Con un ddl presentato a fine maggio, la ministra Santanchè ha cercato di fronteggiare il sovraffollamento turistico e lo spopolamento dei centri storici. A una più attenta analisi, però, il ddl tenta semplicemente di limitare l’utilizzo di Airbnb, ritenuto da molti la principale causa della gentrificazione e dell’aumento degli affitti nei centri storici. Quanto c’è di vero in questa tesi? E se fosse vera, questo ddl potrebbe sortire l’effetto sperato?

In uno studio in fase di pubblicazione, Tortuga ha analizzato l’espansione di Airbnb in Italia, studiandone l’impatto sul mercato immobiliare.

I dati

Ne sono emerse tre conclusioni: per prima cosa, la crescita di Airbnb è esponenziale. Tra il 2015 e il 2019 il suo utilizzo è più che raddoppiato in città come Roma e Venezia, triplicato a Firenze, Napoli e Bologna e più che quadruplicato in Puglia e in Sicilia. Rimane però un fenomeno concentrato principalmente nelle zone di interesse turistico: se a Vernazza ogni dieci appartamenti, quattro sono disponibili su Airbnb, la media nazionale è di nove ogni 100, e il 10 per cento dei comuni italiani non registra alcun annuncio.

L’impatto sul mercato immobiliare non è facile da quantificare, ma in media a una maggiore presenza di Airbnb sono associati prezzi residenziali più elevati. In questo senso, preoccupa il dato relativo agli Airbnb “commerciali” (il cui uso, cioè, può essere considerato di tipo imprenditoriale): a un aumento dell’1 per cento della loro presenza corrisponde un apprezzamento delle case superiore all’11 per cento. Un’analisi causale più rigorosa ha rivelato come a Roma un aumento del 10 per cento degli alloggi su Airbnb abbia causato un aumento dei prezzi degli immobili dello 0,3 per cento. Un impatto di molto inferiore a quanto suggeriscono delle semplici analisi di correlazione, ma non indifferente se si considera che l’offerta nella capitale è raddoppiata in cinque anni e che, limitando l’analisi agli Airbnb commerciali, l’effetto sarebbe probabilmente ancora maggiore.

In conclusione, sia lo studio di Tortuga sui comuni italiani che la letteratura economica concordano nell'identificare in una maggiore presenza di Airbnb sul territorio una delle cause di aumento dei prezzi degli immobili. Ma c’è di più: gli abitanti delle città turistiche, specialmente dei loro centri storici, lamentano come la diffusione di Airbnb stia causando uno spopolamento dei residenti e, a causa del rapidissimo ricambio di soggiornanti a scopo turistico e dell’inadeguatezza infrastrutturale, una corrosione della coesione sociale e della vivibilità.

Gli interventi delle città

Le preoccupazioni connesse alla diffusione di Airbnb hanno spinto diverse città nel mondo a intervenire proprio dal punto di vista dell’offerta. Alcune hanno vietato o limitato l’affitto di appartamenti interi o in cui il proprietario non è residente, come Barcellona. Altre, come Parigi, hanno previsto un tetto al numero dei giorni all’anno in cui è possibile affittare il proprio immobile su Airbnb.

La proposta della ministra del Turismo, con spirito opposto a quanto si vede in Europa, mira a limitare i soggiorni su Airbnb inferiori a due notti (a meno che a prenotare non sia un genitore con almeno tre figli). Al di là degli evidenti problemi di monitoraggio, tale misura sembra più volta a favorire il settore turistico tradizionale che ad affrontare il problema degli affitti commerciali.

Da questo punto di vista, la proposta depositata per Venezia, che prevede un tetto di 120 giorni combinato all’obbligo per il proprietario di avere al massimo un annuncio attivo, potrebbe essere più efficace. Desta invece preoccupazione l’impostazione suggerita recentemente dal Sindaco di Firenze Nardella: divieto di apertura di nuovi Airbnb nel centro storico ed esenzione dall’Imu sulla seconda casa per chi effettua la transizione da affitto breve turistico ad affitto a lungo termine a scopo residenziale. Uno sgravio fiscale di questo tipo sarebbe fortemente regressivo, rappresentando di fatto un trasferimento di risorse in favore di coloro che possiedono più di un immobile.

Se il problema di Airbnb è essenzialmente circoscrivibile a chi ne fa un utilizzo commerciale, il legislatore dovrebbe intervenire su questo aspetto, anche al fine di garantire una maggiore concorrenza con le strutture ricettive tradizionali. Ad esempio, ad oggi, la qualifica dell’affitto su Airbnb come attività imprenditoriale avviene qualora la medesima persona affitti più di quattro case. La soglia è molto alta: al di sotto, il soggetto beneficia della cedolare secca al 21 per cento, la stessa applicata agli affitti a lungo termine ed evidentemente più vantaggiosa rispetto a quella delle altre attività turistiche. Limitare l’utilizzo di Airbnb, soprattutto a fini commerciali, può in parte rispondere al sovraffollamento turistico e all’aumento dei prezzi. Farlo però richiede politiche pubbliche puntuali: le attuali proposte appaiono tiepide e poco focalizzate e lasciano irrisolti, tra gli altri, diversi dubbi riguardo una leale concorrenza con il settore alberghiero più tradizionale.

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