Questa settimana è partita male, ho perso i concerti di Noel Gallagher e dei Green Day, miti della mia adolescenza. I Green Day per la verità li avevo sentiti dal vivo molti anni or sono a Maui, Hawaii, dove mi trovavo per un periodo sabbatico.

Se dovessi definire lo sliding doors della mia vita, è stato lì, quando mio padre minacciò di venirmi a prendere, e mia madre pronunciò la frase «Prima ti laurei poi vai dove vuoi» e io fui costretta a salutare in fretta gli amici in infradito all’aeroporto, con la promessa di tornare l’anno dopo: mai più visti. In compenso l’altra sera sono stata all’anteprima del documentario di Blanco Bruciasse il cielo al Metropol, ex cinema ora spazio per eventi di proprietà dei Dolce e Gabbana.

Al buffet c’erano piatti senza glutine della chef Libera Massa e la cerchia degli intimi di Blanco, tra cui Chiello, Mahmood, Gaia, il ceo della Universal Alessandro Massara e il capo di Island Records Federico Cirillo appena rientrato da New York, dove aveva accompagnato Lazza.

All’uscita, in attesa di un taxi, ho confidato a Cirillo di essere in preda alla Fomo per aver perso i Green Day: «È un evento nostalgico, il confronto col passato ti avrebbe intristita», ha detto lui, convincendomi. E in quell’istante Lavinia Fuksas ha aggiunto: «Qualche anno fa ho conosciuto il leader Billie Joe a New York, fuori da un locale. Credevo fosse un barbone poi abbiamo fatto “un date”».

Nonostante l’ambulanza saltata in aria a Gaza, riesco ad addormentarmi pensando al suo appuntamento.

Il triangolo di Mahmood

La sera successiva Mahmood ha presentato il suo pezzo Cocktail d’amore in un locale di via Melzo dove qualche anno fa ero passata per bere uno shot prima di andare al Plastic. Fuori a fumare c’erano le sue addette stampa Francesca Casarino e Valentina Ferrara, lo stylist Lorenzo Posocco e il manager Stefano Settepani.

Il cadeau era una scatola con due bicchieri, quattro drink già pronti, e le istruzioni per l’uso: «Trova da una a tre persone con cui condividere il cocktail d’amore». Mi torna in mente quando leggo il sondaggio sulle zone erogene che mi ha inviato Sybil Shidell, la pierre di Gleeden, applicazione «leader in Europa per gli incontri extraconiugali con oltre 11 milioni di utenti attivi di cui due solo in Italia».

Prima di addormentarmi, nonostante la richiesta di aiuto di Medici senza frontiere e gli oltre 9mila bambini uccisi sulla Striscia, penso che tra i fedifraghi ci deve essere qualcuno che conosco. E funziona più della melatonina.

In osteria con Guccini

L’altra sera Flavia mi ha invitato a degustare la nuova vodka Belvedere 10, prodotta con una raffinata varietà di segale biologica, la Diamond Rye. Alla festa data al 29esimo piano della Torre Breda, svettavano tra gli ospiti Stefano De Martino e Pasquale Natuzzi.

Io forse ho degustato troppa segale e a un certo punto ho seguito il consiglio di Inge Feltrinelli: «Alle feste si arriva come un elefante e si va via come una libellula». E a casa sono crollata senza pensare.

Stamattina a Gaza si combatte intorno all’ospedale Shifa. Per fortuna c’è Francesco Guccini all’università Statale che presenta il suo ultimo lavoro Canzoni da osteria. Il coro degli alpini anticipa il suo arrivo cantando Bella Ciao.

L’artista qualche minuto dopo racconterà di aver inserito quel pezzo nell’album in onore delle donne iraniane che lo cantano in segno di protesta. «Ho però sostituito la parola “invasore” con “oppressore”, perché non saremo invasi ma oppressi sì».

Ha raccontato poi degli anni Sessanta a Bologna, delle tre osterie che frequentava, dell’impegno civile e anche del disimpegno, degli incontri con gli studenti stranieri in cui si parlava di Vietnam.

Ricordava in particolare gli ingegneri greci, i medici americani e le matricole somale che studiavano scienze politiche. «Dedicherei una targa ai “biascianott”, quelli che non dormono mai. Persone ma anche locali e ristoranti in cui c’era sempre qualcuno. E si poteva cantare, e discutere di cose vere».
Per prendere sonno stasera so a cosa pensare.

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