Quasi due anni fa, esattamente il 24 Marzo 2018, nel suo discorso di insediamento, il presidente della Camera, Roberto Fico, invitò l’Assemblea «a riflettere sulla necessità che il parlamento ritrovi la centralità che gli è garantita dalla Costituzione», sottolineando la necessità di «riaffermarla ai nostri giorni, in un contesto in cui il rapporto tra potere legislativo e potere esecutivo continua a essere caratterizzato dall'abuso di strumenti che dovrebbero essere residuali, in cui poteri e competenze sono spesso trasferiti in altre sedi decisionali, in cui gli interessi sono frammentati e le leggi sono sempre più settoriali e tecniche (…). Dobbiamo impegnarci a difendere il Parlamento da chi cerca di influenzarne i tempi e le scelte a proprio vantaggio personale».

I Dpcm

Gli accadimenti degli ultimi due anni dicono che quel richiamo è caduto nel vuoto. Alcuni fatti sono lì a ricordarcelo. Ad esempio, il vulnus arrecato all’ordinamento dalla sequela di Dpcm per fronteggiare la crisi sanitaria in violazione della Costituzione; l’ascesa delle Faq del Viminale al rango di fonti del diritto; l’harakiri dello stesso legislatore che ha dato il “la” al taglio della rappresentanza democratica e parlamentare; la singolarità dell’iter procedurale di discussione del “Next Generation Italia”, con i suoi 209 miliardi di Euro, del suo sistema di governance prospettato, in cui il legislatore è stato sostanzialmente ridotto al rango umiliante di quasi spettatore; il mancato rispetto, da parte di un Governo debolmente incalzato dal parlamento, del termine per l’adozione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai).

In tale contesto, rivelatrice quanto drammaticamente contraddittoria, appare la decisione politica dell’affidamento governativo, passato praticamente in sordina, dei negoziati del G20 ai manager di Eni e Confindustria; censurabile e senza contraddittorio appare l’avallo del governo all’alleanza strategica – e perfino “incestuosa”, secondo alcuni - tra Eni, Snam e Cdp, finalizzata alla gestione di una fetta importante della transizione energetica  (e dei relativi cospicui fondi del Recovery), senza che nessuno battesse ciglio (Authority compresa).

Lo svilimento del parlamento, la cui Legge di Bilancio 2021 è stata corretta da un decreto annunciato ancor prima del voto di fiducia, sancisce il primato della dimensione ormai autoreferenziale e pilotata di una politica della rappresentanza che agisce al riparo dai bisogni sociali. La nostra democrazia, ridotta a categorie nominali, non gode certo di buona salute, ed una parte del Paese non è e non si sente da troppo tempo rappresentata da un parlamento relegato al ruolo di semplice notaio, schiacciato da un esecutivo fortemente condizionato dalle major fossili e dai suoi esponenti di professione, fino al punto di sentirsi in obbligo di introdurre nuovi aiuti di Stato all’Oil&Gas (vedi Iva e accise agevolate alle raffinerie) o di finanziare progetti specifici nel quadro del Recovery.

Tornando alle parole del presidente Fico citate in premessa, ci piace pensare che un ristretto numero di parlamentari “illuminati” e responsabili possa, ritrovato il coraggio perduto ed il filo di Arianna che lega le sensibilità sociali diffuse con lo “spirito” dei padri costituenti, saper richiamare il governo alle sue responsabilità e al rispetto dei ruoli, riportando nelle Assemblee elettive il dibattito sulle materie che più contano per il presente ed il futuro del paese, materia energetica compresa ovviamente. È forse chieder troppo?

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