Delle pene senza delitti - Istantanea del Cpr di Milano è il report dell'accesso effettuato nel Centro di permanenza per il rimpatrio di via Corelli a Milano nei giorni 5 e 6 giugno scorsi da parte del Senatore De Falco.

Nel corso di tale accesso, come risultante dal report, si sono approfondite da un lato, la gestione amministrativa del Centro, con il risultato della constatazione di una dilagante approssimazione nella registrazione di accessi, uscite, presenze ed eventi critici. Inoltre è emersa la totale assenza di procedimentalizzazione dell'operatività, con conseguente sua totale opacità; carenze strutturali di personale, inefficienza e infima qualità dell'erogazione (quando erogata) dei servizi previsti dal bando di appalto, o comunque dal Regolamento CIE 2014, con particolare riferimento a quelli  posti a tutela di diritti primari, quali il diritto alla salute, alla difesa e alla comunicazione, scoperchiandosi nei fatti una sorta di girone infernale di soggetti fragili abbandonati a loro stessi e senza adeguate cure mediche, in sostanziale isolamento dall'esterno e dai contatti con i loro legali. Parallelamente si è cercato di indagare l'esistenza di adeguate verifiche di tale gestione da parte della Prefettura, con esito assolutamente insoddisfacente. 

Dall'altro lato, sono state poi esaminate le condizioni di trattenimento delle persone recluse, attraverso colloqui condotti direttamente con queste ultime presso i settori abitativi. I profili giuridico-processuali delle singole storie, a tratti a dir poco aberranti, non fosse altro per i vari padri e compagni di cittadini europei o in gravi condizioni di salute, aventi diritto di soggiorno già solo per questo. Le condizioni e il trattamento – diritto alla difesa sostanzialmente annullato dall'impossibilità di comunicazione e assenza di informazioni; diritto alla salute, valutabile a occhio nudo anche per le gravi lesioni,   autoinfertesi e non, riportate da volti, braccia, colli e sguardi assenti da alienazione; diritto alla comunicazione con l'esterno e con la famiglia affidato né più né meno che alla lotteria di un turno che non arriva mai – ; la vita quotidiana (cibo, igiene e servizi) e i luoghi in cui essa si svolge, di livello infimo rispetto agli standard carcerari.

La trattazione è stata quindi suddivisa in "Verifica della gestione del centro e del rispetto dei diritti fondamentali" e "I colloqui con i trattenuti", con una parte dedicata a un grave episodio emerso da varie testimonianze, relativamente a riferiti pestaggi da parte di agenti in tenuta antisommossa in prossimità dei bagni (dove non vi sono videocamere), da agenti in tenuta antisommossa intervenuti per sedare una protesta sorta per scarsità di cibo il 25 maggio scorso.

Le riflessioni conclusive, prendendo le mosse dalle risultanze di una gestione al di sotto di ogni standard di servizio e di garanzia di rispetto dei diritti umani, si allarga alla considerazione delle responsabilità istituzionali per la delega a soggetti privati, con bandi al ribasso, di un compito così delicato, e con totale abdicazione degli obblighi anche di tutela della salute dei trattenuti. Esempio eclatante, nello specifico, la mancata stipula, tra prefettura di Milano e Ats, del protocollo previsto dall'art. 3 Regolamento CIE che garantisce visite di idoneità imparziali e accesso alle cure sanitaria specialistiche, lì dove il protrarsi del trattenimento in isolamento ha condotto invece al generale progressivo e rapido deterioramento della condizione fisica, psicologica e spesso psichiatrica della gran parte dei trattenuti, per stessa ammissione del gestore: situazione dichiaratamente gestita solo con ampio uso di sedativi. 

Come pure le conclusioni non mancano di soffermarsi sul totale arbitrio lasciato a gestore e autorità amministrativa in mancanza di una precisa legislazione in materia, lasciando i trattenuti ed i loro legali, e gli stessi Garanti dei detenuti, sforniti di strumenti di difesa, con conseguente ultradecennale azione erosiva, nel totale silenzio, dei diritti fondamentali di chi è trattenuto nei Cpr.

In chiusura, la constatazione di un prezzo troppo alto, in termini di diritti umani, in una società civile che aspiri a definirsi tale, per l'istituto della detenzione amministrativa delle persone migranti solo in quanto tali; tanto più in considerazione dell'inefficienza di tali centri, attraversata solo da una minoranza degli irregolari (molti dei quali presenti sul territorio anche da decenni e con famiglia, che spesso hanno perso il permesso solo per aver perso il lavoro, come molti in pandemia), e solo la metà della quale viene effettivamente rimpatriata, venendo la restante metà rilasciata con un foglio di via dopo un gratuito giro nel tunnel degli orrori, vero e proprio porto franco dei diritti nel nostro ordinamento, lontano dagli occhi di tutti e impenetrabile da stampa, associazioni e società civile.

Il tutto nella ipocrita contraddizione di un sistema che priva della libertà individuale personale solo per il mancato possesso di un titolo di soggiorno, quando è l'ordinamento stesso nei fatti ad impedirne l'acquisizione in caso di migrazioni economiche e ad ostacolarne il rilascio (con presunzioni, prassi strumentali delle questure e alle frontiere, e un processo senza appello) in caso di domanda di protezione internazionale.

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