Gentile direttore, sull’edizione del 24 ottobre, leggo che il signor Domenico Arcuri ha l’intenzione di avviare nei confronti di Domani un’azione giudiziaria per pretesi danni derivati alla sua reputazione da un servizio pubblicato il 23 ottobre. Nel Suo resoconto su tale iniziativa, viene evidenziato che il signor Arcuri non smentisce il contenuto della cronaca fatta da Nello Trocchia (ne deduco che l’operazione della Guardia di finanza ivi narrata è avvenuta davvero); semplicemente egli non ritiene che essa si confaccia all’integrità della sua immagine e, pertanto, procede alla richiesta risarcitoria.

Ho letto diversi articoli di Domani dedicati all’operato di Arcuri diversi articoli. Tra gli altri, mi era rimasto impresso quello di Giovanna Faggionato sui tempi di attuazione del piano di approntamento dei posti di terapia intensiva, pubblicato il 16 ottobre. Data la specificità dei rilievi, ho trovato opportuno che fosse dato ad Arcuri lo spazio per una replica, cosa che è avvenuta sul suo giornale il 17 ottobre. Del resto, non è stato l’unico a interessarsi di Arcuri: lo hanno fatto quasi tutte le testate italiane, dato il ruolo primario nella gestione della pandemia.

Sull’attività del commissario straordinario all’emergenza Arcuri si è svolto – e si svolge ancora – un ampio dibattito, dato sia l’interesse pubblico dell’argomento Covid-19 (mi pare addirittura un eufemismo scrivere così), sia la responsabilità pubblica di primissimo piano affidata alla persona. Intendo dire – in sostanza – che quel che è accaduto, in un paese democratico, è normale; anzi doveroso.

Se restasse confermato che la cronaca di Domani era veritiera, saremmo allora nel campo delle querele temerarie, fatte apposta per tacitare il giornalismo scomodo. Denunce o citazioni per danni pretestuose e infondate, che però intimoriscono i cronisti e i loro editori, costringendoli a processi defatiganti e costosi, che spesso la stampa libera e la cronaca d’inchiesta non sono in grado di reggere.

Alla fine, quasi sempre, quelle cause sono perse da chi le intenta, ma il prezzo che la libertà d’espressione – scolpito nell’art. 21 della nostra Costituzione – è altissimo.

Nella scorsa legislatura avevo presentato una proposta di legge (n. 2.659) che prevedeva un filtro d’ammissibilità per le querele temerarie, in virtù del quale il giudice potesse sbarazzarsi preliminarmente delle azioni giudiziarie palesemente infondate in ragione della verità della notizia data. In tal modo, il giornalista e la sua testata non avrebbero dovuto soggiacere alla parabola lunga e tormentosa delle istruttorie e dei rinvii, in cui la controparte (solitamente influente e danarosa) avrebbe voluto trascinarli. Purtroppo non se ne fece nulla.

In questa legislatura, il senatore Primo Di Nicola ha riproposto un disegno di legge (n. 835) che prevede una sanzione pecuniaria specifica per le liti temerarie di questo tipo, ma solo al termine del giudizio. E’ meno di quel che si proponeva nel 2017, però è un inizio. La Commissione giustizia del Senato lo ha licenziato per l’Assemblea: speriamo che non si blocchi tutto. 

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