chi detiene le chiavi dei giacimenti e delle infrastrutture, sovvenzionando pochissimi player “fossil-centrici” ancora convinti che non sia giunto il momento di cambiare, ma facendo perdere, nel frattempo, tanto competitività strategica al sistema manifatturiero quanto potere di acquisto a cittadine e a cittadini italiani (che pagano bollette tra le più alte di Europa, a causa della dipendenza dal gas, per giunta con un sistema mal regolato e sistematicamente preda di pratiche speculative).

Anche la recente corposa lista di insufficienze giunta dalla Commissione europea che ha analizzato il Piano nazionale per l’energia e il clima dipende da questa postura cerchiobottista del governo, che pretende di nascondere dietro la retorica della “coperta corta” (che non manca di trovare i miliardi per un ecomostro inutile e dannoso, come il ponte sullo Stretto di Salvini) tutta la propria inadeguatezza.

© Riproduzione riservata