Non sono mai stata su Tinder o su altre app per incontri – perché in pratica non sono mai stata single, non perché sia una snobbona contraria al progresso tecnologico dei social – quindi non ho grande competenza del mezzo, ma di una cosa sono sicura: qualora mi trovassi a usarlo, non vorrei mai, mai, che mia madre o mio padre o persino la mia migliore amica potesse avere la possibilità di dire la sua a proposito delle mie scelte in fatto di maschi.

Questa settimana Tinder ha annunciato una nuova funzionalità che si chiama Tinder Matchmaker, che permetterà ad amici e famigliari degli utenti di suggerire i match, cioè gli accoppiamenti, ai propri cari. E se l’idea di vostra madre che scorre foto di sconosciuti e aspiranti rimorchiatori vi atterrisce, sappiate che almeno non dovrà iscriversi lei stessa a Tinder per intromettersi nella vostra vita, potrà farlo a prescindere come ospite occasionale dell’app. Che non so se sia meglio o peggio: l’ostacolo dell’iscrizione attiva sarebbe stato un buon deterrente per tutti i genitori muniti di senso del ridicolo.

Le vite degli altri

La funzione è stata proposta dopo che un sondaggio ha rilevato che il 75 per cento delle persone tra i 18 e i 25 anni discute spesso della propria situazione sentimentale con i propri amici, una scoperta non dissimile da quella dell’acqua calda e che sarei stata in grado di fornire anch’io con un sondaggio presso me stessa, ricordandomi abbastanza bene i miei vent’anni e potendo confermare che al tempo gran parte delle conversazioni con le mie amiche non avrebbero superato il test di Bechdel (completo la statistica dicendo che con i trent’anni i maschi e l’amore sono stati sostituiti da appartamenti e prodotti anti-crespo).

C’è comunque un limite alla possibilità di ficcanasare nelle vite sentimentali altrui: l’utente dovrà invitare i matchmaker con un link e mamma, papà, amici e cane non potranno interagire al suo posto. Faranno, in sostanza, quello che nella vita vera chiamiamo “dare un consiglio”.

Per due anni su queste pagine ho risposto ai problemi di cuore dei lettori, senza mai smettere intimamente di credere che forse facevo meglio a starmene zitta. A malapena ormai mi interesso della mia relazione, cosa vuoi che me ne freghi di quella di qualcun altro? Questo pensavo, mentre lanciavo consigli sulla folla come una pioggia di coriandoli di ipocrisia.

E invece poi mi appassionavo alle vicende di tutti e proprio come quando a cena qualcuno mi racconta di una coppia che non conosco che sta divorziando perché lei ha improvvisamente trovato un nuovo amore a Ibiza (mentre io mi esibisco in grandi gasp), proprio come quando la presidente del Consiglio lascia il compagno in mondovisione e corriamo tutti a dire cosa ne pensiamo, mi ricordavo a cosa servono le relazioni degli altri: a giudicarne la malriuscita, a sentirci meglio nelle nostre.

I dating show

È lo stesso principio dei dating show, a cominciare dal mio preferito, Matrimonio a prima vista, per il quale pago un abbonamento su Discovery+ perché non ho la forza di volontà per aspettarlo in chiaro su RealTime. Ne ho già scritto in passato (è un’ossessione che dura da anni), ma a ottava stagione appena conclusa sono ancora famelica, le relazioni sbilenche di gente che decide di sposarsi senza conoscersi non mi bastano mai.

Amo guardare queste coppie pescate dal cappello cercare un’intesa nel modo meno intuitivo possibile (forzandola dal nulla), mi piace sentirle parlare ossessivamente di muri da abbattere e appellarsi alla scienza di questo esperimento sociale, manco li avesse combinati Robert Oppenheimer. Mi rassicurano le loro case modeste e l’automatismo di certe dinamiche noiose e sempre uguali, prevedo i loro divorzi con un gusto venato di sadismo.

Tanto è contro natura la monogamia, quanto è naturale giudicarla. E se anche ho smesso di esprimermi sulle relazioni delle mie amiche, attribuendovi la stessa massima che si riferisce di solito alla città di Venezia (bella ma non ci vivrei), non posso fare a meno di pensare che le mie scelte siano analizzate allo stesso modo dagli altri.

“Non fartelo scappare” è la frase che mi sono sentita rivolgere più spesso a proposito del mio fidanzato, come se potessi scordarmelo nella cappelliera di un treno o farmelo scivolare via come un mazzo di chiavi dalla tasca bucata di un cappotto (cosa che in effetti mi è capitata). Suggerimento che peraltro sottintende un giudizio implicito in mio sfavore: ti è già andata bene, brutta pazza, vedi di non rovinare l’illusione di un amore felice. Lui è meglio di te, ringrazia il cielo e ricuci i buchi nelle tasche.

Qualche suggerimento

La verità vera – scoperta dell’acqua tiepida – è che nessuno sa cosa succede nelle relazioni degli altri, neanche quando una troupe televisiva ti segue e ti filma in viaggio di nozze, nemmeno quando le amiche ti hanno asciugato le lacrime e ti hanno ripetuto che ti meritavi di meglio.

Il matchmaking pertanto resta fallibile, così come sarà sempre fallibile il nostro libero arbitrio. Ecco, dunque, alcune funzionalità innovative che mi sentirei piuttosto di suggerire a Tinder, in virtù di un uso più consapevole e proficuo della piattaforma:

- Zia Jane, una figurina di Jane Austen riportata in vita dall’intelligenza artificiale fornisce visura catastale e dichiarazione dei redditi degli altri utenti.

- Kafone, l’app segnala con l’emoticon della cacchina sorridente quali soggetti trattano male i camerieri nei ristoranti.

- Frau Blücher, l’app nitrisce ogni volta che ci troviamo in presenza di persone del segno dello scorpione.

- Voty, l’algoritmo di Tinder incrocia i dati per rivelare le abitudini elettorali degli utenti e capovolge le foto profilo dei fascisti in automatico.

- Red Palombella, un avatar di Nanni Moretti elimina al posto tuo tutti quelli che dicono “ventiquattro/sette”.

Dal progetto Manhattan è tutto.

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